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William James, Saggi sull'empirismo radicale , (a cura di L. Taddio), Mimesis, 2009.
di Samantha Maruzzella

Come asserisce il curatore dell’edizione italiana dei Saggi sull’empirismo radicale, Luca Taddio, essi rappresentano la fase più matura e originale della riflessione filosofica di William James, ma soprattutto per noi un canale privilegiato per entrare nella filosofia dell’esperienza di James, cui molti autori si sono rifatti nelle loro opere e nella loro riflessione: da Bergson a Russell, da Deleuze a Putnam.
Fu lo stesso James a pensare di raccogliere tutti questi articoli per delineare un quadro unitario della teoria che da lì andava prendendo sempre più vigore, fino all’uscita, pochi anni prima della morte de Il significato della verità – l’empirismo radicale, appunto – e fu così che nel 1907 James riunì questi saggi in forma di dispense per i suoi studenti, sotto il tiolo di Essay in Radical Empiricism, e li depositò nella Biblioteca di Harvard e nella Biblioteca di Filosofia ad Emerson Hall.
In questa raccolta, che contiene saggi pubblicati su varie riviste tra il 1904 e il 1905, seguendo fedelmente i criteri utilizzati dal curatore statunitense Ralph Barton Perry (1912), James si confronta con quelli che sono stati i temi fondamentali della sua riflessione, prima tra tutte la nozione di coscienza, ma anche della concezione psicologica di una completa integrazione tra mondo psichico e mondo naturale.
La tesi di fondo del primo saggio Esiste la “coscienza”? è infatti che la mente umana non è distinta dal mondo naturale, e che essi altro non sono che due aspetti differenti di un unico complesso di realtà. Accusato spesso di utilizzare espressioni colloquiali, questa raccolta dimostra invece una grande attitudine al ragionamento e alla semplificazione anche per un pubblico di non addetti ai lavori. Merito fondamentale è quello di aver fornito in modo chiaro e inequivocabile la definizione di empirismo radicale, come di un empirismo che «non deve ammettere nelle sue costruzioni alcun elemento che non sia direttamente sperimentato, né deve escludere da esse alcun elemento che sia invece direttamente sperimentato» (p. 28).
L’empirismo radicale – seguendo una sorta di andamento dialettico – si compone di tre momenti essenziali: vi è un postulato, un dato di fatto e una conclusione.
Il postulato è che i filosofi possono tra loro discutere soltanto di cose definibili in termini tratti dall’esperienza. Il postulato è la dichiarazione di base del metodo empirico, in quanto le nostre teorie non dovrebbero interessarsi e cercare di comprendere/incorporare entità soprannaturali o trans-empiriche, pur non giungendo mai a negarle, ma soltanto sottolineando l’inutilità del parlare di esse.
CLa constatazione di fatto per James è che la nostra esperienza non è solo un flusso di dati, ma un processo molto complesso e pieno di significati. Noi vediamo gli oggetti in termini di ciò che significano per noi e vediamo le connessioni causali tra i fenomeni. L'esperienza è "double-barreled": essa ha sia un contenuto che è costituito dai dati sensoriali, sia un riferimento, ed è ingiusto e inesatto cercare di ridurre l’esperienza a nude sensazioni, come invece voleva fare l’empirismo tradizionale, in particolare nella sua veste lockiana e humiana.
La conclusione di tutto questo discorso è che la nostra visione del mondo non ha bisogno di una base trans-empirica, perché già possiede in sé una struttura concatenata o continua perché l'esperienza è piena di connessioni e che queste connessioni sono parte di ciò che è realmente vissuto.
Influenzato anche da letture bergsoniane, sarà proprio nei Saggi che James inizierà a parlare di un’unica sostanza reale, che di per sé non é né spirituale né materiale: questa sostanza si rifrange in una miriade di elementi, che prendono il nome di pura esperienza e che, nonostante li definiamo in termini di esperienza, essi non sono né pura coscienza soggettiva, né puro oggetto di coscienza. I vari elementi del’esperienza si combinano tra loro secondo rapporti e modalità diversi, il che fa sì che talvolta un elemento possa configurarsi come conoscente, talaltra come conosciuto. Ma questo non li rende due oggetti differenti.
Quello cui James sembra aver di mira in questi saggi è la distruzione, una volta per tutte, di tutti i dualismi che da sempre attraversano il pensiero filosofico, primo tra tutti quello tra soggetto e oggetto. La risposta a tutte le obiezioni che in tal senso gli sono state poste, risiede nelle relazioni di congiunzione e dall’intimità [intimacy] che le relazioni tra loro intrattengono. Una modalità di relazione che ha spesso provocato problemi in filosofia è quella della «transizione con-cosciente, per cui un’esperienza trapassa in un’altra appartenendo entrambe allo stesso io» (p. 31). Nonostante le molteplici teorie cui la filosofia è ricorsa nell’arco dei secoli, la spiegazione è intuitiva: quantunque i due momenti siano due, la transizione dal’uno all’altro è continua, e la continuità è un tipo definito di esperienza. La vita è un flusso e, come diceva Bergson riferendosi a James, dal suo punto di vista – che è quello dell’empirismo radicale – «la realtà non è né finita, né infinita, ma indefinita: essa scorre, senza che noi possiamo dire se scorra verso un’unica direzione o se sia sempre e dovunque il medesimo flusso».

PUBBLICATO IL : 04-04-2010

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