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Armando Massarenti (ed.), Stramaledettamente logico. Esercizi di filosofia su pellicola , Laterza, 2009.
di Andrea Porcella
Divertente, pedagogico e non banale, Stramaledettamente logico, a cura di Armando Massarenti, propone al lettore quattro esercizi filosofici su altrettante pellicole cinematografiche. Oggetto delle indagini di noti filosofi, quali Achille Varzi, Roberto Casati, Nicla Vassallo e Claudia Bianchi, sono film di fama internazionale, amati dal grande pubblico, sia dal chiaro rimando filosofico, ed è il caso di Terminator (The Terminator, J. Cameron, USA 1984) e Matrix (Larry e Andy Wachowski, USA 1999), e film il cui margine filosofico è meno evidente, ma non per questo meno rilevante, quali Ricomincio da capo (Groundhog Day, H. Ramis, USA 1993) e il bel film Oltre il giardino (Being There, Hal Ashby, USA 1979) interpretato da un melanconico e geniale Peter Sellers.  
A differenza di molta della letteratura comparsa negli ultimi anni su cinema e filosofia, i saggi non affrontano i film con la pretesa di formulare una teoria del cinema, né “semplicemente” per parlarci di filosofia attraverso di essi. Il lettore non troverà quindi paragoni, rimandi o interpretazioni costruite su concetti della tradizione filosofica se non in maniera circoscritta, finalizzati alla chiarificazione del problema teorico a cui il film rimanda. Eclatante il caso della trilogia di Matrix, saga che facilmente si presta ad interpretazioni onto-teologiche, se non addirittura mistiche, e rispetto al quale Nicla Vassallo mantiene focalizzata la sua attenzione sul tema della scepsi, verificando la coerenza del film e le prospettive di risoluzione insite nella sua trama, senza nulla concedere a derive estetizzanti. La sua trattazione è fin dall’inizio di natura gnoseologica ed incentrata sul tentativo di dar risposta all’antica, quanto attuale domanda: cos’è la scepsi nella sua possibilità enunciativa? Il saggio della Vassallo è solo un esempio di come nel testo nulla interferisca con l’analisi dei problemi, di volta in volta indiscussi protagonisti, e rispetto ai quali il film diviene un esperimento mentale, una situazione limite in cui l’artificiosità diventa la via d’accesso privilegiata all’analisi filosofica.
Ma è veramente possibile considerare un film un esperimento mentale? La risposta a questa domanda richiederebbe una trattazione specifica di teoria del cinema e, coerentemente con il libro sarebbe oltremodo fuori luogo lasciarsi andare a digressioni di questo genere. Potremmo però almeno riprendere quanto afferma Armando Massarenti nella sua Postfazione, chiedendoci: che cos’è un esperimento mentale? In una definizione enciclopedica, nel caso specifico quella fornita da Wikipedia, con molta probabilità leggeremo: «Un esperimento mentale è un esperimento che non si intende realizzare praticamente, ma viene solo immaginato (…). Il carattere puramente mentale dell’esperimento permette di considerare situazioni non realizzabili praticamente e di esaminare l’esperimento in forma molto semplificata, tralasciando gli aspetti non pertinenti. Lo scopo di questo esercizio è mettere sotto esame una teoria esaminandone le previsioni, e in particolare mettendone in luce le conseguenze sorprendenti o paradossali». Nell’esperimento mentale si produce dunque, con l’ausilio dell’immaginazione, una realtà semplificata, un’esperienza non semplicemente riproduttiva, in modo da dirigere l’attenzione su ciò che ci interessa. La realtà semplificata è finalizzata a rendere evidenti le implicazioni e le conseguenze di un modello esplicativo ponendosi volontariamente al di fuori dell’esperienza reale, di per se stessa irriducibile al puro sguardo teorico. Dove però deve esser chiaro che con realtà “semplificata” non si deve intendere una realtà più semplice o addirittura banale, ma una esperienza creata per porre in evidenza quelle che posso essere delle implicazioni anche estremamente complesse.
Ora, sull’esperimento mentale esiste un’ampia letteratura secondaria dove principalmente si dibatte sulla sua natura e validità,  quello che qui ci interessa è che, come evidenza Nicla Vassallo nel suo saggio, comunque lo si voglia intendere, la filosofia fa uso dell’esperimento mentale dai tempi di Platone e di Aristotele. Esso è riconducibile a quello che E. Husserl avrebbe definito, riferendosi al metodo fenomenologico, come un uso, necessario e consapevole, della “finzione”. Che cos’è infatti il Mito della Caverna se non una realtà costruita con l’ausilio dell’immaginazione? Un modo per rendere il sistema di riferimento della dimostrazione coerente rispetto al fine e allo stesso tempo accessibile ad un eventuale lettore, uditore o spettatore? Come Platone anche Descartes, Leibniz ed Hegel, per citarne solo alcuni, fanno largo uso della finzione per portare ad evidenza dimostrativa ciò che non può essere esibito. Da questo punto di vista, Matrix, Il mito di Er, Terminator, La Monadologia, La sottile linea Rossa, non sono cose poi così distanti tra di loro. Nessuno scandalo. Che cos’è il film se non un esercizio immaginativo o, come lo definisce Massarenti rifacendosi ad Ejzenstejn, un esercizio spirituale in cui il regista ci conduce, attraverso il movimento e il montaggio (continuità e differenziazione), in una realtà modellata per produrre un certo tipo di esperienza e di conoscenza? In fin dei conti nel cinema, il lato sperimentale è tutto rinchiuso nell’assunzione di principio che come l’esperimento, il film, per quanto creato in direzione di una domanda/risposta, non contiene nelle sue premesse la certezza delle sue conseguenze: lo spettatore non esperirà necessariamente ciò che il regista aveva immaginato e tanto meno ne trarrà necessariamente le stesse conseguenze. Se la filosofia presuppone, pur naturalmente non riducendosi ad essa, un’esperienza “immaginativa rigorosa”, quale esperienza immaginativa è migliore di quella resa possibile dal cinema? É evidente che l’esperienza cinematografica è quella che più si avvicina al modo in cui si costituisce la nostra vita quotidiana a partire dalla sua individualità.
Il sapore di esercizio filosofico che contraddistingue i saggi sta proprio nell’enfasi posta in questa relazione tra la filosofia come rigore d’indagine e i film considerati come esperienze che, per quanto riguarda l’indagine filosofica, poco hanno da invidiare all’esperienza quotidiana. Ma bisogna far attenzione, questo non significa che l’esperimento, il film, sia sempre coerente o che filosoficamente “funzioni”. La prospettiva stramaledettamente logica in cui si muovono gli autori è dunque un modo per esibire le implicazioni e le conseguenze del film sottoponendolo allo sguardo filosofico ma senza per questo volerlo ricondurre ad una prospettiva unitaria, e specialmente senza risolverlo necessariamente in sistemi coerenti.
Torniamo brevemente a quelli che “lecitamente” si possono dunque definire gli esperimenti contenuti nel libro. I saggi di Achille Varzi e di Nicla Vassallo si muovo su un terreno più “facile” rispetto agli altri. Il loro, per un utente avvezzo alle digressioni filosofiche, risulta essere una sorta di accurato lavoro di sistematizzazione e riorganizzazione del senso comune. Chi non ha infatti passato, in gioventù o in vecchiaia, un po’ del suo tempo, dopo averli visti, a discutere sulla questione del tempo in Terminator, sulle circolarità della sua struttura temporale, o sulla questione, sollevata in Matrix, se viviamo o meno in un mondo reale e quale differenza corre tra il sapere e il non sapere dell’esistenza di una realtà altra rispetto a quella che costituisce la nostra quotidianità? Al contrario, i saggi di Roberto Casati e Claudia Bianchi risultano meno diretti e colpiscono l’attenzione del lettore trasformando due film che non hanno apparentemente grandi pretese “logiche” in due esperimenti mentali di grande interesse.
Casati, nel suo La tragedia dell’eterno ritorno, si cimenta sul film di Harold Ramis Grundhog day (presentato al pubblico con il titolo Ricomincio da capo), un film commerciale, “da cassetta” direbbero i cineasti un po’ snob, che diviene l’occasione per affrontare la questione della stasi, come ripetizione (l’eterno ritorno appunto), in relazione alla possibilità. Casati utilizza il film per mostrare come al variare del modello temporale, presupposto in una determinata struttura metafisica, corrisponde una variazione non solo in ambito conoscitivo, ma anche in ambito morale.  Il saggio mostra come ripetere ogni giorno la stessa giornata, avendo la possibilità di ricordare ciò che è accaduto, non costituisce un’occasione per un’estensione qualitativa della conoscenza. Nelle conclusioni Casati apre ad una riflessione sulla finitezza abbandonando la prospettiva logica. L’onniscienza di Dio, l’esperimento del ritorno dell’identico rispetto ad un soggetto che conserva la prerogativa di ricordare la differenza nell’invarianza, dimostra  che l’umano non sarebbe più tale senza quel continuo movimento di approssimazione che caratterizza la conoscenza rispetto al tempo ordinario in cui avvengono gli eventi. Solo in una metafisica dell’irripetibilità del tempo l’uomo ha l’occasione di essere diverso da ciò che è, solo in essa è possibile porre il problema morale. Il saggio si propone così come l’occasione per una critica laica ad ogni forma di eternismo, religiosa o nichilista, dove però manca una analisi della questione della decisione morale, inevitabilmente politica, del soggetto che decide di essere diverso da quel che è, senza la quale la critica resta incompiuta.
In Che cosa vuoi dire?, Claudia Bianchi conduce il lettore nella filosofia del linguaggio. Oltre il giardino è l’occasione per rispondere alle questioni: cosa rende possibile le nostre interpretazioni e cosa le legittima? Attraverso il gioco di equivoci verbali, le sovra-interpretazioni e le sotto-interpretazioni, su cui si costruisce la trama del film, Bianchi illustra la struttura intenzionale, contestuale e divinatoria che caratterizza, rendendola possibile, la comunicazione umana. In altri termini illustra gli stati mentali su cui si fondano le interpretazioni e la loro legittimità. L’esperimento dimostra come gli atti linguistici sono di per se stessi insufficienti a spiegare il fenomeno interpretativo che avviene sullo «sfondo di un complesso sistema di aspettative sul comportamento di chi ci sta di fronte, derivate da certe assunzioni sulla natura umana e sugli scambi comunicativi» [p. 90]. Uno sfondo dove l’equivoco e il fraintendimento fanno parte del gioco linguistico e in cui il successo dell’interpretazione è inevitabilmente affidato alla volontà di farsi comprendere, e alla necessità di riconoscere ciò che il destinatario di una proposizione intende a prescindere dall’intensione originaria e del contesto argomentativo.
Il libro suscita molte domande ed obbiezioni, a partire dall’ottimismo che fa da sfondo al saggio di Bianchi, che ci sembra dia troppo per scontato che ogni atto linguistico sia finalizzato alla comprensione o alla corretta interpretazione (come se nel linguaggio non entrassero in gioco dinamiche di potere, d’interesse, o di semplice affermazione verbale di convinzioni e credenze). Dubbi che però non ci sembra il caso di approfondire, il libro non è un libro per specialisti e dunque sarebbe quantomeno superfluo insistere su passaggi che avrebbero richiesto una trattazione di tutt’altro genere.
Solo una domanda ci sembra dovuta, una curiosità: cosa si potrebbe dire, in una prospettiva stramaledettamente logica, di film che frammentano ogni linearità argomentativa e rappresentativa, e che sembrano rinunciare anche alla minima coerenza esperienziale per esibire le implicazioni di un evento parallelamente all’evento stesso? Come i film di David Lynch, Mulholland Drive (2001) o il più recente e controverso Inland Empire – L’impero della mente (2006)? Solo una curiosità, ripeto, che nulla toglie al testo, che nel suo insieme è piacevole e ben argomentato. Se qualcuno, magari appassionato di film, mi chiedesse: “cos’è la filosofia”? non esiterei un minuto a consigliarne la lettura. Nonostante sia chiaro fin dal titolo che la prospettiva filosofica in cui si muovono gli autori non esaurisce il senso della filosofia e il suo rapporto con il cinema.

PUBBLICATO IL : 22-06-2010

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