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Giuseppe Tucci, Storia della filosofia indiana , Laterza, 2005.
di Pietro Secchi
Giuseppe Tucci (1894-1984) è stato uno dei massimi orientalisti italiani. Come secondo volume della nuova collana Laterza “I Libri dell’Ascolto” esce ora il suo prezioso contributo sulla filosofia dell’India, che si presenta con una struttura, sia formale che contenutistica, diversa dalla tradizionale manualistica. Spesso, nota l’autore, sono state costruite le storie delle filosofia indiana, esponendo le varie scuole di pensiero in ordine tale da porre al vertice del processo quella di cui si condivideva l’impostazione. Tucci sceglie invece un approccio più scientifico, dividendo il volume in due parti: nella prima sono collocate cronologicamente le varie correnti, facendo anche riferimento alle rispettive produzioni letterarie; nella seconda sono invece discussi i problemi filosofici e teologici, in maniera più trasversale. Dal Jainismo al Buddhismo, dallo Yoga al Vedanta, i principali momenti della spiritualità indiana ricevono una precisa caratterizzazione. Ma, più che soffermarsi su ciascuno di essi, lo studioso preferisce aprire una porta di comunicazione con l’Oriente, che troppo spesso è rimasta socchiusa. Egli constata con rammarico che, mentre in Asia è frequentissimo lo studio della cultura occidentale, il reciproco non avviene quasi per nulla in Europa. Tra i due universi, la distanza che pare abissale, ed in effetti lo è quanto alla modalità delle risposte fornite, scompare d’un tratto se si guarda alla natura dei problemi affrontati: “Del resto, nel loro insieme, le due grandi correnti di pensiero, la europea e l’indiana, sono come due strade parallele. Germinate e nutrite dallo stesso mistero che l’uomo intorno a sé scopre e stimale dall’ansia di diradarlo, molto spesso quelle correnti s’incontrano perché medesimi sono i problemi che alla nostra mente si affacciano sotto quale che sia cielo si viva, e medesimi i mezzi di cui essa dispone per risolverli”.
La peculiarità dell’approccio indiano, nondimeno, consiste nell’inscindibilità di vita e pensiero, o meglio, di pensiero e soteriologia. L’emergere di ogni speculazione non è dettata, come in Occidente, da una volontà teoretica, conoscitiva, bensì dall’urgenza del contatto col divino e della salvezza, al di fuori della quale non c’è che dolore. La separazione tra teologia e filosofia è artificiosa in India, così come la separazione fra Dio e mondo. Che si concepisca il loro rapporto come panteismo (Sankara) o come teismo (Ramanuja), non c’è mai alterità ontologica: Dio è il mondo stesso oppure il mondo è il corpo di Dio. Ora, se questa è l’“ontologia”, come ci si può “indiare”? come ci si può annullare in Dio? Su questa questione cruciale le vie si dividono: il panteismo monastico parla di conoscenza, il teismo di devozione. In fondo però, detta stessa distinzione non deve mai intendersi in maniera esclusivista. I Veda e la Gita sono patrimonio di rivelazione comune, infinite interpretazioni sono possibili come infinite sono le manifestazioni del divino.
Uno strumento nuovo e completo su queste e molte altre questioni, come l’io, la parola, l’arte, il determinismo, la conoscenza: ecco il testo di Tucci, consigliabile a chiunque voglia intraprendere un viaggio nell’universo unitario e multiforme del pensiero dell’India.
PUBBLICATO IL : 21-02-2005

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