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Roberto Ciccarelli, Immanenza. Filosofia, diritto e politica della vita dal XIX al XX secolo , Il Mulino, 2008.
di Dario Gentili

«L’uomo libero non pensa a nulla meno che alla morte, e la sua sapienza è meditazione non della morte, ma della vita». Questa affermazione di Spinoza, per Roberto Ciccarelli, rappresenta un impensato della filosofia occidentale, che, da Platone a Heidegger, seppur in modi e con esiti radicalmente diversi, ha avuto nella “riflessione sulla morte” un leit-motiv della sua tradizione. Immanenza. Filosofia, diritto e politica della vita dal XIX al XX secolo, invece, cerca d’individuare un itinerario filosofico alternativo, riannodando i fili di una “riflessione della vita” – e non sulla vita – che non abbia nella morte il proprio vertice prospettico. Come indica il titolo del volume, è a un pensiero dell’immanenza che Ciccarelli attribuisce la possibilità di pensare in modo affermativo la vita. Tuttavia, l’immanenza stessa è una categoria figlia di un dio minore della filosofia: anch’essa è stata irreggimentata in una dicotomia che tradizionalmente ha nella “trascendenza” il termine portatore di senso. Il pensiero dell’immanenza riannoda allora le tracce dei “figli minori” delle grandi dicotomie e dei dualismi che hanno caratterizzato la storia della filosofia occidentale: spirito/materia, anima/corpo, noumeno/fenomeno. E tuttavia, il pensiero dell’immanenza proposto da Ciccarelli non mira affatto a rovesciare la gerarchia dei termini, bensì a revocare in questione il dualismo stesso; non certo alla maniera della filosofia trascendentale, di Kant in primis e dei neokantiani, che riduce tale dualismo, e di conseguenza il governo della molteplicità della vita, all’unità del soggetto conoscente: universale e sovrano – maschio, bianco e occidentale, si potrebbe aggiungere oggi, in tempo di globalizzazione. Anzi, è proprio dalla critica della filosofia trascendentale – e della fenomenologia e dello strutturalismo – che sorge, in Francia, una linea di pensiero in cui si possono scorgere i tratti di un pensiero dell’immanenza, che culmina in Deleuze, l’ultimo scritto del quale s’intitola proprio L’immanenza: una vita. È difatti percorrendo la genealogia “minoritaria” della filosofia deleuziana che Ciccarelli ricostruisce un pensiero dell’immanenza che, sulla scorta dei non francesi Spinoza e Nietzsche, attraversa l’epistemologia e la fenomenologia francese per chiudersi in modo circolare nel confronto serrato tra Foucault e Deleuze, confronto da cui Ciccarelli, tra l’altro, trae la possibilità di pensare una politica all’altezza dell’immanenza della vita, che definisce pragmatica dell’immanenza. Tale dimensione “pragmatica” vuole rispondere alle accuse che ogni Realpolitik e ogni politica fondata su un trascendentale (la religione, la razza, la classe, il mercato)ha sempre rivolto a una politica dell’immanenza: inefficacia, velleitarismo, irresponsabilità, anarchismo.

La pragmatica dell’immanenza che Ciccarelli propone assume l’analisi foucaultiana della “razionalità governamentale” come forma di potere che ha soppiantato la sovranità e che caratterizza le società attuali, ma trova in Deleuze, nella sua idea di una “comunità dei senza comunità”, una possibile alternativa al biopotere diffuso e invasivo della società del controllo: una comunità di singoli che non hanno in comune nessuna identità univoca, personale o collettiva che sia. Se nessuna soggettività trascendentale governa a priori la vita e la sua molteplicità, potrebbe non derivarne il caos e l’anarchia; è piuttosto la vita stessa che, di volta in volta e di soggettivazione in soggettivazione, costituisce ogni singolo e ogni comunità non sacrificandone la molteplicità, ma portandola a espressione. Siamo poi così certi che il fondo oscuro, caotico, sensuale, irrazionale con cui la filosofia ha sovente stigmatizzato la vita, e che ne dovrebbe giustificare il governo, sia davvero più inquietante dell’anonimato, dell’uniformità e dell’omogeneità che tale governo oggi produce?
PUBBLICATO IL : 14-04-2010

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