Il lavoro di Laura Zanetti si concentra,
come si può ovviamente desumere dal titolo, sulla riflessione
di Luigi Scaravelli, un filosofo che non fu mai un “autore
popolare” ma un pensatore di un’onesta intellettuale
di notevole spessore, come sostiene Bernard Berenson in un ricordo,
la cui serietà e profondità, connesse ad una prosa
fulminea e densa, ha sempre posto l’interprete di fronte
ad un arduo lavoro nel comprendere la ricchezza teorica delle
sue argomentazioni. L’autrice – la cui opera si
inserisce nella collana di studi di filosofia, storia e scienza
della complessità, diretta da Giuseppe Gembillo e Giuseppe
Giordano che annovera studi di notevole qualità –
cerca di mostrare l’importanza e la densità delle
opere scaravelliane, adottando come “punto di vista”
l’esigenza di «rendere ragione dell’unità
speculativa del pensiero del filosofo fiorentino» (p.
31). La filosofia del pensatore toscano, infatti, è interamente
costituita nel suo fondo da elementi teorici che, benché
siano gli “stessi”, vengono in ogni lavoro affrontati
di “nuovo”, spesso da prospettive differenti. Ciò
mostra come il “problema speculativo” permanga quello
che si può ricavare dalla Critica del capire, la sua
opera principale pubblicata nel 1942, senza che alla sua produzione
possano essere attribuite “svolte” o ripensamenti
di sorta.
«Alla base della riflessione scaravelliana […] si
trova una duplice istanza: dare un’adeguata espressione
al problema metodologico e creare uno spazio teoretico in grado
di fondare e giustificare l’individualità»
(p. 37). Sicuramente tali questioni sono costitutive della stessa
forma mentis di Scaravelli, difatti anche quando si occuperà
negli anni ’40 della problematica epistemologica in Kant
e nella fisica contemporanea, esse rimarranno sullo sfondo come
problemi fondamentali a cui dover rispondere anche in sede di
analisi scientifica dei fenomeni fisici.
Il punto di partenza del lavoro della Zanetti è la Critica
del capire. Il testo del ‘42 pone l’interprete di
fronte ad una serie di problemi, che riguardano i fondamenti
stessi del pensiero filosofico. Il problema principale che si
ritrova all’interno dei cinque densi capitoli della Critica
del capire è indagare le dinamiche del rapporto realtà-conoscenza
che ha investito l’intera storia del pensiero filosofico.
All’interno dell’analisi di questa relazione è
necessario determinare la possibilità della giustificazione
delle strutture stesse del pensiero (identità, distinzione,
contraddittorietà, contrarietà, analisi e sintesi).
In tal senso la riflessione di Scaravelli non può non
confrontarsi, sebbene non con una modalità storiograficamente
inusuale, con la storia della filosofia.
L’autrice ricostruisce il “dialogo” scaravelliano
con la tradizione, seguendo l’ordine dei capitoli della
Critica. Sicuramente l’esame dell’esegesi scaravelliana
di Hegel, Croce e Gentile meriterebbe un maggiore approfondimento,
in cui la complessità della riflessione del pensatore
toscano si mostri in tutta la sua ampiezza, utile a far comprendere
come il confronto con Croce e Gentile sia, nelle modalità
diverse in cui avviene, decisivo per la stessa evoluzione del
pensiero del filosofo fiorentino proprio per la radicalità
dei risultati teorici a cui giunge. Il non soffermarsi su questi
aspetti della riflessione scaravelliana è dovuto all’intento
che l’autrice si è proposto, ossia racchiudere,
quasi con “scaravelliana” sinteticità e nitidezza,
il nucleo teorico della Critica su cui far ruotare il resto
della produzione scaravelliana. E’ sicuramente meritevole
di discussione la tesi della Zanetti secondo cui il metodo della
filosofia di Scaravelli sia definibile come «procedimento
per assurdo». Questa visione andrebbe confrontata con
il concetto di libertà positiva, definito nella sua struttura
nel capitolo terzo della Critica, che ha un ruolo centrale nella
comprensione del metodo scaravelliano, in quanto attraverso
esso può essere valutata la possibile giustificabilità
dell’“individuale” in un sistema filosofico.
Infatti tale concetto – tripartito in spontaneità,
concretezza e razionalità – può essere sicuramente
additato come l’elemento “positivo” –
benché tale positività meriti, e non è
questo il luogo, di essere spiegata e dimostrata – che
la riflessione scaravelliana produce, ossia il risultato “critico”
del volume del 1942.
I capitoli dedicati all’analisi degli scritti successivi
alla Critica del capire – quelli sulla filosofia kantiana
e cartesiana – costituiscono sicuramente la parte migliore
del libro. L’esegesi scaravelliana di Kant viene ricostruita
mettendo in rilievo tre questioni: 1) il confronto tra il periodo
“precritico” e quello “critico”; 2)
l’importanza di matematica e fisica per la struttura della
sintesi a priori; 3) la comprensione della funzionalità
dei principi della Critica della ragion pura. Attraverso l’attento
esame di questi elementi si può delineare la concezione
scaravelliana del rapporto scienza-filosofia in generale, oltre
che all’interno del sistema kantiano.
Anche gli ultimi lavori del filosofo fiorentino – le Osservazioni
sulla Critica del Giudizio e l’incompiuto saggio sulla
logica crociana – vengono ricondotti alla problematica
fondamentale del pensiero del filosofo fiorentino. Uno dei punti
sicuramente più interessanti del lavoro sulla terza critica
kantiana è la rilevanza che assume il giudizio di gusto
all’interno del sistema kantiano. Esso è «caratterizzato
da una sinteticità non sottoposta a schemi, quindi radicalmente
diversa dalla sintesi a priori che è a fondamento della
gnoseologia delle scienze» (p. 202), benché Scaravelli
delinei i limiti di questo giudizio rispetto alla giustificazione,
attraverso la sua funzionalità, dell’individualità.
Nel saggio mai terminato su Croce ricompare il problema della
storia e la sua concretezza nel giudizio crociano. Nelle pagine
di questo lavoro, pubblicate postume, lo sforzo crociano, e
gentiliano di liberarsi dalla sintesi a priori viene messo sempre
più in evidenza. Difatti le parti dedicate al giudizio
e sillogismo in Kant e in Hegel sono da considerasi assolutamente
decisive per comprendere la “realtà come storia”,
cioè il sistema crociano.
Benché l’intenzione di esaurire nella trattazione
la complessità dell’intreccio teorico che si mette
in scena nelle pagine scaravelliane sia un’operazione
ardua, la Zanetti dimostra, altresì, una grossa capacità
di rendere con precisione e sintetica chiarezza i temi principiali
della riflessione del filosofo fiorentino. Il lavoro della Zanetti
ha inoltre il merito di mettere in evidenza l’unitarietà
della riflessione scaravelliana che finora era stata poco rilevata
nella letteratura secondaria sul filosofo fiorentino.
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