www.giornaledifilosofia.net

Marco Bastianelli, Oltre i limiti del linguaggio. Il kantismo nel Tractatus di Wittgenstein , Mimesis, 2008.
di Fausto Fraisopi

Esiste una posizione kantiana, cioè trascendentalista, nel Tractatus di Wittgenstein? Se sì, in che misura ne influenza i presupposti, l’articolazione e, in ultima istanza, gli esiti teoretici fondamentali? Queste sono alcune delle questioni che animano e strutturano l’interessante libro di Marco Bastianelli, Oltre i limiti del linguaggio. Il kantismo nel Tractatus di Wittgenstein, articolato su un discorso che si snoda tra una ricerca storico-filosofica delle tracce di kantismo presenti nel pensiero del primo Wittgenstein e un’interrogazione teoretica generale sullo statuto della soggettività e sull’esposizione del soggetto alla manifestazione del mondo.
Quanto Kant c’è in Wittgenstein? La questione potrebbe sembrare oziosa, soprattutto se la si prendesse in senso filologico, come se si potesse istituire un legame tra la filosofia trascendentale di Kant e la filosofia enigmatica, criptica e a tratti mistica del Tractatus semplicemente attraverso la dimensione quantitativa delle citazioni di Kant nell’opera. Infatti «il rapporto di Wittgenstein con la filosofia kantiana va ricercato ad un livello molto più profondo di quello offerto dalle esplicite dichiarazioni dell’autore o da un confronto diretto con i testi delle Critiche» [p. 31]. La questione esula al contrario dall’ovvietà qualora s’intenda veramente comprendere, dal punto di vista storico-filosofico, in che modo, in che misura e secondo quali canali una certa qual posizione trascendentalista arrivi ad influenzare e ad orientare le ricerche del Tractatus. Diviene ancora più interessante chiedersi come alcuni temi del kantismo, quali quello del “limite”, quello della “rappresentazione” e quello del “soggetto” arrivino trasfigurati nel Tractatus, filtrati da una tradizione, da letture, da applicazioni disparate.
Il problema è, in sostanza quello classico della rappresentazione del reale, dei limiti dell’oggettività di una tale rappresentazione e della possibilità che si diano una o viceversa molteplici rappresentazioni con lo stesso tenore di oggettività e di “cogenza epistemologica”. Come afferma l’Autore, «la questione della corrispondenza tra conoscenza e realtà [...] sorge per il mondo, come ciascuno di noi sperimenta, ci si dà come condizione stessa di ogni nostra azione» e anche, potremmo aggiungere, come correlato essenziale. «Questo suo darsi, però − prosegue l’Autore − ha perlopiù il carattere di una irruzione che pare indipendente dalla nostra volontà o dalle nostre aspettative. L’uomo, in altre parole, si trova già nel mondo ed esso gli si presenta non solo in modo anonimo e gratuito ma spesso anche imprevisto e minaccioso». La coscienza di questa situazionalità inaspettata del soggetto di fronte all’apertura della manifestazione, che contraddistingue il pensiero di Wittgenstein come anche quello di Husserl, è una coscienza che detta allo stesso tempo diversi metodi di approccio e, ipso facto, diversi modi di recuperare le istanze della filosofia trascendentale.
La via wittgensteiniana al kantismo parte dalla lettura di molti grandi autori in cui il kantismo è presente, qualche volta come traccia storico-culturale indelebile nel mondo austro-tedesco (Boltzmann e Hertz), altre volte come referente esplicito (Schopenauer), altre ancora come istanza trascendentale di oggettività della logica (Frege) oppure come istanza di critica (analisi delle condizioni di possibilità) di un dato fenomeno dell’umano (come la critica del linguaggio in Fritz Mauthner). Ma ciò che è più interessante è capire in che senso tutte queste immagini del kantismo, e dell’istanza trascendentale, si sovrappongano e si sedimentino alla base dell’interrogazione dell’umano svolta nel Tractatus. Wittgenstein è il primo ad applicare effettivamente, esplicitamente e con una chiarezza logica unica nel suo genere, la questione kantiana delle condizioni di possibilità al plesso concettuale linguaggio-mondo. Secondo Wittgenstein, il problema della pretesa di oggettività della rappresentazione del mondo va posto innanzitutto nei termini del linguaggio:

“Wittgenstein compie dunque un passaggio ulteriore rispetto a Kant, sottolineando che il pensiero è ‘l’immagine logica dei fatti’ (TLP,3) e che il linguaggio ne è l’espressione (cfr. TLP, Pref. E 3.4-4001). Con questa presa di posizione, egli attua quella svolta in senso linguistico dell’indagine trascendentale, identificata comunemente nel proposito di ‘tracciare un limite nell’espressione dei pensieri’ (cfr. TLP, Pref.)”.

La condizione di possibilità della rappresentazione si traduce (secondo un linguaggio che si mostra ma non viene fatto esplicitamente “oggetto” di indagine nel Tractatus) nei termini del linguaggio, della sua forma e del modo in cui la logica struttura l’immagine del mondo. Per citare Alexander Maslow, uno di quelli che, con Stenius, Stegmüller, Apel e Rorty, Hintikka, indicano una traccia profonda del kantismo nel Tractatus: «com’è possibile [...] che le condizioni formali di un simbolismo applicato al mondo possano essere da quest’ultimo soddisfatte?» [p. 72]. Maslow prosegue: «detto approssimativamente, è il problema della Critica della ragion pura». Si potrebbe concordare con quest’affermazione, senz’alcuna riserva di principio. Tuttavia ciò che risulta più interessante è proprio ciò che resta fuori dall’approssimazione e che bisogna interpretare in modo filosoficamente eloquente: il divenire dell’istanza trascendentale tradotta (o ridotta) al problema della rappresentazione del mondo nei termini del simbolismo che vi è applicato. Se infatti il compito kantiano come quello che giace alla base del Tractatus di Wittgenstein è esplicitamente quello di «delimitare il reame del pensabile», Wittgenstein, sulla base dell’influsso fregeano e russelliano, svuota il compito trascendentale di tutti quegli assunti psicologico-egologici che impedivano alla logica kantiana di avere una presa plastica, dinamica sul reale. Checché se ne dica, la logica trascendentale kantiana si modella − ed è intenzionalmente modellata − sulle funzioni dell’animo, cioè su uno schema psicologico che tanto Frege quanto Russell avevano rimosso dal problema dell’oggettività e della cogenza della logica. Nel riprendere questi temi, e nell’aderire (almeno prima facie) al programma del logicismo, Wittgenstein si trova di fronte ad un’istanza trascendentale interamente svuotata di sovrastrutture psicologiche inerenti al soggetto e la teoria della soggettività. Non c’è soggetto − almeno non esplicitamente − nelle proposizioni fondamentali da cui parte l’interrogazione del Tractatus: ciò non significa che il soggetto sia assente dal Tractatus; al contrario.
Il soggetto inizia ad emergere, nel Tractatus, laddove l’interrogazione del linguaggio lascia intravvedere una scissione, necessaria, tra la sintassi e la semantica, cioè tra la relazione di denominazione [Benennung], che deve «avvenire mediante determinazioni arbitrarie» [TLP, 22.10.14] e la forma logica della proposizione, implementabile a qualsiasi macchina di Turing o a qualsiasi altro apparato computazionale. L’immagine del mondo, quell’immagine di stati di cose descritti, irregimentati dalle proposizioni secondo una sintassi, non coincide affatto con quest’ultima. L’istanza trascendentale del Tractatus consiste allora nell’affermare che «le proposizioni della logica descrivono l’armatura del mondo, o, piuttosto la rappresentano» [TLP, 6, 124]. Detto altrimenti: le proposizioni della logica «segnano il limite dello spazio occupato dal linguaggio per raffigurare la realtà» [p. 126]. Il soggetto allora entra in gioco laddove si consideri che ques’armatura del mondo non è ciò che nel mondo si trova, ma la struttura, la definizione delle possibilità degli stati in cui le cose del mondo possono arrivare a manifestazione. Laddove la Benennung sia riconosciuta come esclusivamente appartenente alla dimensione semantica (come potrebbe essere altrimenti, come, secondo un presupposto ancora trascendentale, una forma potrebbe darsi essa stessa un contenuto?) allora il linguaggio, pur irregimentato dalla forma sintattico-logica della proposizione, riceve il suo senso altrove e riceve la sua garanzia logica dalla sintassi.
L’isomorfismo tra pensiero, linguaggio e realtà, che rappresenta in sostanza il presupposto trascendentale (se non squisitamente metafisico) del Tractatus dischiude l’interogazione sulla realtà del soggetto, posto al confine, un confine impercettibile, quasi intangibile, tra semantica e sintassi: «Il soggetto non è parte, ma limite del mondo» [TLP, 5.632] E’ su questa frattura, diremmo necessaria, che viene impostata la questione del soggetto e del solipsismo. Se infatti la sintassi logica della proposizione si limita a dettare i limiti di quel linguaggio, di quel mondo, che si riempe di “oggetti” e “stati di cose” in virtù di una dimensione semantica eccedente, in virtù della Benennung, il soggetto si vede relegato in una forma di solipsismo secondo cui «i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo» [TLP, 5.62]. Non solo l’uomo non può uscire dalla forma dettata dalla sintassi logica, presupposto trascendentale della teoria iconica, ma non può uscire da quel guscio definito dal suo accesso privato, empirico, rilevante dalla concrezione semantica della sua esperienza personale. La logica del Tractatus è solo apparentemente una logica senza soggetto, nella misura in cui solo la sintassi, quella forma che prescinde dai nomi e dalla loro affermazione, potrebbe essere implementata in una macchina di Turing. Il senso della proposizione eccede la sintassi, rinviando a un limite non estensivo ma intensivo (implosivo) del linguaggio, quel punto in cui il linguaggio incontra una frizione non più dovuta alla coerenza e alla dimostrabilità ma, appunto, al senso.
Come si esce allora da questa impasse solipsistica, come il soggetto può oltrepassare i limiti semantici dettati dall’esperienza personale per attendere un livello di visione d’insieme del linguaggio e, quindi del mondo? E’ a questo punto che si manifesta tutta la portata paradossale, allusiva, speculativa dell’impresa del Tractatus, un’istanza critica di descrizione che arriva, sotto certi aspetti, a svuotare di consistenza dall’interno i fondamenti del discorso che intraprende. Da questo punto di vista il Tractatus si rivela essere una delle opere più geniali e profonde del pensiero occidentale, un’opera in cui la via del trascendentale − ipotesi filosofica potentissima − è percosa fino alla scoperta della sua afasia attraverso l’esplicitazione delle sue implicazioni fondamentali e irrinunciabili. E’ questo il senso, sebbene non la spiegazione, della proposizione 6. 54 del Tractatus:

“Le mie proposizioni illuminano cosi’: Colui che mi comprende , infine le riconosce insensate [unsinnig], se è asceso per esse − su esse − oltre esse. (Egli deve, per cosi’ dire, gettar via la scala dopo esser asceso su di essa.) Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che egli vede rettamente il mondo”.

Quel terreno inesplorato tra la dimensione del senso (descritta dal Tractatus e dalle sue proposizioni) e la dimensione del non-senso, la contraddizione, si staglia un territorio in cui si colloca quel sistema di proposizioni che pretendono descrivere il nostro approccio al mondo, senza tuttavia poter ricevere alcuno statuto di oggettività logica né di cogenza dimostrativa.
In questa trama di paradossalità che pervade il Tractatus, che lo determina ab initio e ab imis fundamentis, va vista una situazione del tutto rilevante per la comprensione dei problemi, delle possibili evoluzioni, delle involuzioni dell’istanza trascendentale qua talis. Il libro di Marco Bastianelli, costruito sapientemente attorno alla questione del kantismo nel primo Wittgenstein, contribuisce ad aprire un terreno di riflessione e di approccio non solo storiografico ma anche e soprattutto teorico ad un momento fondamentale per la filosofia occidentale e per la crisi (superamento?) della metafisica.

PUBBLICATO IL : 04-04-2010

Giornaledifilosofia.net è una rivista elettronica, registrazione n° ISSN 1827-5834. Il copyright degli articoli è libero. Chiunque può riprodurli. Unica condizione: mettere in evidenza che il testo riprodotto è tratto da www.giornaledifilosofia.net.

Condizioni per riprodurre i materiali --> Tutti i materiali, i dati e le informazioni pubblicati all'interno di questo sito web sono "no copyright", nel senso che possono essere riprodotti, modificati, distribuiti, trasmessi, ripubblicati o in altro modo utilizzati, in tutto o in parte, senza il preventivo consenso di Giornaledifilosofia.net, a condizione che tali utilizzazioni avvengano per finalità di uso personale, studio, ricerca o comunque non commerciali e che sia citata la fonte attraverso la seguente dicitura, impressa in caratteri ben visibili: "www.giornaledifilosofia.net". Ove i materiali, dati o informazioni siano utilizzati in forma digitale, la citazione della fonte dovrà essere effettuata in modo da consentire un collegamento ipertestuale (link) alla home page www.giornaledifilosofia.net o alla pagina dalla quale i materiali, dati o informazioni sono tratti. In ogni caso, dell'avvenuta riproduzione, in forma analogica o digitale, dei materiali tratti da www.giornaledifilosofia.net dovrà essere data tempestiva comunicazione al seguente indirizzo (redazione@giornaledifilosofia.net), allegando, laddove possibile, copia elettronica dell'articolo in cui i materiali sono stati riprodotti.