Il puntuale lavoro di S. Stancampiano si pone l’obiettivo di raccogliere ed analizzare la genesi e lo sviluppo di una tematica centrale nella riflessione di X. Tilliette: la cristologia filosofica. Già la Prefazione dello stesso Tilliette al volume indica la cifra del lavoro svolto, il quale seguendo esplicitamente la suggestione e l’approccio metodologico propri del gesuita francese, è suddiviso in due parti. La prima, un’euristica, è caratterizzata da un’ampia e particolareggiata raccolta e studio delle fonti primarie nell’arco del trentennio 1975-2005. La seconda, una topica, si declina come riflessione sui vari e possibili approcci alla cristologia filosofica. Conclude il lavoro una completa bibliografia delle opere di Tilliette.
L’ipotesi dell’evoluzione tematica che guida la riflessione di Stancampiano ha anche l’indubbio merito, evitando proprio ciò che Tilliette definisce “semplici vetrate cristologiche” (p. 37), di cogliere “ il Cristo della filosofia”, “ la cristologia filosofica” in generale, che poi naturalmente trova in Tilliette un interlocutore privilegiato. Tale evoluzione, che l’autore vede direttamente proporzionale a quella cronologica, tocca dapprima il concetto di “ Cristo dei filosofi”, vivo nelle opere di Tilliette negli anni 70-80, per giungere a quello di “ Cristo della filosofia”, degli anni 90, sino ad approdare al progetto del “ Cristo fenomenologico” degli ultimi lavori. L’autore dunque procede nell’analisi dei diversi topoi che hanno guidato ed indirizzato la riflessione di Tilliette verso la cristologia e non manca di sottolineare le origini di tale interesse, ravvisato nel sottosuolo dello spiritualismo francese contemporaneo e nell’approccio antitetico proprio del filone neo-tomista, nonché nel famoso dibattito sulla filosofia cristiana avviato negli anni 30 in Francia. E così l’articolazione teoretico-storiografica proposta dall’autore riguardo una disciplina quale la cristologia filosofica, che mantiene, nelle intenzioni di Tilliette, un’estrema poliedricità identitaria, si arricchisce dunque di interessanti riferimenti alla compagine culturale del periodo e permette un ampio inquadramento delle tematiche in questione. Inoltre le diverse “metamorfosi” della figura di Cristo nella filosofia moderna e contemporanea, dal Cristo dei non credenti di richteriana memoria all’illuministico “ Figlio dell’Uomo” sino a giungere al “Gesù romantico”, vengono sottolineate come nodo problematico e punto di partenza speculativo per la fondazione della cristologia filosofica stessa, alla ricerca di un superamento della “policristia” e all’insegna di una “ transizione dal plurale al singolare”, che ponga al centro della riflessione “ il Cristo del pensiero”, “ vibrazione che fa vivere il simbolo e lo penetra di realtà” (p. 29).
Il punto di partenza apologetico di Tilliette, teso alla salvaguardia di Cristo nella modernità, viene enucleato e descritto dall’autore come esigenza di legittimità che esuli dall’ “appoggio” della filosofia cristiana e che rifiuti sia la contrapposizione illuministica di fede esapere, sia l’antitesi neo-tomistica di cristianesimo e pensiero moderno. Nel tentativo di superare il riduzionismo di stampo gnostico, che esalta l’aspetto simbolico ed approfondisce il baratro tra concetto e storia a favore del primo, la cristologia deve trovare nella Rivelazione quel punto di Archimede da cui il mistero di Cristo solleciti il pensiero filosofico. Prendendo le mosse dal problema della conciliazione tra l’ Idea Christi, molla della filosofia e accesso privilegiato alla cristologia filosofica, e l’ecceità di Gesù, l’autore ravvisa nella riflessione del gesuita un profondo dialogo con l’Idealismo tedesco e soprattutto con Hegel, nei confronti dei quali Stancampiano ipotizza un “primo” e “secondo” approccio di Tilliette, che inizialmente appoggia moderatamente e critica in taluni aspetti l’Idealismo, soprattutto nel pericolo indicato da von Balthasar della riduzione della fede nella ragione, ma che poi gradualmente trasforma in un suo “ possibile alleato”, grazie alla declinazione staurologica della sua filosofia, giacchè dice il gesuita: “ bisogna giudicare un filosofo secondo le sue intenzioni”.
Se l’ Idea Christi, reminescenza kantiana mutuata dalla cristologia trascendentale di K. Rahner e di Joseph Maréchal, antecedente all’atto rivelativo, è per Tilliette uno dei fulcri centrali della cristologia filosofica, fondo cristiano che ispira nonostante tutto le filosofie della modernità, poichè “ quel che il nostro gesuita ha in definitiva dimostrato è che la filosofia, in capo al suo sforzo di ricerca omnicomprensivo, incontra Cristo e non può non incontrarlo”(p. 20), è altresì vero, sottolinea l’autore, che essa non è l’unica via in cui Cristo entra nella filosofia. Stancampiano, continuando la sua analisi cronologico-evolutiva, sottolinea il cambiamento di prospettiva, guadagnato negli anni 90, che procede dall’idea di un “ Cristo dei filosofi” al “Cristo della filosofia”, cambiamento di prospettiva che però Tilliette stesso considera una “inflessione del metodo, ma in una continuità nell’intenzione”(p. 59), sino a giungere, nei lavori monografici del nuovo millennio, all’attenzione rivolta alla “ quaestio disputata della coscienza o della psicologia del Cristo”(p. 112).
Dallo studio delle fonti primarie l’autore, sulle orme di Tilliette, sottolinea l’emersione di tre vie, tre accessi metodologici, non perfettamente scindibili l’uno dagli altri, che della cristologia filosofica rappresentano altrettanti punti di vista.
La prima via, itinerarium mentis ad Christum, è la via tradizionale, di stampo apologetico, itinerario proprio degli studi teologico-pontifici che va “dalla filosofia alla teologia” e si declina come intenzione dis-velativa del mistero alla luce del pensiero, quale è stata l’apologetica di Pascal, la religiosità di Kierkegaard ed il percorso dell’Action di Blondel. Dice l’autore, parafrasando il gesuita francese: “ La teologia non può trascurare la filosofia. Nemo theologus nisi philosophus.[…] Certamente, introdurre Cristo e la cristologia nella filosofia, nella selva dei pensieri, comporta un rischio, ma un bel rischio, un rischio necessario […]. La filosofia ha una destinazione o fibra apologetica: è la prima via della cristologia filosofica, funge da praeparatio evangelica” (p. 73-74). La seconda via, “dalla teologia alla filosofia”, sottolinea la destinazione filosofica della cristologia ed è rappresentata dall’ Idea Christi come a-priori trascendentale che si apre all’esame delle condizioni a priori della realtà. In questa seconda direzione la cristologia s’innesta nelle “viscere” della filosofia per “suscitarla, galvanizzarla, strutturarla, fletterla”. L’autore approfondisce l’analisi fatta da Tilliette di Blondel, Fessard e Bruaire, in quanto exempla di figure filosofiche che lo stesso gesuita descrive nella spiegazione di tale accesso metodologico. La terza via, fenomenologica, ha il merito di avvicinare le due ali della cristologia filosofica: “ la storia e la vita di Gesù di Nazareth (con troppa incarnazione) e l’idea di Cristo (con poca incarnazione)”(p. 158) e permette al filosofo di meditare sull’essere e sui modi di apparire e vivere di Gesù, ovvero su categorie di rilevanza filosofica: la soggettività, il tempo, la corporeità, la sofferenza, la morte, il destino.
Se le prime due vie, dice l’autore, ad uno sguardo complessivo, risultano inserite in una sorta di “circolo ermeneutico”, ove “ la cristologia filosofica […] avviene pure nell’interesse della filosofia, come viceversa la filosofia in “attesa” opera nell’interesse di Cristo”(p.35), la terza si pone come unione delle due precedenti, attraverso cui Tilliette cerca una via d’uscita dal “rovinoso dualismo tra il Gesù della storia e il Cristo della fede”(p.36), e si propone come progetto assolutamente in fieri, così come in ultima analisi si presenta la cristologia filosofica stessa, giacchè ci avverte Tilliette nella Prefazione: “ una ricerca storica e speculativa sul Cristo Exodus della filosofia apre l’orizzonte a perdita d’occhio”, ponendo nella prospettiva, accolta e perseguita da Stancampiano “ della vastità del disegno e l’onesta dell’abbozzo”(p.12).
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