E’ opportuno non occultare la differenza delle motivazioni filosofiche
che sottostanno alla posizione degli abrogazionisti della legge sulla fecondazione
assistita. Da differenti risposte teoriche alla domanda “Che cosa è
inaccettabile e va quindi corretto nella legge?” discendono scelte pratiche
diverse. Il libro di Vittoria Franco, Bioetica e procreazione assistita,
Donzelli 2005, denuncia la natura “vessatoria” e ”anacronistica”
di una legge lontana dal sentire comune, e respinge “le scelte illiberali
che mortificano il pluralismo etico”. La strategia argomentativa del libro
consiste tuttavia nel delineare - sul piano della riflessione teorica che evoca
problemi etici - una prospettiva che ritiene decisivo l’approccio politico
al tema di una legge sulla fecondazione diversa dalla attuale. Tale presa di
posizione ‘politicistica’ fa della problematica bioetica dell’origine
della vita una questione il cui vocabolario è programmaticamente sottratto
al piano dei principi morali, e che trova una soluzione accettabile e “ragionevole”
nel punto di incontro e di compromesso tra posizioni politiche portatrici di
visioni etiche diverse. La scelta teorica di ridurre il ruolo della morale nella
questione della fecondazione assistita, ossia di ridimensionare lo spazio della
volontà e della coscienza individuale libera che volta per volta compie
la sua scelta, suscita non irrilevanti perplessità. Deve essere mantenuto
fermo, infatti, il principio che la legge non impone un’etica e non mira
dunque neanche a far depositare nel testo di cui si compone un compromesso tra
etiche diverse, come accadrebbe qualora si sgombrasse il campo dalla decisione
morale (in senso kantiano) che chiede alla legge soltanto di consentire a tutti
il libero esercizio della propria libertà di scelta. L’autrice
propone invece che si vada “oltre la libertà di coscienza”,
in quanto ritiene che lo sviluppo della bioingegneria abbia profondamente mutato
non l’ambito delle scelte morali (ciò su cui sarebbe difficile
dissentire), ma abbia sconvolto ogni base morale e giuridica, dissolvendo “certezze
consolidate”. Questa tesi tuttavia, sembra confondere la “morale”,
ossia l’autonomia e la libertà della volontà razionale,
che non muta con la trasformazione delle condizioni storiche e culturali della
scelta, con l’“etica”, intesa come modo infinitamente vario
del comportamento privato e pubblico, che perciò si declina al plurale
e richiede compromessi legislativi. Il legislatore liberale non trasferisce
nella legge una determinata concezione etica e neanche un compromesso tra etiche,
perché non ha di mira un certo obiettivo etico cui i cittadini debbano
conformarsi. Le etiche, ossia i comportamenti diversi (quello di chi accetta
come quello di chi non accetta la bioingegneria riproduttiva), sono certamente
destinati ad essere resi compatibili in un testo di legge. Ma il principio razionale
della libertà di coscienza deve costantemente presiedere al compromesso
politico ragionevole che va comunque perseguito. Perché ciò
accada, il legislatore dovrebbe seguire quella voce originaria della propria
coscienza morale che gli impone di rispettare nei cittadini fruitori della legge
la possibilità che la coscienza di ciascuno resti libera di scegliere.
Se si assegna questo significato originario al principio della libertà
di coscienza, dovrebbe essere considerato pericoloso l’andare “oltre”
rispetto ad esso. E’ giusto sapere, far sapere e decidere che cosa
“in coscienza” ciascuno ritenga giusto fare. Ma la condizione trascendentale
di questa libertà per qualcosa e contro qualcosa d’altro
è che ciascuno scelga formalmente sulla base della sua coscienza.
La coscienza trascendentale non dovrebbe essere confusa con la coscienza empirica.
Solo così, ossia solo in quanto il principio “morale” originario
venga tenuto fermo, le diverse scelte “etiche” potranno coesistere
e rispettarsi reciprocamente. E’ importante evocare nella riflessione
sulle questioni bioetiche la “filosofia del dialogo” di Guido Calogero,
come fa l’autrice. Ma lo è altrettanto chiedersi se non vi sia
un “principio” del dialogo che non può essere negato nel
e dal dialogo stesso. E se, quando il ‘dialogo’ legislativo si deposita
in un testo finale di legge, non possa mai venir meno il “principio”
della uguale dignità delle scelte morali, sul quale nessun compromesso
dovrebbe intervenire.
[Questa recensione è stata pubblicata su "il Riformista"
del 9 giugno 2005] |