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Maria Moneti (a cura di), Cesare Luporini 1909-1993 , “Il Ponte”, LXV (11), 2009
di Massimiliano Biscuso

In occasione del centenario della nascita la rivista “Il Ponte” ha dedicato un numero monografico alla figura di Cesare Luporini, filosofo e uomo politico. Il fascicolo si fa apprezzare non solo per la qualità dei saggi volti a ricostruire le fasi più importanti della ricerca filosofica di Luporini, ma anche per le testimonianze della sua attività di docente universitario a Cagliari, Pisa e infine a Firenze, e di dirigente del Partito comunista. In particolare vorrei segnalare l’articolo di Maria Moneti (pp. 22-54), curatrice del volume, che restituisce sulla base dei propri appunti le linee fondamentali dell’ultimo corso universitario che Luporini dedicò al tema Persona e personalità e nel quale il filosofo utilizzò soprattutto opere letterarie (le Confessioni di Agostino, il Secretum di Petrarca, Padre Sergio di Tolstoj, Memorie del sottosuolo di Dostoevskij e alcuni testi di Freud). Di questo ultimo corso abbiamo anche la trascrizione dell’ultima lezione, tenuta il 25 maggio 1979, nella quale Luporini ripercorre la propria vicenda intellettuale, dalla formazione scolastica (tredicenne “incontrò” quello che sarebbe stato il “suo” poeta, Leopardi, che portò all’esame di quinta Ginnasio), liceale e universitaria, alla partecipazione alle lezioni tra il 1931 e il 1933 di Heidegger a Friburgo (di cui ascoltò di persona la famigerata prolusione Die Selbsthauptung der deutschen Universität) e di Hartmann a Berlino, alla frequentazione di Gentile a Pisa, fino alla esplicita scelta antifascista, l’adesione al Partito comunista e al marxismo, con cui si chiude la lezione-racconto (pp. 233-246). Altre interessanti testimonianze sono quelle di Sergio Landucci e di Franz Brunetti, che furono allievi di Luporini a Pisa.
Gli articoli che ricostruiscono o “decifrano” (per usare un termine caro a Luporini) la sua attività filosofica si raggruppano secondo i nuclei tematici in cui si articolò la sua attività: la tematica esistenzialista di Situazione e libertà, gli interessi per la  filosofia morale, Kant e Scheler sopra a tutti, lo studio di Hegel, di Leopardi, di Marx. Non mancano articoli sull’attività politica: il filosofo fu senatore del Pci nella terza legislatura (1958-63), e a lungo membro del Comitato centrale. Vengono ricordati da Antonio La Penna il suo impegno per la Scuola e l’Università (pp. 205-216) e da Giorgio Mele il modo in cui Luporini visse l’Ottantanove: quando nel 1989 Occhetto annunciò la “svolta”, egli si oppose a quella che gli dovette apparire invece una “liquidazione” del patrimonio politico, ideale e culturale della maggiore forza della sinistra, aderendo alla “seconda mozione” e vivendo poi con amarezza la fine del partito (pp. 217-225).
Vorrei soffermarmi su due argomenti, che hanno trovato la loro trattazione più significativa in due saggi memorabili, presenti entrambi nella raccolta del 1947 Filosofi vecchi e nuovi, perché hanno rappresentato non solo un momento di svolta importante nella vicenda intellettuale di Luporini, ma hanno anche inciso in modo significativo su due diversi campi di studio: Hegel e Leopardi.
Il primo saggio, comparso per la prima volta nel 1945 sulla rivista “Società”, consiste nella traduzione e nell’ampio commento del frammento hegeliano oggi noto con il titolo Der immer sich vergrössende Widerspruch, ma allora conosciuto con quello più suggestivo di Freiheit und Schicksal, Libertà e destino. L’attenzione al giovane Hegel non era nuova in Italia; già alla fine degli anni Venti erano apparse le due prime monografie di studiosi italiani sullo Hegel pre-jenese: La nascita della dialettica hegeliana di Enrico De Negri e lo Hegel romantico e mistico dell’(allora) gentiliano Galvano della Volpe. A differenza di queste letture, quella di Luporini sottolineava con maggior vigore gli elementi di discontinuità rispetto a quelli di continuità tra il periodo giovanile e quello della maturità – un modo di leggere il pensatore tedesco che avrebbe avuto una lunga fortuna. Il saggio di Luporini si basava sullo studio dell’intera produzione giovanile di Hegel: tra le carte di Scaravelli, allora collega di Luporini a Pisa, è emersa la traduzione di frammenti dei periodi di Tubinga, di Berna e di Francoforte, commentati da Scaravelli (cfr. L. Scaravelli, Note di lettura agli Scritti giovanili di Hegel, in “il cannocchiale”, 1999, 1, pp. 229-253, spec. 229-244), che Luporini non pubblicò mai: infatti non sono presenti nell’accurata bibliografia degli scritti luporiniani curata da Luca Fonnesu, che chiude il fascicolo (pp. 247-289). Ma torniamo al saggio di Luporini. Come giustamente mettono in luce Aldo Zanardo (pp. 135-148) e Mario Tronti (pp. 149-159) nei due interventi dedicati a questo studio, il saggio su Hegel rappresenta un punto di «svolta» nella vicenda intellettuale di Luporini: attirato, secondo i suoi originari interessi, dalla nozione di libertà elaborata nel frammento dal giovane Hegel, ben differente da quella dello Hegel maturo, più che dalla società e dalla storia, Luporini non sarebbe però stato posto dinanzi all’alternativa tra situazione e libertà, tra fattualità e ripartenza dall’intimo, ma al loro intreccio e al loro rapporto dialettico. Di qui il «riorientamento della sua riflessione. È essenziale capire la finitezza, ma è essenziale anche capire la sua organizzazione e il suo divenire» (p. 143). E ancora: il destino è situazione, e la situazione è situazione storica, per cui ora «dalla “coscienza” della situazione-destino nasce, per volontà, la scelta, la decisione, di un’altra possibilità umana». D’altronde, come nota acutamente Tronti, quello che allora, nel 1945, Luporini, e con lui tanti italiani, stava vivendo, era appunto una situazione storica da accogliere come «limite aperto» e il destino era «una spinta in avanti, la vita pulsava nell’uscita dalle dittature e dalla guerra, dalla natura all’idea un nuovo passaggio premeva ed entusiasmava» (p. 153). L’incontro con Hegel, insomma, maturò l’evoluzione del pensiero luporiniano verso un marxismo che non sarà mai appiattito sulla vulgata dell’hegelo-marxismo, un marxismo che si volle antistoricistico, attento com’era alla centralità degli aspetti morfologico-strutturali dell’analisi marxiana (come mette bene in luce Bruno Accarino, pp. 183-192, nel suo contributo dedicato appunto al marxismo di Luporini).
Ancor più importante fu il celeberrimo Leopardi progressivo, tanto che comunemente si parla della «svolta del ’47» per indicare la vera e propria rottura che rappresentò nella storia degli studi leopardiani la simultanea comparsa del saggio luporiniano e di La nuova poetica leopardiana di Walter Binni. Un saggio tanto noto che non vale qui la pena insistervi, a maggior ragione dato che anche i due contributi dedicati a Luporini leopardista, quello di Amedeo Marinotti (pp. 163-171) e quello di Roberto Barzanti (pp. 172-179) non lo pongono analiticamente al centro della loro attenzione. Qualche parola però vorrei spendere, in conclusione, sull’intervento equilibrato ed esaustivo, pur nella sua brevità, di Barzanti. Come abbiamo già detto, Leopardi fu da sempre il poeta di Luporini, e lo continuerà ad essere fino alla fine della sua vicenda intellettuale ed esistenziale. E infatti Barzanti ripercorre l’intera parabola del confronto tra Luporini e Leopardi, mettendo in evidenza, pur nelle diversità di accenti suggerita dalle diverse fasi della propria esperienza personale e dai differenti contesti dei coevi dibattiti teorici, una sostanziale continuità nella “decifrazione” di Leopardi, cioè nella individuazione di temi e problemi che sorgevano dalla pagina leopardiana. Perciò Barzanti apre il suo studio dedicando la giusta attenzione alla prima indagine su Il pensiero di Leopardi, che apparve nel 1938. Un saggio, mai in seguito ristampato, in cui vengono in luce i temi del nulla e della ricerca di Dio, del senso del limite invalicabile  e dell’impulso che spinge l’uomo a infrangerlo. Anche nel Leopardi progressivo la «torsione dell’iniziale esistenzialismo non è del tutto cancellata: da ciò consegue l’importanza accordata al materialismo di ascendenza settecentesca e al ruolo irriducibile dell’individuo» (p. 177). Infine, nel terzo e ultimo tratto dell’esplorazione di Leopardi, Luporini individua il nesso materialismo-nichilismo (nesso a mio giudizio problematico; ma non è questa la sede opportuna per discuterne) «quale esito finale della speculazione leopardiana», nel quale si saldano in unità «amare riflessioni sulla società, accettazione virtuosa del comune destino umano e disincantata visione del mondo» (p. 178).



PUBBLICATO IL : 31-12-2010

 

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