www.giornaledifilosofia.net

Jean-Luc Nancy, Verità della democrazia , Edizioni Cronopio, 2009.
di Salvatore Piromalli

E’ stato recentemente tradotto in Italia un agile volumetto di Jean-Luc Nancy intitolato Verità della democrazia, edito in Francia nel 2008 per le Édition Galilée e vincitore del ‘Prix du pamphlet 2008’ (trad. it. di Roberto Borghesi e Antonella Moscati, Cronopio, Napoli, 2009, collana ‘Rasoi’). Tredici scritture concise ed efficaci che rilanciano motivi già presenti nella lunga riflessione filosofica di Nancy, a partire dal testo ormai famoso La comunità inoperosa (Cronopio, 1983), a Essere singolare plurale (Einaudi, 1996), a La creazione del mondo (Einaudi, 2002).
Il tentativo del filosofo francese, considerato uno dei più importanti pensatori contemporanei, è quello di sottrarre la democrazia, e con essa la dimensione del Politico, al destino che dal dopoguerra ad oggi sembra averla caratterizzata: la sua degradazione a forma gestionale priva di tensione, funzionale alla logica interna del dominio capitalistico, una logica fondata sull’equivalenza generale dei fini, dei valori, delle singolarità, misurati dal criterio del denaro e della forma-merce e votati all’interscambiabilità. Il movimento del ’68, se se ne vuole cogliere l’inedita radicalità e originalità, al di là di facili liquidazioni o enfatizzazioni, rappresenta il primo tentativo di porre un’interrogazione radicale su questo rischio della democrazia, una revoca in dubbio della certezza democratica rinchiusasi su se stessa e priva di slancio, dunque la riapertura di una scommessa, di un desiderio che trascenda i limiti angusti della democrazia rappresentativa, formale, borghese: «68 non è stato né una rivoluzione, né un movimento di riforme (benché ne sia derivata tutta una serie), né una contestazione, né una ribellione, né una rivolta, né un’insurrezione […]», bensì il tentativo di denunciare l’implosione e il «difetto costitutivo di una democrazia che non sapeva, non poteva o non voleva portare alla luce il demos che doveva costituirne il principio» (pp. 10 e 15). Lo spirito di quella sfida non ha mai smesso di soffiare, secondo Nancy, e il proposito che anima le pagine del suo libretto è proprio quello di individuare e prolungare quel soffio provocatorio, di rilanciare l’esigenza di reinventare la democrazia, aprendo in essa e per essa un altro regime di pensiero e un’altra prassi politica.
Occorre innanzitutto liberare la concezione della democrazia dalla sua inscrizione all’interno della filosofia del Soggetto (individuale o collettivo), «dal presupposto del soggetto padrone delle proprie rappresentazioni, volizioni e decisioni» (p. 24): un soggetto concepito come «essere-a-sé, auto produttore, auto formatore e autoteleologico» (p. 23) che gli esiti del pensiero contemporaneo sembrano aver definitivamente superato. Quella che Nancy propone è una apertura del soggetto, uno sfondamento che è liberazione di nuove possibilità, in quanto «l’uomo supera infinitamente l’uomo» (p. 23), e ciò che muove l’esistenza individuale e collettiva è – nella sua costitutiva finitezza – un’esigenza infinita: «Noi siamo in comune. Poi, dobbiamo diventare ciò che siamo: il dato è quello di un’esigenza, ed essa è infinita» (p. 23, nota). In questa tensione aperta, che è desiderio, attesa, promessa, pensiero, va ritrovata una pratica di democrazia come «autentica possibilità di essere tutti insieme, tutti e ognuno» (p. 29), va riscoperto lo spirito, il soffio, il senso autentico della democrazia, senza i quali essa non sarebbe altro che mera «gestione delle necessità e dei compromessi» (p. 31). Dobbiamo ri-pensare la democrazia sapendo che essa «è spirito prima ancora di essere forma, istituzione, regime politico e sociale. […] Lo spirito della democrazia non è niente meno che questo: il soffio dell’uomo, […] dell’uomo che supera infinitamente l’uomo» (p. 31-32).
Qui Nancy – rilanciando le riflessioni sull’inoperosità della comunità e sull’essere singolare plurale – mette in guardia da una concezione della politica orientata alla pretesa di mettere in opera una condivisione assoluta tra le singolarità, sia essa orientata al mito della nazione, di una Repubblica, di un destino dell’umanità, di una identità del comune: la politica deve sottrarsi a questo mito, deve astenersi da tale pretesa, limitandosi solo a tracciare e garantire lo spazio per l’esercizio delle annodature tra le singolarità, mantenendo aperta la possibilità di questa esposizione infinita dell’uno all’altro ma senza assumerne il contenuto, senza prescrivere il senso e il valore di qualcosa che rimane incommensurabile, incalcolabile, non ipostatizzabile in nessuna figura o significato. Il destino della democrazia e della politica è allora legato alla trasformazione del paradigma dell’equivalenza e «all’apertura del senso singolare di ognuno e di ogni rapporto. Solo questo permette di uscire dal nichilismo: […] la manifestazione di tutti su uno sfondo in cui il “niente” significa che tutti valgono incommensurabilmente, assolutamente e infinitamente. […] Ognuno – ogni “uno” singolare di uno, di due, di molti, di un popolo – è unico di un’unicità, di una singolarità che obbliga infinitamente e si obbliga a essere messa in atto, in opera e in lavoro» (pp. 50-51). Il Politico consiste nella «rinuncia all’Identificazione», per rendere possibile «una proliferazione di figure affermate, inventate, create, immaginate, e così via. […] La politica democratica apre lo spazio per identità molteplici e per la loro partizione, ma essa stessa non deve configurarsi. E’ quanto il coraggio politico, oggi, deve saper dire» (p. 54).
Nancy porta così alle estreme conseguenze una concezione inoperosa della democrazia che deve rimanere promessa sempre av-venire, come già indicava Derrida nel suo Politiche dell’amicizia (Raffaello Cortina, 1995, p. 361): una democrazia che anziché definirsi in una figura, in una forma, in un destino, in una verità comune, mantiene continuamente dischiuso lo spazio dell’in-comune, che accoglie «tutto il pullulare possibile delle forme che l’infinito può assumere, delle figure delle nostre affermazioni e delle dichiarazioni dei nostri desideri» (Nancy, p. 55). In questa inoperosità fecondata e rilanciata incessantemente dalla promessa, che inscrive l’infinito nel finito e l’av-venire nel kairos del presente, sta la verità della democrazia: «Democrazia vuol dire che né la morte né la vita valgono in se stesse, ma che vale soltanto l’esistenza condivisa in quanto si espone alla sua assenza di senso ultimo come al suo vero – e infinito – senso d’essere» (p. 62). La verità della democrazia non può essere sussunta da nessuna istanza ordinatrice (religiosa, politica, scientifica, estetica), poiché essa è ciò che «impegna interamente l’“uomo” in quanto rischio e chance di se stesso, “danzatore sull’abisso”» (p. 66).
Vale la pena di notare che la concezione inoperosa della democrazia di Nancy presenta sorprendenti convergenze con quella di un’altra pensatrice contemporanea di origine andalusa, María Zambrano, per molti altri aspetti del tutto distante dal pensiero di Nancy, che in Persona e democrazia (Bruno Mondadori, 2000) scrive: «Non c’è infatti ragione per cui l’immagine [della democrazia] debba essere quella di un edificio e non di una sinfonia. Il motivo per cui la maggior parte delle persone la pensano così, può essere forse che l’edificio resta una volta per tutte… finché dura. Invece la sinfonia dobbiamo ascoltarla, riprodurla ogni volta; dobbiamo in un certo senso rifarla, o contribuire alla sua realizzazione: è un’unità, un ordine che viene a crearsi davanti a noi e dentro di noi. Esige la nostra partecipazione. Dobbiamo entrare a farvi parte per poterlo cogliere appieno. L’ordine di una società democratica è più simile all’ordine musicale che all’ordine architettonico. […] La trasformazione che deve avvenire farà sì che finalmente un giorno o l’altro l’immagine delle vita storica, dell’attività storica, proverrà forse dalla musica, da quest’ordine che sa mettere in armonia le differenze» (pp. 195-196).
In sostanza, sembra dirci Nancy nelle pagine centrali del suo pamphlet, la democrazia è fondata sul niente, la sua sovranità è niente: «Essa non si depone in nessuna persona, non si delinea in nessun contorno, non si erige in nessuna stele. Essa è, semplicemente, il supremo. Niente al di sopra. Né Dio né Maestro. In questo senso democrazia vale anarchia. Ma l’anarchia incita ad azioni, a operazioni, combattimenti, messe in forma che permettono di preservare rigidamente l’assenza dell’archia  posta, deposta, imposta. Il kratein democratico, il potere del popolo, è innanzitutto il potere di mettere in scacco l’archia e poi di prendersi carico, tutti e ognuno, dell’apertura infinita che è stata così messa in luce» (pp. 63-64). Parole queste che – nella loro lucida inattualità – suonano come una denuncia sofferta ma non rassegnata dei processi politici in corso in questa anestetizzata Europa, nostalgica del mito immunitario e deposta ai piedi di un kratein personalistico e autoritario, messianicamente sospirato come salvaguardia dalle angustie del presente e dalle ansie del futuro, dalle fobie dell’altro e dalle sindromi da assediamento, che agiscono come potenti fattori di deresponsabilizzazione e di delega politica.
Quello di Nancy è invece un invito ad una politica democratica che si ritragga e si sottragga al compito di indicare fini, valori, forme, affinché lo spazio aperto del possibile resti disponibile per la danza singolare plurale dell’essere, una danza-in-comune che si libra sull’abisso dell’assenza di Senso e di Fondamento. Una concezione della democrazia che «è in primo luogo una metafisica e solo in secondo luogo una politica» (p. 68), ammette Nancy alla fine del suo breve saggio. La coincidenza che Nancy traccia tra ontologia e politica, fondata sulla relazionalità costitutiva e originaria tra le singolarità, è un aspetto che non ha mancato di sollevare osservazioni e interrogativi nel dibattito filosofico contemporaneo. Una di queste voci critiche è quella di Adriana Cavarero che, nel suo A più voci. Filosofia dell’espressione vocale (Feltrinelli, 2003), rileva come quella di Nancy sia una concezione che «finisce però per negare una sfera che sia propria della politica. Il risultato è una comunità che, per via della sua coincidenza con l’ontologia, si estende quanto la condizione umana della singolarità plurale ed è già subito e ovunque» (p. 213). Qui – nonostante il comune interesse per l’ontologia relazionale dell’unicità – emerge secondo Cavarero un punto di profonda divergenza tra Nancy e la posizione di Hanna Arendt, che non soltanto riconosce una sfera autonoma alla politica, non coincidente con l’ontologia anche se con essa in rapporto, ma ritiene che proprio in quest’ambito si dia la possibilità di un’esposizione delle singolarità le une alle altre, attraverso parole e atti che, in quanto agiti in una sfera pubblica e relazionale, rendono possibile e concreta la prassi democratica. Come dire: non c’è ontologia relazionale senza manifestazione del e nel momento politico, non c’è democrazia senza espressione e senza azione nell’ambito di uno spazio pubblico, che si caratterizza come eminentemente politico.

PUBBLICATO IL : 23-01-2010

Giornaledifilosofia.net è una rivista elettronica, registrazione n° ISSN 1827-5834. Il copyright degli articoli è libero. Chiunque può riprodurli. Unica condizione: mettere in evidenza che il testo riprodotto è tratto da www.giornaledifilosofia.net.

Condizioni per riprodurre i materiali --> Tutti i materiali, i dati e le informazioni pubblicati all'interno di questo sito web sono "no copyright", nel senso che possono essere riprodotti, modificati, distribuiti, trasmessi, ripubblicati o in altro modo utilizzati, in tutto o in parte, senza il preventivo consenso di Giornaledifilosofia.net, a condizione che tali utilizzazioni avvengano per finalità di uso personale, studio, ricerca o comunque non commerciali e che sia citata la fonte attraverso la seguente dicitura, impressa in caratteri ben visibili: "www.giornaledifilosofia.net". Ove i materiali, dati o informazioni siano utilizzati in forma digitale, la citazione della fonte dovrà essere effettuata in modo da consentire un collegamento ipertestuale (link) alla home page www.giornaledifilosofia.net o alla pagina dalla quale i materiali, dati o informazioni sono tratti. In ogni caso, dell'avvenuta riproduzione, in forma analogica o digitale, dei materiali tratti da www.giornaledifilosofia.net dovrà essere data tempestiva comunicazione al seguente indirizzo (redazione@giornaledifilosofia.net), allegando, laddove possibile, copia elettronica dell'articolo in cui i materiali sono stati riprodotti.