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Isaac La Peyrère, I preadamiti, a cura di G. Lucchesini e P. Totaro , Quodlibet, 2004.
di Massimiliano Biscuso
Diretta da Filippo Mignini e curata da Pina Totaro, la collana “Spinozana”, recentemente proposta dalla casa editrice Quodlibet di Macerata, intende contribuire ad una più dettagliata ricostruzione della storia dello spinozismo pubblicando fonti e studi in accurate traduzioni con testo a fronte, arricchite di puntuali introduzioni e di un ricco apparato di note. Già usciti sono la Professione di fede universale e cristiana ( Belydenisse des algemeenen en christelyken Geloofs ), pubblicata nel 1684, ma scritta nel 1673, di Jarig Jelles, amico di Spinoza e curatore dei suoi Opera posthuma , opera che si iscrive negli accesi dibattiti teologici e politici dei Paesi Bassi dell'epoca; e appunto I preadamiti di Isaac La Peyrère, che mi accingo a recensire. Prossimi volumi della collana saranno l' Exemplar humanae vitae di Uriel da Costa, Del diritto degli ecclesiastici di Lucius Antistius Constans e La religione degli Olandesi di Jean-Baptiste Stouppe.

I preadamiti è la traduzione del solo Praeadamitae sive Exercitatio super Versibus duodecimo, decimotertio, et decimoquarto, capitis quinti, Epistolae D. Pauli ad Romanos, quibus inducuntur Primi Homines ante Adamum conditi , pubblicato anonimo ad Amsterdam nel 1655, insieme al più ampio Systema theologicum ex Praeadamitarum hypothesi , che invece – e purtroppo, bisogna aggiungere, considerata l'importanza dello scritto, che trae dall' Exercitatio alcune notevoli conseguenze sul piano teologico, filosofico e antropologico – non viene tradotto. Nei Preadamiti La Peyrère cerca di risolvere le difficoltà di interpretazione dei versetti 12-14 del quinto capitolo dell' Epistola ai Romani , prospettando appunto l'ipotesi dell'esistenza di uomini vissuti prima di Adamo come unica plausibile spiegazione dell'affermazione paolina secondo la quale essi non avrebbero peccato “a somiglianza” di Adamo. Si poneva così il problema dell'origine della specie umana, delle leggi e del rapporto tra legge naturale e leggi umane. La Peyrère era convinto, come scrive Totaro nella Introduzione , che la propria interpretazione fosse la più aderente al dettato biblico e la più capace di chiarire «il pensiero dell'Apostolo e la storia tutta della Genesi , conciliandoli entrambi con l'astronomia, nonché con i miti e le filosofie dei popoli più antichi: Cinesi, Egizi e Caldei» (p. XV).

Ora alla Totaro non interessa tanto appurare se fosse intenzione di La Peyrère chiarire il testo paolino e sanare le incongruenze della Genesi , mettendola d'accordo «con se stessa, ed anche […] con tutti i documenti profani», caldaici, egizi, cinesi, messicani, e riconciliando la fede con la retta ragione (pp. 58/59): è un punto, per quanto importante per la ricostruzione del pensiero di La Peyrère, trattato solo di sfuggita nella Introduzione (che non affronta la questione della “sincerità” di La Peyrère o, meglio, dell'uso delle tecniche di comunicazione del libertinismo erudito, limitandosi a ribadire che costui, pur «consapevole delle implicazioni teologiche connesse alla sua dottrina, resta convinto, tuttavia, che dalle sue conclusioni non possa derivare alcun danno per la fede», p. xviii ). Le interessa piuttosto chiarire gli effetti delle «tesi esposte nei Praeadamitae sulla presenza nel testo sacro di incongruenze ed errori, sull'esistenza di uomini prima di Adamo e sulla limitazione del racconto biblico alla sola storia degli Ebrei», che, com'era prevedibile, «suscitarono reazioni e attacchi violenti» (p. XXI), pur non impedendone l'ampia risonanza. La Peyrère intendeva fare per la storia quello che novo illi Cosmographo , “quell'audace cosmografo” (ma si potrebbe anche tradurre: “quel recente cosmografo”, con possibile allusione a Bruno, considerando l'infelice sorte toccatagli, subito sopra richiamata) aveva fatto per lo spazio: se costui aveva ipotizzato novos mundos , “mondi mai scoperti”, lui congetturava nova tempora , “epoche prima insospettate” (pp. 54/55). Il mondo, ampliatosi a dismisura nella nuova dimensione geografica e astronomica colombiana e copernicana, acquistava con I preadamiti una profondità storica assai più ampia e inquietante delle poche migliaia di anni della cronologia biblica. Ma nelle “sterminate antichità” che ora cominciavano a rivelarsi La Peyrère ritrovava le scandalose tesi poligenetiche difese da Bruno nel De immenso et innumerabilibus e l'ancora più radicale antropogonia naturalistica dello Spaccio , in cui gli uomini sono generati, come gli altri animali, “dal materno grembo della natura”. E dietro di esse si riaffacciava la tesi atea dell'eternità del mondo.

L'inclusione dei Preadamiti nella collana “Spinozana” si giustifica per l'“influenza diretta esercitata dai temi trattati da La Peyrère su Spinoza e sulle motivazioni che condussero alla sua espulsione dalla Sinagoga nel 1656” (p. XXII). Se non è possibile dimostrare che i due si incontrarono di persona (ma La Peyrère soggiornò ad Amsterdam nell'anno di pubblicazione della sua opera, il 1655), è però certo non solo che Spinoza possedette nella sua biblioteca una copia dei Preadamiti , ma anche che La Peyrère fu in contatto con Menasseh ben Israel, uno dei principali rabbini di Talmud Torah, la congregazione degli ebrei portoghesi di Amsterdam; ed è assai probabile, come sostenuto da Richard Popkin, che le idee di La Peyrère ebbero un forte impatto sulla cerchia di dissidenti ed eretici espulsi in quegli anni dalla comunità ebraica. Anzi, le tesi esposte, discusse e rielaborate nei Preadamiti «potrebbero essere all'origine della scomunica stessa» di Spinoza, «la quale sarebbe stata motivata principalmente dalle polemiche intorno all'immortalità dell'anima e all'eternità del mondo» (p. XXIII).

D'altronde, un attento esame dei primi capitoli del Trattato teologico-politico , come mostra nel dettaglio Pina Totaro, rivelano l'influenza dei Preadamiti : si pensi soltanto alla negazione della paternità mosaica del Pentateuco e alla riflessione su uno stato di natura ontologicamente e cronologicamente anteriore alla religione. Ma influenze sono anche ravvisabili nel Trattato politico , laddove la riflessione lapeyrèriana sul peccato viene ripresa nel nuovo quadro teorico spinoziano di riconsiderazione degli affetti non come vizi della natura umana, ma come sue proprietà; peccato si darà solo dove c'è uno Stato e una legge. «In questa rilettura in chiave filosofico-politica del problema della legge, della trasgressione e del peccato, trattato da La Peyrère nell' Exercitatio sui versetti citati dell' Epistola ai Romani di Paolo, è uno dei motivi centrali del progetto spinoziano, affidato alle sue opere maggiori e culminante nella formulazione di principi che confluiranno nell'Illuminismo più radicale, principi che trovano il loro fondamento nell'affermazione di Spinoza, qui per la prima volta formulata, e decisiva per la nascita del pensiero politico moderno, del primato della politica e della separazione del diritto dalla morale» (pp. XXXVII-XXXVIII).

PUBBLICATO IL : 04-03-2005

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