I risultati presentati in Del principio di contraddizione in Aristotele
hanno avuto, sin dalla comparsa dell’opera, nel 1910, una considerevole
influenza sulla formazione intellettuale di una intera generazione di studiosi,
contribuendo, in tal modo, significativamente al revival logico e filosofico
polacco nella prima metà del Novecento. Una sintesi in lingua tedesca
- successivamente tradotta anche in inglese ed in francese – apparve nello
stesso anno della pubblicazione, costituendo a lungo, per molti, l’unica
modalità di accesso all’opera originale. E’, dunque, con
grande favore che accogliamo la prima traduzione in lingua italiana di questo
studio, di indiscutibile interesse, frutto di una riflessione in cui la visione
storica, la dimensione filosofica e l’aspetto logico-formale vivono di
un continuo rimando reciproco. Esordio imprescindibile di una ricerca ampia
ed organica – culminante nell’elaborazione di logiche polivalenti
-, l’opera qui presentata prefigura la possibilità di nuovi sviluppi
che, come auspicato dallo stesso Lukasiewicz, “non saranno privi di valore,
anche nel caso in cui dovessero dimostrare che nella prassi scientifica non
è possibile un sistema logico non aristotelico completo e coerente”
(p.17). L’analisi condotta da Lukasiewicz intende porre in risalto le
esigenze logiche e filosofiche che sottostanno all’accettazione del principio
di contraddizione, conducendo ad un ripensamento critico, e ad una chiarificazione,
dell’idea della “imprescindibilità” del principio stesso.
Ogni disamina critica del principio sembra, invero, dover affrontare una alternativa:
o si rende necessaria una prova del principio di contraddizione, oppure, come
suggerisce la soluzione aristotelica, si dà l’indimostrabilità
assunta e motivata per via indiretta. La problematica concernente la possibilità
stessa di una dimostrazione è, nell’ambito di una concezione che
eleva il principio di contraddizione a “legge del pensiero”, semplicemente
dissolta in base alla presunta originarietà e naturalità del principio
di contraddizione. Ed è proprio attraverso l’esame di alcuni tentativi
di dimostrazione che, nell’indagine di Lukasiewicz, emerge come il principio
di contraddizione non sia semplice ed autoevidente e come, piuttosto, l’uso
del concetto di evidenza come criterio di verità sia “un residuo
di quello “psicologismo” che ha portato la logica filosofica su
una falsa pista” (pp.101-2). Se, in occasione della lunga polemica contro
la “rovinosa irruzione della psicologia in logica”, è risolutamente
ribadito da Frege [Grundgesetze der Arithmetik] il carattere oggettivo
e normativo delle leggi logiche, una attenta valutazione delle conseguenze di
una assimilazione alle leggi psicologiche - la cui portata presuntivamente illimitata
si riduce ad una “vaga generalizzazione dell’esperienza” [Husserl,
Logische Untersuchungen] - è alla base del tentativo husserliano
di un radicale superamento di tale commistione; una concezione delle leggi logiche
come “forze motrici”, determinanti causalmente il corso
del pensiero, comporterebbe, invero, una dissoluzione della loro validità
nel probabilismo più assoluto. La condivisione delle tesi husserliane,
e l’assunzione di una posizione fortemente critica nei confronti di ogni
tendenza psicologizzante, si traduce, nella riflessione di Lukasiewicz, nel
misconoscimento della possibilità stessa di dimostrare il principio di
contraddizione concependolo come una “legge del pensiero”. L’analisi
prende le mosse dal tentativo di mostrare come il principio di contraddizione
sia, di fatto, una tesi che, contrariamente alle considerazioni di
Aristotele, “deve essere provata, ed è possibile trovarne la dimostrazione”
(p.17). Se, a tal fine, si rivela inadeguato il richiamo ad una presunta evidenza,
d’altra parte, una fondazione a posteriori che giunga, per induzione,
alla formulazione di un giudizio universale, assimilerebbe il carattere a
priori del principio alla vaga generalità di una legge empirica,
e ne comprometterebbe il valore. Sulla linea esegetica di Maier e Sigwart, le
differenti versioni del principio di contraddizione che occorrono nei testi
aristotelici sono, da Lukasiewicz, classificate in tre diverse accezioni aventi
il valore di formulazioni paradigmatiche. Tali formulazioni - non esplicitamente
distinte da Aristotele - coinvolgono le diverse nozioni di “oggetto”,
“giudizio”, e “convinzione” e sono presentate come seguente:
“Nessun oggetto può possedere e non possedere uno stesso attributo
nello stesso tempo” [formulazione ontologica del principio di contraddizione,
presente in Metaph. G 3, 1005 b 19-20, Metaph. B 2, 996 b
30].
“Non possono essere veri nello stesso tempo due giudizi, dei quali
uno assegna all’oggetto proprio quell’attributo che dall’altro
gli viene negato” [formulazione logica, in De interpr. 6,
17 a 32-35, Metaph. G 6, 1011 b 13-14].
“Due convinzioni, a cui corrispondono giudizi contraddittori, non
possono sussistere nello stesso tempo nella stessa mente” [principio
di contraddizione, nella sua formulazione psicologica. Metaph. G 3,
1005 b 23-26, ove Lukasiewicz, con Schwegler e Maier, intende per upolambanein
“l’atto psichico di convinzione, di credenza, che accompagna spesso
– ma non sempre - la proposizione enunciata”].
Benché le tre formulazioni del principio di contraddizione non siano
sinonimiche, i principi di contraddizione ontologico e logico possono risultare,
in base alla stessa argomentazione aristotelica, inferenzialmente equivalenti.
L’equivalenza logica tra il principio ontologico e quello logico di contraddizione
sembra conseguire dalla stessa definizione di giudizio vero che Lukasiewicz,
conformemente al principio di adeguazione al reale, determinante la relazione
tra i giudizi veri e l’ente, formula come: “è vero il
giudizio affermativo che attribuisce a un oggetto quell’attributo che
esso possiede; è vero il giudizio negativo che nega a un oggetto un attributo
che esso non possiede. E viceversa: ogni oggetto possiede l ’attributo
che gli viene attribuito dal giudizio vero; e nessun oggetto possiede l ’attributo
che gli viene negato dal giudizio vero” (p.25). Se il principio psicologico
di contraddizione è caratterizzato dall’incertezza - dato il coinvolgimento,
in esso, non di oggetti puramente logici, ma di “convinzioni”, appartenenti
alla sfera della decisione soggettiva – e non può essere assunto
tra i fondamenti della logica, il tentativo di Lukasiewicz è volto a
comprendere, in base ad una disamina critica delle prove elenctiche fornite
da Aristotele, se il principio risulti fondato nelle formulazioni logica ed
ontologica.
Relativamente alla dimostrazione elaborata in Metaph.G 4, 1006 a 28-34,
Lukasiewicz rileva come il tentativo di derivare il principio di contraddizione
dal principio di doppia negazione si risolva, piuttosto, nella derivazione,
per modus ponens, dello stesso principio di doppia negazione, rispetto
a cui quello di contraddizione, coinvolgendo il concetto di prodotto logico,
è eteronomo.
Vediamo, dunque, come la validità dell’argomentazione di Lukasiewicz
– che nega che i due principi siano uniti da un rapporto di conseguenza
univoca- dipenda dal riconoscimento dello status di “oggetto”
ad oggetti contraddittori. La contestazione della nozione stessa di “oggetto
contraddittorio” costituirebbe, al contrario, una esplicita affermazione
ontologica, assente nella argomentazione aristotelica ed inconciliabile con
l’inferenza che mira, elegktikoj, all’ accettazione, da
parte dell’avversario, proprio di quei giudizi da cui segue la conclusione
che egli pretende di rifiutare.
A questo punto, l’insistenza manifestata da Lukasiewicz, sull’intima
connessione tra principio di contraddizione ed ontologia aristotelica della
sostanza, si esprime in una considerazione del principio di contraddizione volta
a cogliere il significato metafisico di cui esso è dotato, quale
elemento decisivo nella polemica contro Protagora ed i Megarici.
Nella presentazione della seconda prova elenctica – sviluppata in Metaph.
G 4, 1006 b 11-22 - il riconoscimento aristotelico di un ti horismenon,
quale condizione della comunicazione, e dello stesso pensiero viene a costituire
“la base ultima del principio di contraddizione”, il quale,
se rappresenta la legge suprema del logos, rivela, nella trattazione aristotelica,
anche il suo carattere di legge dell'“ente vero ed essenziale”
(p.86).
Ma se, solo in questo orizzonte, diviene pienamente comprensibile il valore
di tale prova, fondata sul concetto di “sostanza”, è proprio
la portata metafisica del principio di contraddizione a “svalutarlo, giacché
le premesse metafisiche non possiedono mai la certezza delle leggi logiche”
(p.87).
L’argomentazione di Aristotele - ad avviso di Lukasiewicz -, nel tentativo
di evitare le assurde conseguenze legate ad una concezione sensista, incapperebbe,
mediante una limitazione del principio di contraddizione “agli enti sostanziali”,
in difficoltà anche maggiori. Tale dimostrazione, oltre ad essere suscettibile
di contenere un errore formale – in quanto basata su un ragionamento per
modus tollens, che, dunque, presuppone il principio di contraddizione
-, è lungi dal provare il carattere di legge universale e logicamente
sicura del principio di contraddizione.
Tale legge risulta, invero, da Aristotele, circoscritta agli enti sostanziali,
la cui esistenza, “diversa dagli accidenti, può essere soltanto
un’ipotesi più o meno probabile, ma mai sicura” (p.70).
Il ricorso, da parte di Aristotele, ad ipotesi, a premesse metafisiche sembra,
invero, riconducibile alle difficoltà connesse al tentativo di dimostrare
elencticamente il principio di contraddizione.
Se le singole prove sono, nella loro struttura, sottoposte ad una serrata critica,
ciò che è messo radicalmente in questione da Lukasiewicz è
il valore stesso dell’elegkhoj, il quale, in quanto vero e proprio
sillogismo, è suscettibile di differenziarsi da una dimostrazione diretta
esclusivamente in maniera estrinseca.
Da simili considerazioni emerge, dunque, il sospetto di una circolarità
immanente ad ogni dimostrazione, ad ogni spiegazione di quello che si rivela
il presupposto della comunicazione, senza il quale, essa, si sgretolerebbe come
d’incanto.
Individuando il senso autentico del principio di contraddizione in quel “momento
sintetico” indicato dalla presenza del termine ama - che
determina il reciproco annientamento dei due valori di verità -l’indagine
di Lukasiewicz, mediante la considerazione di casi in cui l’affermazione
e la negazione non si sopprimano a vicenda, intende mettere in guardia contro
l’acritica assunzione della incondizionatezza della legge dell’opposizione
antifatica.
Se, lungi dal rappresentare, tale principio, l’arkhe ton allon axiomaton
panton, una sua considerazione critica dovrà, come sostenuto da
Lukasiewicz, far emergere la condizione sotto la quale esso, in quanto proposizione
ipotetica, è valido.
Volendo fondare il principio, non si può, invero, prescindere da una
determinata nozione di “oggetto”: qualora si assumessero, come nella
Gegenstandstheorie di Meinong, oggetti contraddittori, questi, rappresentando
delle eccezioni al principio, ne comprometterebbero l’estensione. Una
adeguata dimostrazione, condotta su base ontologica, si basa, dunque, sulla
assunzione, la quale vale come definizione stessa di oggetto, che “per
un oggetto occorre intendere solo qualcosa che non può possedere e non
possedere nello stesso tempo il medesimo attributo” (p.106), da cui
risulta direttamente, in forza del principio di identità, che nessun
oggetto può contenere attributi contraddittori.
Nonostante il valore di tale dimostrazione sia esclusivamente formale, la sua
portata risiede nel fatto che essa, come indicato da Lukasiewicz, “permette
di formulare in modo adeguato il problema della contraddizione e indica la via
che porta a una sua risoluzione oggettiva” (p.107). L’autentico
problema consiste infatti nel determinare se si può considerare “oggetto”,
secondo la suddetta definizione, anche ciò che è tale, in base
ad un’altra definizione di “oggetto”, come tutto ciò
che è “qualcosa e non un niente” (p.119). Tale accezione
di “oggetto”, caratterizzata da una meinonghiana Daseinsfreiheit,
consente di sviluppare, proprio a partire dalle astratte “costruzioni”,
quali i concetti a priori della matematica e della logica, l’argomentazione
relativa ad una possibile garanzia di non-contraddittorietà.
Perché si dia una effettiva fondazione del principio di contraddizione,
occorre, quindi, fornire, accanto a quella formale, una prova che mostri l’effettiva
corrispondenza delle due definizioni; bisognerebbe, ovvero, dimostrare che tutto
ciò che è un qualcosa, e non un niente, non è suscettibile
di contenere contraddizioni.
Per poter dotare il principio di una ontologia della sostanza, si è,
invero, limitata la nozione di “oggetto” a quella di oggetti non-contraddittori,
la cui esistenza è postulata, nella logica simbolica, dal principio “1
diverso da 0”, il quale nega l’equivalenza dei due valori di verità,
indicati dall’uno logico -il vero- e dallo zero logico -il falso-.
Il riconoscimento del carattere ipotetico del principio di contraddizione,
in base al quale “se P è un oggetto, allora non può
possedere a e non possederlo nello stesso tempo”, sottolinea
l’impossibilità che esso costituisca, di per sé, una garanzia
circa l’esistenza di oggetti non-contraddittori. Relativamente, poi, alla
questione se tale garanzia sia, realmente, offerta dal postulato d’esistenza,
Lukasiewicz formula, sullo sfondo della distinzione, delineata da Meinong, tra
oggetti completi e oggetti incompleti, il radicale interrogativo
circa la stessa accessibilità di una simile assicurazione.
Il dubbio che la contraddittorietà costituisca una caratteristica ineludibile
dei concetti a priori della matematica e della logica emerge dalla considerazione
di antinomie fondazionali, quali quella russelliana ed il paradosso di Cantor,
comparse nell’ambito degli oggetti costruttivi, tra i quali si costituiscono,
nonostante il loro carattere di “freie Schöpfungen des menschlichen
Geistes” , delle relazioni indipendenti, che non si possono cogliere
nella loro infinita totalità.
L’impossibilità di offrire una risposta “categorica”
all’interrogativo originariamente sollevato, almeno per quanto concerne
gli oggetti costruttivi, avanza il sospetto di una frammentarietà ed
incoerenza quali proprietà strutturali, che si manifestano qualora si
tenti di rendere assolutamente prevedibili i nostri comportamenti simbolici.
I risultati, del tutto negativi, dell’analisi volta ad individuare se,
ed in che termini, il principio di contraddizione sia dimostrabile, preludono
a quella che si può considerare la pars costruens del presente
studio, costituita dall’intento di sviluppare una dimostrazione formale
a priori del principio in questione.
Al fine di dedurre il principio di contraddizione aristotelico da alcuni assiomi
e teoremi della logica formale, esso, è, da Lukasiewicz, nettamente distinto
dal principio formale di contraddizione e tradotto nel periodo ipotetico ”Se
P è un oggetto, non può nello stesso tempo avere a e non avere
a ” (p.168), è rappresentato dalla formula:
1 < (aa´ ) ´.
Contenendo, tale principio, alcuni elementi -quali la negazione di un prodotto
logico- “che non sono deducibili né dalle spiegazioni iniziali,
né dagli altri principi logici” (p.159), sono individuate da Lukasiewicz
due uniche modalità di condurne la dimostrazione, le quali si richiamano
a note leggi, quali la regola di contrapposizione, e la seconda legge di De
Morgan.
Risulta comprensibile, in tal modo, come il principio di contraddizione, nella
formulazione data da Aristotele, risulti, di fatto, una tesi derivata
(p.173), la cui complessità emerge qualora si consideri che,
degli undici principi della logica simbolica, “tutti costituiscono
assieme una ragione sufficiente di questo principio”, data l’interdipendenza
tra le leggi, immediatamente coinvolte nel procedimento giustificativo, e tutti
gli altri principi.
Non solo, dunque, tale principio non costituisce una eskhath doxa,
“ma non è neppure una base necessaria per pensare logicamente”
(p.173), data l’indipendenza, da esso, di molti principi e tesi della
logica, i quali conserverebbero la loro validità anche se esso venisse
rifiutato.
Se la nuda ammissione dell'essenziale limitatezza del principio di contraddizione
ne ridimensiona le pretese, tale ammissione non si traduce, nella prospettiva
di Lukasiewicz, in una particolare teorizzazione, che sarebbe, inevitabilmente,
caratterizzata dall'insopprimibile contraddittorietà.
Con la dissoluzione di sovranità epistemologiche, e con il riconoscimento
della matrice costruttiva e dialogica del nostro sapere, prende, dunque, corpo
un approccio teso a liberare l’interpretazione del linguaggio da categorie
e modelli di tipo causalistico, approccio, questo, sostenuto dalla consapevolezza
che le contraddizioni, le incongruenze, i dubbi, continueranno a sussistere
anche dopo aver individuato un percorso da seguire, scelto uno stile che sia
il fondamento e la garanzia della coerenza dl discorso.
Le riflessioni di Lukasiewicz sulla necessità mostrano le ragioni non
logiche o ontologiche, ma concernenti la stessa natura umana, che sottostanno
all’accettazione di leggi logiche, quali il principio di contraddizione.
Che la necessità di tale principio sia di natura alogica, non
ontologica -la concezione di oggetti contraddittori non è, come precedentemente
considerato, affatto assurda - e quantomeno dipendente dal costituire, il principio
in questione, un trascendentale dei sensi, non mina affatto la sua indiscutibilità;
si tratta, piuttosto, secondo Lukasiewicz, di una necessità etica,
antropologica; che il principio di contraddizione, quale controparte
epistemica di una natura umana fallibile, rivela.
Se i risultati conseguiti nell’ambito della logica simbolica indicano
la possibilità di costruire sistemi che facciano dell’adozione
della contraddizione la propria peculiarità, sono le scienze empiriche
e la vita quotidiana a non tollerare l’omissione del principio di contraddizione,
essendo il costo di suo un eventuale rifiuto di gran lunga superiore ad ogni
sforzo speso per la sua conservazione.
Principi logici, come quello di contraddizione, pur risultando non auto-evidenti
ed indimostrabili logicamente, sono pienamente giustificati nella misura in
cui la loro indiscutibilità risponde a “necessità pratiche”.
Ad avviso di Lukasiewicz, la ragione per la quale il principio di contraddizione
è da Aristotele elevato, in assenza di una dimostrazione, al rango di
dogma è da individuare nella natura pratico-etica del suo valore, la
quale non distrugge nulla che possa essere, propriamente, chiamato, la ‘necessità’
ed ‘oggettività’, di cui Aristotele ha dotato il
principio, essendo tale valore “talmente rilevante, che la mancanza
di valore logico non risulta avere alcuna importanza” (p.128).
Contrariamente al tradizionale atteggiamento nei confronti della contraddizione,
dal quale la non-contraddittorietà è elevata, in vista di una
assoluta prevedibilità delle nostre procedure operative, ad una posizione
di privilegio rispetto a tutti gli altri parametri di sistematizzazione cognitiva,
Lukasiewicz mostra come ravvisare l’esistenza di una contraddizione, nell’ambito
delle scienze formali, non rappresenti affatto un pericolo.
Tutt’al più, ogni volta che una contraddizione farà la sua
comparsa, “si troverà sempre il modo per evitarla, almeno per un
certo tempo. Se poi sia possibile eliminarla ovunque e definitivamente,
è una questione la cui soluzione oltrepassa i confini della conoscenza
umana. Nelle scienze a priori esistono vaste zone che ci appaiono chiare
e limpide. Tuttavia questo cerchio di luce sembra circondato dall’oscurità.
Noi lottiamo incessantemente contro queste tenebre avverse per allargare sempre
più il cerchio luminoso. Tuttavia le tenebre non scompaiono, ma si ritirano
solo; e non sappiamo con certezza se l’oscurità si potrà
mai dileguare o se invece sia una condizione essenziale per l’esistenza
della luce” (p.117).
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