Dato che si inserisce, come testo centrale, in un trittico fenomenologico
inaugurato nel 1989 da Réduction et donation. Recherches
sur Husserl, Heidegger et la phénomenologie e completato da De
surcroît. Études sur les phénomenès saturés
(2001). Come spiega l’Autore stesso, l’inaspettato interesse suscitato
da Réduction et donation lo spinse ad approfondire teoreticamente
le tesi che in quello studio erano state guadagnate come risultato di una ricerca
storica, impresa che costò dieci anni di sforzi supplementari. In particolare
la formula “tanta riduzione, quanta donazione”, apriva potenzialmente
il campo a quella “fenomenologia profondamente rinnovata” esposta
in Dato che.Come sintetizzare i punti fondamentali di questa proposta
filosofica?
Marion riprende in Dato che la critica alla metafisica onto-teo-logica
(e all’ontologia heideggeriana, che pretende di esserne il superamento)
iniziata in Dio senza essere (1982). Quel testo tuttavia, come egli
dichiara, mancava ancora di una pars costruens filosofica adeguata
e doveva fare largo ricorso ad argomenti desunti dalla teologia. Étant
donné continua quella critica (sin dal titolo, dove l’étant-essendo
va letto come ausiliare del donné-dato) cercando di colmare,
al contempo, la lacuna metodologica.
Il cuore della proposta filosofica di Étant donné, esposto
nel Libro I, consiste nel ripensare la datità (Gegebenheit)
della fenomenologia come donazione (donation). Certo Marion
sfrutta la polisemia dei termini francesi donner e donation,
che stanno per i tedeschi geben e Gegebenheit e fanno riferimento
alle aree semantiche sia del “dare” che del “donare”,
ma sottolinea come si tratti di una ambivalenza presente nel tedesco stesso
e rivelatrice di una dinamica profonda. Ridurre il fenomeno all’immanenza
significa, per Marion, ridurlo alla Gegebenheit, cioè alla donazione.
Per le fenomenologie husserliana e heideggeriana la donazione costituisce ancora
un impensato, dal momento che esse interpretano il fenomeno rispettivamente
a partire dalla categoria di oggetto o dall’orizzonte dell’essere.
La donazione indica una correlazione essenziale nel fenomeno, quella tra l’apparire
e la cosa che appare. Questa correlazione è implicata nel darsi stesso
del dato: per darsi il dato richiede un sé, un’ipseità
costituita da uno scarto ed un movimento interni, una piega che è
costituita precisamente dalla donazione. La donazione come tale, pur producendo
il dato ed iscrivendosi irrimediabilmente in esso, «non sussiste, né
persiste, né si mostra né si fa vedere. Essa fa, ma fa l’evento
senza farsi, a sua volta, evento» (§ 5, p. 73). Essa, infatti, non
può essere intesa sul modello della sostanza, poiché è
piuttosto azione, che si consegna nel suo dato, scomparendo in esso. Il dato
consegnato dalla donazione, dunque, si rivela un donato, un dono.
Nel Libro II, che è dedicato all’analisi del dono (donné,
dato/dono), Marion mostra come questo debba essere sottoposto ad una triplice
riduzione e, fondamentalmente, inteso a partire dalla donazione, se non vogliamo
che scompaia e venga riassorbito nel sistema economico dello scambio. La riduzione
deve riguardare sia il donatario (se il donatario non rimanesse anonimo o non
fosse il nemico e l’ingrato, la donazione non potrebbe compiersi, poiché
il donatario se ne riterrebbe causa e non potrebbe sfuggire, d’altra parte,
all’obbligo della reciprocità), sia il donatore (il donatore deve
scomparire agli altri ed a se stesso per sottrarsi alla simmetria economica
della ricompensa e dell’autogratificazione) come anche, infine, il dono
(il dono si compie meglio quando non si reifica in alcun oggetto e non scade
in un semplice cambio di proprietà). Così il dono, ridotto a pura
immanenza, si mostra a partire donazione.
Nei Libri III e IV Marion si ferma a considerare, rispettivamente, le determinazioni
del dato ed i suoi gradi, a partire dalla prospettiva delineata nelle sezioni
precedenti. Rispetto ai gradi del dato, di particolare interesse è l’analisi
dei fenomeni saturi, nei quali l’intuizione dona più di quanto
l’intenzione del soggetto possa scorgere e prevedere. Così, prendendo
a riferimento le categorie kantiane, che strutturano ed insieme limitano la
rappresentazione del soggetto, Marion mostra come il fenomeno saturo le violi
tutte per eccesso e si costituisca come un paradosso: «Né ponderabile
secondo la quantità né sopportabile secondo la qualità,
assoluto secondo la relazione, cioè incondizionato quanto al suo orizzonte
[…], il fenomeno saturo si dice infine inguardabile secondo la modalità»
(§ 22, p. 261).
Nel Libro V, infine, il soggetto stesso della fenomenologia viene ripensato,
a partire dalla donazione, come adonato (adonné). Marion mette
inizialmente in luce le aporie legate alla concezione trascendentale della soggettività
(l’impossibilità di individuazione, da un lato, affetta l’“io
penso” che si vuole scevro da ogni determinazione, mentre l’inevitabile
solipsismo, dall’altro, impedisce di render conto della finitezza del
soggetto) ed a quella empirica, che si riconducono infine all’unica aporia
di pensare il soggetto a partire dai modi di manifestazione dell’oggettualità.
Pensare il soggetto, invece, a partire dalla donazione e dalla chiamata
(il fenomeno saturo, in particolare, eccedendo l’intuizione inverte l’intenzionalità
e rende possibile la chiamata) vuol dire pensarlo “altrimenti” come
adonato, «ciò che riceve se stesso interamente a partire da ciò
che riceve» (§ 26, p. 327). Come la donazione appare unicamente nella
piega del dato, la chiamata senza nome non mostra se stessa se non nell’inevitabile
scarto e ritardo della risposta: «Così si stabilisce la determinazione
esenziale della chiamata – essa si intende solo nella risposta e a sua
misura» (§ 28, p. 351).
Attraverso una scrittura estremamente precisa ma, al contempo, suggestiva e
densa di rimandi, Marion ci presenta una rielaborazione matura e coraggiosa
della fenomenologia. Dato che ci sembra un testo interessante, oltre
che per i risultati raggiunti, anche per le prospettive aperte e per gli sviluppi
possibili a partire dalle premesse che vi sono gettate (l’Autore stesso
auspica, nell’ultimo paragrafo, un esplorazione del tema dell’intersoggettività
come interdonazione).
Numerose appaiono anche, tuttavia, le questioni irrisolte o impensate del testo.
Una su tutte: il problema dei rapporti «essenziali per l’avvenire
e allo stesso tempo mal chiariti in passato» tra filosofia e teologia
(cfr. p. XII), sul quale l’Autore stesso «spera […] di apportare
una chiarificazione» (ibidem), nonostante dichiari, con un’oscillazione
significativa, di «non essere neppure in grado di porre la questione del
rapporto tra la fenomenologia ed il fatto della Rivelazione» (cfr. p.
XLII). Molte movenze del pensiero di Marion, del resto, ci sembrano difficilmente
compatibili con le esigenze della teologia, in primo luogo la riduzione stessa
(non è lecito mettere in parentesi l’esistenza dell’“oggetto”
della religione e ragionare su pure possibilità: il fatto che un’esperienza
religiosa sia autentica o allucinatoria potrà essere poco rilevante dal
punto di vista dell’analisi fenomenologica, ma rimane una questione determinante
per la vita spirituale). Ma se la riduzione è il cuore della fenomenologia
della donazione, con lei sta o cade la proposta filosofica di Marion e, in generale,
il tentativo di una fenomenologia della religione.
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