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1 / Vincenzo Cuoco, Platone in Italia. A cura di A. De Francesco e A. Andreoni , Laterza, 2006
di Francesco Verde

Con il Platone in Italia, la casa editrice Laterza, benemerita della cultura italiana, inizia la nuova pubblicazione dell’edizione delle opere di Vincenzo Cuoco (Civitacampomarano 1770 - Napoli 1823). Il testo in questione contiene due densi saggi introduttivi di A. De Francesco (Leggere il «Platone in Italia» agli inizi del secolo XXI) e di A. Androni (Un «immortale romanzo italiano»).
 Solitamente il nome di Cuoco è noto per il celebre Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, opera rigorosa, puntuale e dall’impianto senz’altro ben strutturato, che rappresenta ormai un classico del pensiero politico italiano, edito per la prima volta nel 1801 e pubblicato successivamente nel 1806. Il Saggio, con una lucidità profondissima e con un realismo storico avvincente, che fa di Cuoco un diretto erede della grande tradizione machiavelliana e vichiana, esamina le cause della Rivoluzione Partenopea del 1799 e le ragioni del suo fallimento, oltre a ricostruire il variegato periodo storico in cui si iscrivono i moti rivoluzionari. L’esperienza diretta della Rivoluzione Partenopea rende il Saggio un vero e proprio documento storico in cui emerge l’interpretazione dei sentimenti rivoluzionari francesi data dalla cultura napoletana del Settecento. Come è noto, Cuoco, non allontanandosi mai dalla sua comprovata moderazione, denuncia il fallimento della Rivoluzione partenopea come effetto dell’incolmabile divario fra le classi popolari e l’elite culturale che ha ispirato i moti rivoluzionari.
La tanto breve quanto tragica esperienza del giacobinismo partenopeo cadde sotto i colpi delle truppe sanfediste ispirate dal ferreo carattere reazionario del Card. F. Ruffo e si concluse, come si sa, con l’esecuzione dei personaggi più influenti dell’epoca, donne e uomini di cultura che con il loro sacrificio motivarono l’esito drammatico e cruento della Repubblica Partenopea: E. Pimentel Fonseca (che sul suo “Monitore” aveva definito Cuoco cittadino valoroso per avere avuto il coraggio di denunciare la congiura borbonica dei Baccher), F. M. Pagano, I. Ciaia, D. Cirillo, V. Russo, F. Caracciolo.
Vincenzo Cuoco, invece, fu condannato a venti anni di esilio (1800); dopo essere stato deportato a Marsiglia, si reca a Milano, nella Repubblica Cisalpina ricostituitasi come Repubblica Italiana, dopo la vittoria napoleonica a Marengo (14 giugno 1800): in tale circostanza fa il suo primo ingresso nella storia la bandiera tricolore.  Dal 1803 Cuoco si dedica con impegno costante alla stesura del Platone in Italia, i cui primi due tomi vengono pubblicati nel 1804. Nel 1806, avvenuta la conquista napoleonica del Regno di Napoli, Cuoco si trasferisce di nuovo  nella città partenopea, provenendo da Milano, dove, tuttavia, conduce la revisione del Saggio e pubblica il terzo tomo del Platone in Italia.
Fiero della città di Napoli (all’epoca seconda solo a Parigi per estensione) e orgoglioso degli insegnamenti politici, economici e giuridici di A. Genovesi e G. Filangieri, Cuoco è del tutto cosciente del compito culturale affidato all’Italia. Ed esattamente questo è il leit motiv del Platone in Italia, il mito arcaico e dunque ancora più autentico di un’Italia “pitagorica”, culla della sapienza più genuina e della scienza più valida; il che è già ben intuibile nella dedica A Bernardino Telesio.
Il Platone in Italia si presenta come un romanzo epistolare che l’A. finge di aver tradotto dal greco da un manoscritto originale rinvenuto ad Eraclea nel 1774: la finzione di tale ritrovamento rappresenta quasi un topos letterario, che senz’altro influenzerà anche la scrittura manzoniana. In realtà, a un’attenta lettura, quest’opera manifesta più un carattere genuinamente filosofico piuttosto che letterario, pertanto risulta alquanto difficile definire il Platone in Italia un romanzo. D’altronde già con le Lettres persanes,edite nel 1721, Montesquieu aveva strutturato un contenuto filosofico in forma epistolare. La medesima azione compie Cuoco al fine di celebrare l’Italia come ancestrale luogo della saggezza e della sapienza, rendendo la parte magnogreca della Penisola maestra e non allieva della Grecia, come esplicita il discorso del filosofo Timeo
L’opera, dunque, racconta in forma epistolare il viaggio di Cleobolo, discepolo di Platone, che con lui visita la Magna Grecia, meravigliandosi della civiltà “italica” più antica di quella greca, perché luogo di una cultura antichissima e primigenia, dal valore comprovato nelle arti, nella scienza e nell’organizzazione politica. L’elogio dell’Italia pitagorica come genere letterario-filosofico, tuttavia, non era stato inaugurato da Cuoco ma da Vico con il suo De antiquissima Italorum sapientia, edito nel 1710, in cui il filosofo lodava la saggezza italica più antica e autentica.
Uno dei caratteri peculiari dell’opera è il genuino intento allegorico che si cela dietro le immagini e le descrizioni che, almeno apparentemente, sembrano non riferirsi ad altro; eppure sembra del tutto plausibile leggere dietro l’elogio della supremazia pitagorica quello della supremazia culturale italica del Settecento rispetto alla Francia e all’Europa. Sarà proprio quest’opera di Cuoco, oltre a quella già citata di Vico, a definire una chiara nozione di orgoglio culturale nazionale che culminerà nel 1843 con il Del primato morale e civile degli Italiani di V. Gioberti.
Al lettore del Saggio, il Platone in Italia riuscirà una lettura alquanto faticosa perché priva di una salda unità narrativa che, tuttavia, emana un fascino considerevole per le lunghe discussioni di ordine filosofico e pedagogico. Eppure le due opere non sono così distanti come si potrebbe pensare dopo una lettura solo superficiale. Il Platone in Italia mira a ricostituire la fiducia in un’identità culturale viva, presente che sia in grado di operare cambiamenti al livello politico e sociale, in un’epoca in cui il nuovo ordine napoleonico era foriero della speranza più ambita dai rivoluzionari partenopei, la riorganizzazione della società nazionale. Rinsaldare la fiducia nell’identità culturale italiana indica la possibilità di un rinnovamento politico e sociale fondato sulla coesione fra le classi dirigenti e quelle popolari. Pertanto se il Saggio appare critico (pars destruens) nei confronti della classe dirigente che non ha saputo né coinvolgere la classe popolare e neppure tradurre adeguatamente in suolo italiano gli intenti rivoluzionari francesi, il Platone in Italia propone (pars construens) una nuova modalità di azione, puntando tutto sulla cultura politica, soprattutto contro coloro che dirigono eccessivamente i propri interessi oltralpe.
Il romanzo epistolare, dunque, si contorna di fascinose figure, come Ponzio, Timeo, Archita, che, oltre ad incarnare allegoricamente motivi culturali ben precisi, denotano il magistrale impiego che Cuoco fa delle fonti antiche come di quelle moderne. Le descrizioni approntate dall’A. traggono spunto da molte fonti, da Aristotele a Stobeo, da Ateneo a Plutarco, da Erodoto e Tucidide a Polibio, da Diodoro Siculo a Eustazio, da Eliano a Strabone, da Cicerone a Diogene Laerzio, da Varrone e Virgilio a Porfirio, da Platone, ovviamente, a Dionigi di Alicarnasso e a Giamblico. Colpisce moltissimo l’enorme competenza che Cuoco mostra non solo nel trarre dalle fonti testimonianze preziose per la costruzione del suo “romanzo” ma anche nella singolare abilità di comporre e connettere le testimonianze, derivando particolari ricostruzioni storiche di personaggi, avvenimenti e filosofi perduti nella notte dei tempi.
Il mito di Pitagora, le speculazioni fisiche di Ocello Lucano, il senso di giustizia e moderazione di Filolao, la filosofia di Timeo sono approfonditi in queste pagine come simboli efficaci di una cultura elevata a faro dell’intera Europa. Già allora quest’aurea aetas in cui  le comunità pitagoriche aristocratiche occupavano il meridione della Penisola, era angustiata                 dall’espansionismo romano (dietro il quale si cela quello napoleonico) che destava una moderata ma attuale preoccupazione.
 E il mito pitagorico primigenio si spinge, spesso, anche oltre la storicità, quando, ad esempio, Platone e Cleobolo apprendono a Metaponto che i poemi omerici derivano dalla cultura italica e non greca. L’Italia pitagorica, tuttavia, si incarna soprattutto nell’abilità politica come si vede quando i due viaggiatori giungono ad Eraclea dove si svolgono alcuni concili cui partecipano le legazioni delle città italiche: difficile non vedere nei concili di Eraclea un rinvio storico ai Comizi di Lione del 1801 in cui la Repubblica Cisalpina si trasformò in Repubblica Italiana, di cui Napoleone fu il primo presidente. Il viaggio, dopo decine di discussioni erudite sulla fisica, pedagogia, l’arte e la politica, termina a Pesto, dove Cleobolo conosce la storia del popolo etrusco che aveva unito l’intera penisola in un solo Stato, allegoria, questa, della futura unità nazionale italiana, tanto auspicata dai rivoluzionari partenopei.     
Il Platone in Italia, in un periodo storico in cui la lotta per il prevalere delle identità nazionali e religiose sembra contornarsi di tratti violenti, non dovrebbe essere letto, ad avviso di chi scrive, come un manifesto di rigido e ottuso nazionalismo, sebbene l’Italia, fin troppo spesso protesa verso l’esterno extranazionale, stia sempre più dimenticando l’esistenza di una cultura genuinamente italiana.
Pertanto, la nuova edizione del Platone in Italia dovrebbe configurarsi come una spinta decisiva e auspicabile che miri non solo all’approfondimento del pensiero filosofico di Cuoco, ma anche allo studio serio di Pitagora e del pitagorismo antico. Vincenzo Cuoco, d’altronde, dimostra di avere una dettagliata conoscenza per l’epoca della “filosofia italica” oltre che per le testimonianze archeologiche presenti nella penisola: celebre a tal riguardo è la descrizione del tempio di Giunone Lacinia fondato a Crotone da Ercole. Il rinnovamento dello spirito italico passa proprio attraverso la filosofia che trova in Italia le sue origini più recondite e dunque più vere.
È chiaro, tuttavia, che da un punto di vista meramente storiografico, il “romanzo” di Cuoco appare davvero utopistico, nel senso etimologico del termine; senza dubbio il pitagorismo antico ha avuto una notevole influenza sulla filosofia di Platone, sebbene l’accento che Cuoco pone sulla filosofia italica sembra esagerato. Pitagora ha da sempre rappresentato un saldo punto di riferimento per la cultura occidentale, dall’antichità, dove veniva considerato il protos heuretes della sapienza più arcana e quindi più vera (basti pensare alla commistione fra pitagorismo e neoplatonismo intrinsecamente legati nell’opera di Giamblico) al medioevo, dove era considerato il Maestro delle arti del quadrivio. Proprio tale funzione filosofica e misterica ha contribuito a fare di Pitagora quasi un personaggio mitologico e, da un punto di vista meramente storico, difficilmente categorizzabile. La sua ‘multiscienza’ (polymathia) lo rese celebre deall’antichità cosicche l’immagine che le fonti ci tramandano fanno di Pitagora più che uno scienziato, uno sciamano o uno ierofante, in particolare per la celebre dottrina della metemsomatosi che, insieme a quella dell’anamnesi, influenzerà direttamente il pensiero di Platone.
Certo, rimane storiograficamente poco accertabile il fatto che l’autentica filosofia, come afferma Cuoco, sia nata nella penisola; come si ripete, il pitagorismo antico ha determinato una notevole influenza sulla filosofia greca, ma, rifacendoci almeno al primo resoconto storico-filosofico che è il primo libro della Metafisica di Aristotele, la filosofia intesa aristotelicamente come attività eziologica, attività zetetica in merito alle cause, nasce nelle colonie ioniche. Forse sarebbe necessario tornare a chiederci se la filosofia pitagorica sia effettivamente catalogabile all’interno della categoria eziologica proposta da Aristotele, come si legge in metaph. 986a 15. Se così non fosse, ossia se il pensiero pitagorico non fosse una filosofia che tenta di rispondere circa la questione dei principi e delle cause, avrebbe ragione senz’altro Cuoco a rivendicare l’originalità della filosofia italica rispetto a quella greca.
Il Sapegno, forse stancato dalla miriade di citazioni scientifiche e dottrinarie, dalle minuziose descrizioni archeologiche presenti nell’opera, così giudicava il Platone in Italia: «è riuscita un’opera disorganica e frammentaria, incerta tra l'ispirazione fantastica e i propositi dottrinali, e anche stilisticamente infelice, redatta in una prosa che sta a mezzo fra la sciatteria settecentesca e i modi enfatici e declamatori della letteratura del tempo.» Con ogni probabilità il giudizio del Sapegno, seppure stilisticamente ineccepibile, appare troppo drastico: nonostante l’erudizione propria del suo tempo, Cuoco riscopre l’arcaica autenticità di una cultura che, almeno parzialmente, non è debitrice di altri popoli. Come si ripete, è difficile appoggiare favorevolmente la visione storiografica di Cuoco che, sulla scia vichiana, non aveva minimamente in mente di scrivere un’opera genuinamente storica come sarà il Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, in cui l’appello all’esattezza storica è presente sin dal titolo dell’opera: se così possiamo esprimerci, il Platone non è un “romanzo” storico ma un “romanzo” del “primato” italiano, come userà dire Gioberti successivamente. Un primato artistico, religioso, filosofico che Cuoco riscopriva, contribuendo alla rinascita dell’amore e la devozione per la cultura peninsulare, proprio come testimonia una delle Massime pitagoriche di Aristosseno attribuibili a Pitagora (Stobeo III 1 101, p. 50, 17 Hense = fr. 40 Wehrli): «Diceva che il vero amore del bello sta nelle pratiche di vita e nelle scienze; perché l’amare e il voler bene fanno parte dei buoni costumi e delle rette occupazioni , e allo stesso modo, tra le scienze e le esperienze, quelle buone e oneste amano davvero il bello, mentre ciò che i più dicono essere amore del bello, vale a dire quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della vita è in un certo senso solo la spoglia del vero amore». Quali parole migliori per contribuire a realizzare quel profondo rinnovamento della cultura italiana il cui richiamo, prima che nel Saggio storico, era già in nuce nel Platone in Italia?



PUBBLICATO IL : 07-07-2007

 

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