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Gianluca Genovese (a cura di), Carteggio Croce-Laurini, , Bibliopolis, 2005
di Luca Viglialoro

Il Carteggio Croce-Laurini, edito da Bibliopolis a cura di Gianluca Genovese, è un importante documento della storia della letteratura e della critica desanctisiana e anche una testimonianza significativa dell’hegelismo napoletano e dei rapporti tra filosofia e letteratura. La sua pubblicazione, auspicata già nel 1954 da Michele Cifarelli sulle colonne de “Il Mondo”, chiarisce molta attività esegetica e storiografica intorno alle carte postume dell’autore della Storia della letteratura italiana. Sull’argomento era uscito già nel 1979 il Carteggio fra Benedetto Croce e Francesco Torraca, a cura di E. Guerriero, che aveva gettato luce sui primi anni di attività di De Sanctis, quelli precedenti La letteratura italiana del secolo XIX.
Al di là del comune rapporto col De Sanctis (di cui Laurini, che era pubblicista e scriveva per varie testate, era segretario e studioso), Croce e Laurini erano legati dal fatto di aver frequentato insieme, da giovani, le lezioni di letteratura di Vittorio Imbriani. E’ per via di questa conoscenza professionale e, allo stesso tempo, intima, che Genovese ritiene che le lettere tra Croce e Laurini possano «costituirsi come una sede critica parallela a quella ufficiale, erigendosi a luogo privato dell’autoesegesi» (pag.28, Introduzione). Esemplari, da questo punto di vista, sono allora le battute di garbata difesa di Croce in una lettera del 16 maggio 1904, in merito a un  suo saggio su D’Annunzio apparso su “La Critica”, descritto dal Laurini, sulle pagine del “Roma”, come troppo entusiastico e vittima di un’ ”influenza suggestionale”: «Io ho cercato di mostrare D’Annunzio quale egli è: un poeta di idee, di sentimento, di passione: ma sensuale e dilettante di sensazioni […] certamente, per altri aspetti, ammiro il D’Annunzio, che è uomo di grandissimo ingegno» (pag. 60, lettera 51).
Dal corpus epistolare sembra emergere, inoltre, per un verso l’immediata e, a momenti, pia fedeltà di Laurini al De Sanctis, a cui si accompagna un atteggiamento più patetico ed emotivo; per altro, invece, traspare una passione più controllata e decisa di Croce verso il maestro. Questa differenza di temperamento la riscontriamo persino nella presentazione che Laurini fa a Croce del suo libro (che non verrà mai pubblicato) dal titolo, La verità sul Mezzogiorno, concepito come un pamphlet rovente e moraleggiante sulla “questione meridionale”, in cui convogliano le speranze deluse di un ingegno promettente, riassunte in questa frase di commiato: «possa tu avere per lunghissimi anni di vita quelle gioie che a me negavano i fati» (pag.48, lettera 40).
De Sanctis aveva apprezzato Laurini, in primis, come poeta dilettante e, successivamente, come uomo di lettere e gran prosatore; tuttavia, da gran conoscitore e osservatore, aveva individuato in lui questa natura malinconica e sfiduciata, che gli impedirà di portare a termine anche i Ricordi intimi, che doveva essere una rievocazione biografica del suo maestro. Di questa opera ci rimangono, infatti, solo alcuni frammenti che, come sottolinea Genovese nell’Introduzione, «lasciano spazio ad una delicatissima e sincera commozione, senza cedere mai  alla tentazione dell’ampollosità retorica, alla quale era difficile sfuggire nello scorcio finale dell’Ottocento» (pag.26).
Geloso custode delle reliquie del maestro, Laurini morirà lasciando il suo nome legato al saggio inedito su Beatrice e alla Esposizione critica della Divina Commedia del De Sanctis, da lui curate con scrupolosità di studioso, ma che usciranno solo dopo la morte del Laurini stesso (muore il 24 giugno 1934), grazie alle raccomandazioni di Croce all’editore  Cortese. Dello sfondo speculativo desanctisiano, solo Croce ha comunque privilegiato la portata estetica e teorica, più che morale, pur non ignorando l’implicazione etica di ogni tentativo di memoria, che in chiave pragmatica «bisogna onorare coi fatti» (pag.78, lettera 68).



PUBBLICATO IL : 09-10-2006

 

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