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G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia , Laterza, 2009
di Massimiliano Biscuso

La storia della filosofia hegeliana è andata incontro a un singolare destino: quello da un lato di vederne conclamata la centralità nel sistema, di cui costituisce il coronamento, e riconosciuta in questo campo di studi una lunga egemonia, alla quale invero assai per tempo molti storici della filosofia hanno cercato di sottrarsi, con esiti non sempre coerenti alla loro volontà; e dall’altro di non ricevere l’attenzione che quella centralità e quella forza egemonica avrebbero richieste. E questo è paradossalmente ancora più vero per l’Italia, dove, pur in presenza di un ampio dibattito svoltosi tra gli anni Trenta e i Sessanta del Novecento per cercare di liberare la storiografia filosofica dai presupposti metafisici del nuovo (quello di Croce e Gentile) e vecchio idealismo (quello di Hegel, appunto) e individuare le condizioni per una autentica comprensione storica delle filosofie, robuste tracce di quella vecchia impostazione permasero e ancora permangono, ad es. nell’insegnamento liceale della filosofia che è ancora studiata secondo l’assunto gentiliano, e hegeliano, che vuole identiche filosofia e storia della filosofia, oppure nel rilievo che tutt’ora assumono gli studi storico-filosofici nel più generale panorama degli studi filosofici. A fronte di tutto ciò, lo studio della storia della filosofia hegeliana, dei suoi presupposti concettuali e delle molte penetranti analisi dei singoli filosofi, è stato singolarmente povero, limitandosi a pochi lavori di rilievo; inoltre, l’unica traduzione che abbiamo finora avuto a disposizione, quella di Ernesto Codignola e Giovanni Sanna per La Nuova Italia, risale agli anni 1930-1945, una traduzione, per di più, che fu condotta sulla seconda edizione (1840-44) approntata nell’ambito della pubblicazione integrale dei Werke da Karl Ludwig Michelet, il quale, come noto, rielaborò a fondo la prima edizione (1833-36), dando alle Lezioni sì una maggiore leggibilità, ma a costo di allontanarsi dal dettato hegeliano e di perdere dettagli a volte anche assai interessanti che la prima edizione invece conservava (non sono perciò d’accordo col giudizio del curatore della presente traduzione sulla sostanziale equivalenza per il lettore italiano, nonostante le «numerose ed importanti» differenze, tra le due edizioni curate da Michelet, cfr. p. ix).
Ben venga dunque la traduzione di Roberto Bordoli condotta sull’edizione critica delle Lezioni, approntata da Walter Jaeschke e Pierre Garniron su cinque manoscritti di appunti di uditori del corso del semestre invernale 1825-26 (Vorlesungen. Ausgewählte Nachschriften und Manuskripte, B. 6-9, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, Hamburg, Meiner, 1986-1996), un’operazione che si inserisce nella tendenza a tradurre singoli corsi per cercare di restituire l’oginario timbro della lezione hegeliana (si pensi, ad es., alle traduzioni del corso 1822-23 di Filosofia della storia universale, del corso 1823 delle Lezioni di estetica, del corso 1827-28 delle Lezioni sulla filosofia della spirito; cfr. inoltre p. xli, nota 25). Bordoli non traduce in effetti tutto il materiale pubblicato da Jaeschke e Garniron, i quali avevano messo a disposizione degli studiosi non solo i manoscritti del 1820 e del 1823 della Introduzione, e la Nachschrift del corso 1825-26, ma anche le Nachschriften della Introduzione degli altri corsi berlinesi (1819, 1820-21, 1823-24, 1827-28, 1829-30 e 1831), consentendo così di apprezzare le variazioni e le linee di evoluzione del pensiero hegeliano sul tema (è particolarmente interessante, ad es., constatare la progressiva importanza che assume la filosofia orientale). La scelta di Bordoli è invece quella di privilegiare un intero corso, tanto che i manoscritti sono posti in appendice, a testimonianza della loro sussidiarietà nell’economia della presente edizione. Ovviamente non viene tradotto neppure il ricchissimo apparato dell’edizione critica, utile allo studioso ma non al semplice lettore italiano.
Il volume è aperto da un’ampia introduzione, La storia della filosofia secondo Hegel (pp. vii-xlvii), seguita da una Nota alla traduzione (pp. xlix-lii) e da una Nota bibliografica (pp. liii-lv). Nell’introduzione Bordoli, oltre a ricostruire lo sviluppo della storia della filosofia hegeliana nelle sue diverse epoche, si sofferma sulla concezione della storia della filosofia così come il filosofo tedesco l’aveva teorizzata nelle varie Einleitungen, offrendone però un quadro troppo sintetico (e a volte elusivo, quando ad es. nel paragrafo “Geografia e storia della filosofia” non tratta affatto dei presupposti geografici della storia universale, che hanno notevole importanza anche nella storia della filosofia), che non ne mette pienamente in luce la complessità e la problematicità. L’introduzione si fa invece apprezzare soprattutto per il legame che Bordoli correttamente individua tra la storiografia filosofica dell’illuminismo tedesco e la storiografia filosofia hegeliana: «Le suggestioni dell’ermeneutica – non solo di quella teologica, ma anche dell’ermeneutica generale, che detta le regole del comunicare e dell’interpretare fatti e testi – sono presenti in gran parte della storiografia filosofica, e teologico-religiosa, d’epoca illuministica, e questo non è senza effetti sulle lezioni hegeliane. Il tema della molteplicità dei punti di vista ne è un eloquante esempio. Nell’interpretazione hegeliana esso ripropone la questione dei rapporti tra i diversi sistemi filosofici, tra le diverse filosofie succedutesi nel tempo e tra queste e la verità, tra la verità e la storia, più in genere tra un oggetto e la cognizione che ne riportano soggetti differenti in momenti differenti, e dunque, tra l’altro, tra la filosofia di Hegel e quelle che l’hanno preceduta» (p. xlii). Così è suggestivo l’accostamento a quella hegeliana della posizione, ad es., di un Chladenius, secondo il quale si devono distinguere la storia dalla sua rappresentazione, perché la storia è una e non contraddittoria, mentre le rappresentazioni sono diverse e possono essere tra loro contraddittorie: anche in Hegel la storia della filosofia è una perché una è la filosofia, sebbene le molte e differenti filosofie pretendano intellettualisticamente di essere le sole vere e di respingere le altre, in quanto contraddicenti la loro, nell’ineffettualità dell’errore. Eppure bisognava aggiungere che il problema del rapporto tra unicità della verità e molteplicità delle filosofie è affrontato soprattutto per mezzo del confronto con la tradizione scettica, più che con la molteplicità dei “punti di vista” dell’ermeneutica settecentesca, ed è risolto maturando una concezione della storia della filosofia che scorge nelle diverse filosofie non voci irrimediabilmente discordi, ma gradi differenti dello sviluppo dell’intero. Né si può attribuire il medesimo e generico significato di “punto di vista” a differenti espressioni che ricorrono con alta frequenza in queste lezioni: Standpunkt e Gesichtpunkt, ad es., non significano affatto la stessa cosa, designando il primo termine una «prospettiva», cioè una posizione di pensiero paradigmatica e ricorrente nella storia della filosofia, il secondo una opinione individuale (ho cercato di chiarire questi due aspetti della storiografia filosofica hegeliana in studi che Bordoli non mostra di conoscere e non cita: cfr., per il primo rilievo, Hegel, lo scetticismo antico e Sesto Empirico. Lo scetticismo e Hegel, Napoli, La Città del Sole, 2005, pp. 121-134; per il secondo “Posizioni” e “prospettive” filosofiche in Hegel storico della filosofia, in “il cannocchiale”, 1997, n. 1, pp. 33-65).
Quest’ultima osservazione mi permette di passare alla traduzione di Bordoli. L’originale tedesco è indubbiamente reso in un italiano scorrevole e chiaro, che risolve spesso elegantemente alcune asprezze del testo hegeliano. E tuttavia non sono d’accordo sul giudizio secondo cui in queste lezioni Hegel abbia usato «un lessico poco tecnico, molto discorsivo e vicino al parlato, più colloquiale che formalistico», né tantomeno sulla scelta del traduttore di «moderare la corrispondenza univoca tra vocaboli», perché pur nel contesto della lezione orale Hegel ricorre spesso a termini tecnici, che non possono non essere resi omogeneamente. Così termine tecnico è Standpunkt, che non può essere tradotto con «punto di vista» (ad. es. p. 351), oppure Weltgeist, che almeno una volta è reso con un implausibile «spirito dell’umanità» (p. 6) e non il consueto, e corretto, «spirito del mondo»; oppure il verbo widerlegen ora è tradotto con «confutare» ora con «refutare», senza alcuna giustificazione, se non il gusto soggettivo del traduttore per la variatio. Ugualmente non si comprende il motivo per cui il celebre aufheben diventi «sopprimere», tanto più che Bordoli si sente in obbligo di giustificare tale scelta: «dal contesto dovrebbe risultare chiaro che il termine non designa un annichilimento, bensì una trasformazione che nega e, ad un tempo, conserva, il contenuto, rinnovandolo» (p. lii); ma allora, ci si chiede, perché non ricorrere ai consueti «superare» o «togliere», che assai più efficamente di «sopprimere» rendono tale movimento? D’altra parte bisogna anche segnalare che Bordoli non ricalca alcune stantie soluzioni, traducendo ad es. Anfang con «inizio» e non più con «cominciamento», un francesismo ancora ripetuto nella letteratura critica hegeliana di lingua italiana, senza alcuna giustificazione.
Pur con questi limiti, certo non gravi, la nuova traduzione Lezioni sulla storia della filosofia, per la chiarezza e le dimensioni relativamente contenute rispetto all’edizione (ormai non più in commercio) di Codignola e Sanna, potrebbe di nuovo attirare l’attenzione su questo testo, magistrale per profondità interpretativa, e contribuire a far sì che quest’opera hegeliana sia non solo citata o consultata, com’è stato in prevalenza fin’ora (cfr. p. xxxvi), ma finalmente studiata.



PUBBLICATO IL : 31-12-2010

 

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