Con la pubblicazione nel 2001 del quarto e ultimo volume di Civitas. Storia
della cittadinanza in Europa, dedicato all’età dei totalitarismi
e della democrazia, si è conclusa l’impresa teorica ed editoriale
di Pietro Costa, cominciata nel 1999 con il primo volume che comprende l’arco
di tempo che va dalla civiltà comunale al Settecento. Tuttavia, il capitolo
effettivamente conclusivo del lavoro di Costa sulla cittadinanza è del
2005: la pubblicazione di Cittadinanza, per la collana Universale sempre
di Laterza, che di Civitas presenta l’intero percorso in forma
molto sintetica. Anche soltanto per la loro diversa mole, Civitas e
Cittadinanza corrispondono a due esigenze decisamente diverse, ma non
deve sfuggire tuttavia la loro complementarietà, essendo comune a entrambi
la volontà di costruire intorno alla cittadinanza un “discorso”.
Nonostante Civitas possa essere adoperato anche come una sorta di manuale
di storia del pensiero politico-giuridico, il metodo di Costa non è propriamente
ed esclusivamente storiografico: l’“itinerario” dell’idea
di cittadinanza dalla civiltà comunale fino alle soglie della contemporaneità
“taglia” un periodo lungo e complesso della storia europea sulla
scorta della determinazione di un “modello”, di una “costellazione”
di termini la cui reciprocità e tensione costituiscono il “discorso
della cittadinanza”. La definizione fondamentale di cittadinanza su cui
Costa costruisce il suo “itinerario” appartiene alla tradizione
del lessico politico-giuridico; per “cittadinanza” s’intende
«il rapporto politico fondamentale, il rapporto fra un individuo e l’ordine
politico-giuridico nel quale egli s’inserisce» [Cittadinanza,
p. 3]. Eppure, perché a partire da tale definizione si possa descrivere
un “discorso”, il rapporto tra individuo e ordine si articola
e si complica al suo interno nella stratificazione di campi di tensione tra
soggetto e appartenenza, diritti e doveri, libertà/proprietà ed
eguaglianza. Per l’esigenza sintetica di Cittadinanza, nonostante
l’attenzione a evitare ogni facile semplificazione, lo sviluppo storico
del discorso della cittadinanza tende a ritagliare e mettere in risalto i momenti
e i passaggi davvero decisivi. In Civitas, nonostante le tappe principali
dell’itinerario siano le medesime, un’analisi diretta degli autori,
dei testi e dei contesti evidenzia pienamente la difficoltà dell’impresa
e l’attenzione di Costa a sottolineare, anche nei momenti in cui il discorso
della cittadinanza sembra marcare una maggiore discontinuità, gli elementi
di continuità rispetto al passato. E dunque, ad esempio, a proposito
della civitas medievale, dove è l’aspetto dell’ordine
e dell’appartenenza a essere discriminante, Costa non dimentica di raccogliere
le tracce via via più evidenti di un’autonomizzazione e diversa
visibilità dell’individuo, pur all’interno di un ordine nella
sua sostanza fuori discussione. Inoltre, a dimostrare l’efficacia del
“modello” di cittadinanza, seppur con accentuazioni di volta in
volta differenti, il rapporto tra soggetti e ordine politico-giuridico non perde
mai del tutto la sua tensione e una conflittualità almeno latente, presagio
delle nuove configurazioni a venire del suo discorso. Certo, Costa non rinnega
affatto che in alcune epoche si sono consumate vere e proprie svolte, ma, piuttosto
che creazioni dal nulla, si è trattato dell’esplodere nella realtà
effettiva di una trasformazione che nel discorso della cittadinanza già
si era preparata. Pertanto, nonostante la retorica e la consapevolezza della
Rivoluzione Francese di segnare una cesura tra vecchio e nuovo ordine, l’accentuazione
dei diritti del soggetto e dell’appartenenza alla nazione trova nel giusnaturalismo
e in Rousseau le sue premesse inaggirabili. Se la Rivoluzione Francese ne rappresenta
probabilmente il cambiamento più radicale – anche per la problematica
eredità che lascia –, Costa individua altri passaggi decisivi che,
seppur più graduali, non sono meno importanti per il discorso della cittadinanza.
Per una ricognizione che inizia con la civiltà comunale, tralasciando
dunque l’antichità, determinante è il superamento del “modello
città”, di un modello cioè caratterizzato dalla preminenza
del momento dell’appartenenza su quello dell’individuo, dalla deducibilità
del soggetto dallo status che un ordine gerarchico gli attribuisce.
È con la crisi di tale ordine presupposto che il soggetto può
acquisire un’autonoma visibilità rispetto all’ordine, che
procede, in questa fase, parallelamente allo svilupparsi delle teorie sulla
sovranità. Con Bodin, il soggetto come bourgeois è ancora
parte dell’ordine della città, ma come citoyen se ne svincola
anche, essendo in quanto suddito implicato direttamente nel rapporto con il
sovrano. La destrutturazione del “modello città” trova in
Hobbes un passaggio ulteriore e decisivo: lo “stato di natura” hobbesiano
destituisce l’idea di un ordine presupposto e diventa il sovrano stesso
creatore dell’ordine. Per esemplificare il modo di procedere di Costa:
che il “modello città” non sia più la forma privilegiata
del momento dell’appartenenza all’interno del discorso della cittadinanza
non significa affatto che, seppur trasfigurato, in epoche successive non tornerà
a svolgere un’importante funzione. La struttura diacronica di Civitas
non impedisce che, nel discorso della cittadinanza, si possa riconoscere anche
una certa ciclicità nel riproporsi e nell’aggiornarsi di alcune
sue figure essenziali: la città, ad esempio, anche nell’attuale
congedarsi dallo Stato-nazione come vincolo principale d’appartenenza,
torna ad essere un modello di riferimento.
Per continuare la nostra più che succinta scansione di qualche passaggio
decisivo nel costituirsi dei termini della “costellazione cittadinanza”,
insieme a quelli già evocati, è ancora con il giusnaturalismo
che altri vi entrano definitivamente. In particolare con l’assolutizzarsi
del soggetto rispetto all’ordine, gli si riconoscono quei diritti
(basti pensare alla property lockiana) che gli attribuiscono un peso
altrettanto importante di quello in precedenza appannaggio quasi esclusivo dell’ordine
e dell’appartenenza, che per bilanciarne la preponderanza gli chiederà
altrettanti doveri. Tale complesso e articolato itinerario troverà
proprio nella Rivoluzione Francese la sua incandescente ed effettiva concentrazione
(emblematica di tale sintesi è proprio la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino). In realtà, con il primo volume
di Civitas, che si conclude appena alle soglie della Rivoluzione Francese,
sono emersi già tutti i termini chiave della “costellazione della
cittadinanza”; da allora in poi diverso sarà il peso specifico
che, nei diversi periodi storici, alcuni avranno rispetto ad altri, facendo
ora pendere la bilancia dalla parte dell’individuo ora da quella dell’ordine.
Tuttavia, se fino all’Ottocento non era pregiudizialmente esclusa una
progressiva armonizzazione tra diritti dell’individuo e doveri rispetto
alla forma di ordine predominante (nazione, Stato, società, partito che
sia), è con l’età dei Totalitarismi, con «la superfluità
storica ed etica dell’individuo e dei suoi diritti» [pp. 139-140],
che è messo in radicale discussione il discorso stesso della cittadinanza.
Il capitolo sulla cittadinanza ancora aperto resta ovviamente l’ultimo,
quello che affronta la ripresa del suo discorso dopo la profonda crisi in cui
è precipitato nella prima metà del secolo scorso. E, a evidenziare
ancora una volta un certo intrecciarsi di circolarità e aggiornamento-rinnovamento
nella temporalità propria del discorso della cittadinanza, Costa non
manca di sottolineare come, dalla parte dei diritti e del soggetto, per rafforzarne
la posizione, ritornino temi giusnaturalistici (i diritti come espressione della
natura umana) e kantiani (cosmopolitismo). Tuttavia, come è sotto gli
occhi di tutti, nel discorso della cittadinanza, che per sua stessa natura è
di tipo relazionale, la parte debole è oggi quella dell’appartenenza
e dell’ordine politico-giuridico che dei diritti dell’individuo
possa farsi riferimento e garanzia. Alla tendenza all’universalismo dei
diritti non corrisponde ancora un adeguato ordine transnazionale (Unione Europea,
ONU?); si è costretti a perpetuare il lutto per la morte del vecchio
Stato-nazione perché è ancora l’unica forma d’appartenenza
che, seppure troppo ristretta in un’ottica universalistica o troppo inclusiva
rispetto a una fondazione comunitaristica e particolaristica dei diritti, mette
almeno d’accordo sulla sua inadeguatezza entrambe le divergenti tendenze.
|