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Augusto Mazzoni, La musica nell'ermeneutica contemporanea , Mimesis, 2005.
di Federico Lopiparo

Che ne è della musica nell’ermeneutica del Novecento? Il libro di Augusto Mazzoni, La musica nell’ermeneutica contemporanea, tenta di dare una risposta a questo importante interrogativo, prendendo in esame alcune tra le voci più significative del panorama ermeneutico:  Emilio Betti, Luigi Pareyson, Hans-Georg Gadamer, Hans Robert Jauss, Gianni Vattimo.
Già nelle prime pagine Mazzoni delinea le questioni principali che fanno della musica un fenomeno dotato di una propria qualità ermeneutica. In primo luogo è necessario comprendere la notazione musicale per poter intendere delle “macchie grafiche” come segni che rimandano a suoni; in secondo luogo vi è un rinvio rappresentativo per cui il processo sonoro può rimandare ad un contenuto (affettivo, descrittivo, ecc.); un terzo aspetto è il significato incarnato nel fenomeno musicale in sé, inteso come viva forma sonora. A quest’ultimo livello comprendere e interpretare significano capire un brano, per esempio  cogliendone la dinamica e il nesso con cui le sue parti si succedono nel tempo. Emerge dunque qui una dimensione di significato che si identifica con la struttura musicale che l’interprete, analizzando tecnicamente la musica, può poi afferrare sul piano intellettuale.
In un primo capitolo intitolato L’ermeneutica tra musica e filosofia Mazzoni mostra come i problemi ermeneutici concernenti la musica siano stati affrontati sia dalla musicologia che dalla filosofia. L’ermeneutica musicale, nata come disciplina nel ventesimo secolo con H. Kretzschmar, si sforza di esplicare concretamente attraverso analisi dettagliate il significato di brani musicali. Centrale è lo studio degli aspetti compositivi dai quali poi si deve risalire all’interpretazione dei contenuti di significato. La posizione di Mazzoni è che dall’ermeneutica musicale in ambito musicologico non siano maturati frutti davvero interessanti, tanto da poter parlare di un bilancio disastroso. Diversi sembrano essere gli esiti filosofici dell’ermeneutica. Quest’ultima, trovando nell’estetica un argomento privilegiato, si riferisce spesso alla musica, anche se per lo più nel quadro di osservazioni più generali.
La prima figura trattata da Mazzoni, dopo una breve ma chiara sintesi della storia dell’ermeneutica, è quella di Emilio Betti, celebre giurista che nel suo sforzo complessivo per una fondazione metodologica dell’ermeneutica affronta la questione della musica in relazione al tema dell’interpretazione riproduttiva. Per quel che concerne la musica tale interpretazione consiste nel ricavare l’opera d’arte dalla notazione musicale in cui essa è cristallizzata, per restituirla alla dimensione del tempo quale l’ha concepita il linguaggio mentale dell’autore che l’ha scritta. Betti concepisce la musica come un autentico linguaggio in quanto porterebbe a manifestazione un contenuto di ordine lirico-emotivo.
Una distinzione per Betti importante è quella tra atto interpretativo e atto inventivo. L’artista, pur non creando dal nulla, ma dai propri stati d’animo, produce tuttavia una forma originale. L’interprete ha invece un rapporto di subordinazione nei confronti dello spirito che gli parla attraverso la partitura musicale. Nell’interpretazione si deve dar corso ad una sorta d’inversione dell’iter genetico dell’opera che ricolleghi la musica al processo creativo e alla vita dell’artista.
Secondo l’autore Betti si attesta sulle posizioni di un’estetica musicale tradizionalistica e conservatrice, totalmente chiusa verso le nuove tendenze compositive ed interpretative (indicativa a questo proposito è la critica di Betti alla musica di Schönberg e Strawinski, descritta come il trionfo intellettualistico della tecnica sull’espressione). Mentre identifica il senso musicale in un contenuto lirico-emotivo, Betti non propone criteri interpretativi validi per riconoscere tale contenuto. Il tutto si riduce quindi ad una indeterminata capacità divinatoria basata sulla sensibilità e sull’intuito dell’interprete.
Il secondo autore affrontato da Mazzoni è Luigi Pareyson. Questi definisce come autentico contenuto artistico la spiritualità personale dell’artista, che coincide con lo stile, ossia con il particolare modo di formare. L’opera d’arte non è la raffigurazione della vita interiore dell’autore, ma è stata formata in un modo che è proprio della spiritualità dell’autore. È lo stile e non un sentimento espresso (contenuto lirico-emotivo), a determinare contenutisticamente l’arte.
Fondamentale è la questione della materia artistica. L’arte è immediatamente volta a dare forma alla sua materia e l’opera si configura come materia che ha ricevuto un’impronta formativa. Le arti si distinguono dal tipo di materia adottata, per esempio la musica dai suoni successivi nel tempo. La materia inoltre non è solo fisicità, poiché arriva al compositore carica di usi e leggi (precetti compositivi) e veicolata da diversi mezzi strumentali. Pareyson si concentra anche sull’esecuzione, evidenziandone due aspetti: la personalità dell’interpretazione e l’infinità dell’opera. Alla mutevolezza delle prospettive personali corrisponde l’inesauribilità degli aspetti forniti dall’opera. Fedeltà e libertà non devono essere intese come principi contrapposti, ma come istanze che coesistono e si integrano reciprocamente.
Il terzo autore cui Mazzoni fa riferimento è Hans-Georg Gadamer, fondatore dell’ermeneutica filosofica. Per Gadamer il formarsi della coscienza estetica moderna è stato accompagnato da uno sradicamento dell’opera d’arte dal suo terreno d’origine. Una conseguenza di ciò è la creazione di istituzioni adibite specificamente alla fruizione dell’arte quali i musei e le sale da concerto. Cambia così la modalità della fruizione della musica che nell’antichità e nella cristianità si inseriva in un avvenimento dal significato eminentemente religioso, in una dimensione compartecipativa, mentre nella contemporaneità si dà nella forma concertistica in cui predomina la dimensione soggettivistica del vissuto estetico.
L’opera musicale necessita sempre di una rappresentazione-esecuzione, che si rivela essere nient’altro che un’automanifestazione dell’opera stessa. La critica gadameriana alla coscienza estetica moderna, che disconosce la capacità veritativa dell’arte, si sviluppa attraverso un’analogia tra arte e gioco. Seguendo questa analogia Gadamer sostiene che come vi è un primato del gioco sulla coscienza dei giocatori così allo stesso modo vi è un primato dell’opera sulla coscienza dell’autore e degli esecutori. Se la rappresentazione esecutiva è necessaria all’opera, in ogni rappresentazione si automanifesta l’opera stessa in quanto forma dotata di un significato permanente. Ogni interpretazione è dunque un possibile modo d’essere dell’opera e la varietà delle esecuzioni corrisponde alla varietà dell’opera che di esecuzione in esecuzione cresce nel suo essere. Si dà quindi la possibilità di molteplici interpretazioni parimenti fedeli in cui ogni volta l’interprete annulla se stesso lasciando che si manifesti un aspetto dell’opera.
Mazzoni tiene a sottolineare un punto particolarmente importante sul quale tornerà in chiave critica nelle conclusioni: lo stretto legame tra musica e linguaggio. Secondo l’autore il senso della musica per Gadamer può sempre essere espresso mediante un’interpretazione discorsiva, tanto che non si può parlare di un’autentica differenza tra comprendere il senso di un’opera musicale, riprodurlo in un’esecuzione e parlarne in un discorso verbale.
Infine, dopo aver trattato brevemente la teoria della ricezione di Hans Robert Jauss, per la quale solo dall’interazione di testo (partitura), interpretazione (esecuzione) e fruizione (ricezione) si concretizza il senso dell’opera artistica, Mazzoni affronta il pensiero di Gianni Vattimo. L’arte è considerata da Vattimo nella sua linguisticità essenziale e ricompresa in una radicalizzazione nichilistica dell’ermeneutica. La comprensione della musica, come di ogni opera d’arte, coincide con l’interpretazione del suo senso e con il riconoscimento del suo contenuto di verità. Come Gadamer, anche Vattimo insiste sul legame tra linguisticità e musica. Non si tratta di considerare il linguaggio uno strumento esplicativo dei contenuti musicali, ma di riconoscere il rapporto ontologico tra arte e linguaggio. L’opera d’arte è apertura di un mondo e dunque linguaggio autentico. A questo proposito Vattimo, ricollegandosi all’opera di Bloch, ma anche a Schopenhauer e Nietzsche, parla di una valenza utopica dell’arte e in particolare della musica, capaci di prefigurare un mondo nuovo e alternativo.
Nelle conclusioni Mazzoni indica quelli che secondo lui sono i limiti delle diverse posizioni considerate nel suo testo. L’interrogativo più rilevante è rivolto all’ermeneutica contemporanea nel suo complesso e riguarda la legittimità della subordinazione della musica al linguaggio. In gioco è la natura intrinseca della musica che per Mazzoni dovrebbe essere considerata in quanto struttura formata con una propria identità più che come linguaggio. Riferendosi all’esperienza concreta del musicista, Mazzoni, laureato in filosofia, ma anche diplomato in clarinetto e in composizione sperimentale, sostiene in particolare contro Gadamer l’inessenzialità del linguaggio verbale nell’interpretazione musicale. L’ermeneutica, correndo il rischio di tradire lo spirito caratteristico dei fenomeni musicali, per quanto in grado di fornire contributi utili, resterebbe dunque secondo Mazzoni non decisiva per gli studi musicologici. Un’ulteriore critica in questo senso riguarda la tendenza dell’ermeneutica a non riconoscere la fondamentale distinzione tra l’interpretazione dell’esecutore e l’interpretazione dell’ascoltatore. Dal punto di vista musicologico si tratta di una semplificazione che porta a trascurare delle caratteristiche rilevanti dell’esperienza musicale. Ciò che l’ermeneutica mancherebbe di notare è che mentre l’esecutore, producendo un processo sonoro attraverso molteplici scelte spesso dotate di un proprio valore artistico, svolge una funzione attiva legata a un compito pratico, l’ascoltatore si limita a ricevere il processo sonoro realizzato dall’esecutore e a coglierne il senso.

Se da una parte Mazzoni riesce nel non facile compito di far emergere dalle molteplici articolazioni dell’ermeneutica contemporanea le diversificate posizioni riguardanti l’ambito musicale, ci si deve infine interrogare sul significato di una tale impresa. L’esigenza di inquadrare in poche pagine i temi relativi alla musica all’interno della più generale riflessione sull’ermeneutica propria dei diversi autori comporta spesso il rischio di lasciar cadere o affrontare senza la dovuta accuratezza aspetti fondamentali del loro pensiero. Ne è un esempio nella trattazione del pensiero di Gadamer l’identificazione del comprendere con l’interpretare e dell’essere con il linguaggio. Ciononostante il libro di Mazzoni, soffermandosi sulle modalità con cui l’ermeneutica si confronta con la musica, ha il pregio di mettere l’ermeneutica stessa alla prova. La musica infatti, richiedendo certamente di essere interpretata, sembra chiamare l’ermeneutica ad uno sforzo supplementare, verso un avvicinamento a ciò che l’opera musicale è in quanto tale. La musica nell’ermeneutica contemporanea, al di là degli aspetti meramente espositivi o compilativi, è dunque un testo che indica per l’ermeneutica una nuova prospettiva, spingendola ad addentrarsi senza timore nella ricchezza della disciplina musicale. 
PUBBLICATO IL : 28-01-2009

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