Francesco Careri è architetto ed insegna Arte civica (così ha preferito ribattezzare la public art) all'Università di Roma Tre. Ma non si tratta di un architetto qualsiasi: sarei tentato di dire che Careri non costruisce né progetta alcunché. Si può essere architetti senza costruire? È precisamente la sfida che Careri porta avanti, non da solo, ma con il collettivo Stalker/Osservatorio Nomade, che da diversi anni opera a Roma e non solo. Alcuni di voi conosceranno già sicuramente Stalker. Il gruppo comunque, è bene ricordarlo, nasce ispirandosi al movimento studentesco della Pantera e a quella pantera imprendibile, che terrorizzava la metropoli di Roma apparendo ora qui ora lì senza che si riuscisse a catturarla, continua in qualche modo ad ispirarsi Stalker. E qui veniamo all'argomento del libro, Walkscapes. Camminare come pratica estetica.
Gli Stalker camminano, ma non si limitano a passeggiare per la città dei monumenti, delle piazze, dei grandi viali, dei parchi. La loro pratica è "estrema", è un tentativo di "mappare" la città dal di dentro, di scoprire com'è possibile vivere la città – in particolare le sue periferie – al di fuori degli spazi progettati dagli architetti, che troppo spesso sono diventati i simboli di un'invivibilità delle grandi metropoli. È possibile raggiungere Roma da Tivoli a piedi, passando per dei percorsi alternativi alla strada che inevitabilmente dovremmo percorrere in auto? Per gli Stalker è possibile, è questione di sperimentazione sul campo e di scoperta di spazi sconosciuti, che sono però, forse, gli spazi dell'autentico incontro nei quartieri ai margini delle grandi città.
In questo testo Careri vuole dar conto delle premesse storiche e concettuali di questo approccio alla conoscenza della città. L'autore parte dal racconto biblico di Caino e Abele. Caino è l'agricoltore, lo stanziale (il termine ebraico kanah significa "possedere" o "governare", ricorda Careri, e, aggiungo io, ha un essenziale riferimento alla manipolazione tecnica); Abele è il pastore, il nomade ancora in contatto con le cose quali esse si mostrano all'uomo (hebel vuol dire "fiato", "vapore"). Caino è, potremmo dire, il bravo ragazzo, ma le sue povere offerte sono sgradite a Dio in confronto ai ricchi sacrifici di animali di Abele. Di qui l'invidia, l'uccisione del fratello e, per Francesco Careri, l'originario dissidio tra "nomadi" e sedentari. Si sente in queste pagine l'eco di un debito verso Deleuze; tuttavia il libro conserva sempre un'impronta agile e fresca, senza lasciarsi irretire nel gioco della citazione colta.
Il nomadismo diventa perciò un'istanza di re-visione dello spazio urbano che non passi attraverso l'aggiunta di nuove costruzioni. Non si può parlare per questo di architettura in senso stretto per Stalker e l'ibridazione (di pratiche, di stili, proposte e ricerche teoriche) diventa la cifra della sua azione sul territorio. In questo senso Careri individua una precisa generalogia nella storia dell'arte nell'ultimo secolo. Il 14 aprile 1921 Dada organizza la prima visita ad un luogo banale della città: la chiesa di Saint-Julien-le-Pauvre, a Parigi, che sarà il primo gesto per scardinare un'idea "auratica" di arte. Tre anni dopo i surrealisti, nati dall'esperienza di Dada, danno vita alla "deambulazione", che sarà sia urbana che extra-urbana. L'idea di fondo di Breton, che guida il gruppo, è quella di dar voce alla "città inconscia". Saranno i lettristi negli anni '50 a dare per la prima volta importanza all'aspetto di una pratica artistica che non lascia tracce visibili, mentre i situazionisti si allontaneranno dai lettristi, dando vita di nuovo a delle "psicogeografie".
Particolarmente interessante è l'esperimento di New Babylon, che l'Internazionale situazionista portò avanti ad Alba nel 1956: si trattava di una città-labirinto predisposta per accogliere ed ospitare una comunità zingara che una volta l'anno, per un certo periodo, sostava ad Alba. Città perciò nomade nella sua stessa costituzione ed aperta all'accoglienza di chi non si plasma sulla forma del luogo che gli è stato assegnato come abitazione, ma che al contrario chiede uno spazio aperto da "disegnare" con la propria presenza. È quello che in chiave artistica porterà poi avanti, e con questa esperienza si conclude la carrellata genealogica di Careri nella storia dell'arte, la cosiddetta land art, in particolare americana (di cui facciamo almeno un nome: Richard Long), che fa assurgere il passaggio in un luogo ad opera d'arte. Nella sua forma più avanzata questa pratica (a questo punto, liberi dalla pretesa rivoluzionaria che avevano ancora i situazionisti, possiamo parlare di pratica) non lascia più nemmeno una traccia effimera sul terreno e tutto viene affidato ad una documentazione, perlopiù fotografica, che già non è più l'opera d'arte.
Qui posso riallacciarmi ad alcune considerazioni iniziali dell'autore per trarre alcune conclusioni. La pratica del camminare viene letta da Careri alla luce dell'archeologia, ricollegandola all'elevazioni di menhir da parte di molte antiche civiltà. Il menhir viene visto come il segno di un passaggio, che necessariamente incidiamo nella memoria (e Derrida ci ha insegnato che non c'è memoria se non nella protesi di memoria). Questo significa, aggiungo io, che non si può pensare la percezione se non come sempre insieme riconoscimento. Riconoscimento di un luogo che è già stato visitato, ma anche riconoscimento della presenza di un altro (e perciò riconoscimento dell'altro), secondo la modulazione che Careri dà del menhir da luogo di passaggio a luogo di culto o luogo d'incontro dei differenti gruppi umani in movimento. I walkscapes sono perciò landscapes, paesaggi, letteralmente "pezzi di terra" non posseduta, ma vista, attraversata: i walkscapes sono, potremmo dire, pezzi di cammino che ci servono a ricostruire la geografia di un luogo, la metropoli, altrimenti inimmaginabile (nel senso del sublime matematico kantiano, come già Stefano Catucci in un volume in collaborazione con Stalker sottolineava).
Il libro di Francesco Careri va letto perciò lasciandosi sollecitare e un po' affascinare da questi continui rimandi alle avanguardie, all'archeologia, all'architettura, secondo una schema che è facilmente individuabile ormai come un classico, il movimento cioè dalla riscoperta di una condizione primitiva alla ridefinizione della condizione umana moderna. Questo volume dev'essere per questo letto come un tentativo di articolare una lunga esperienza sul campo, dandole un più forte fondamento teorico. Questo libro è sicuramente un invito a conoscere meglio e magari partecipare, visto che è possibile, ad una delle "azioni" sul campo di Stalker, ma anche soprattutto ad interrogarsi sulla possibilità di ripensare la vita nelle metropoli contemporanee come una vita strutturalmente nomade, dove anzi il nomadismo è l'unica possibile alternativa a quello che alcuni definiscono (e lo stesso Careri non sembra del tutto estraneo a quest'impostazione) un governo biopolitico della popolazione. |