www.giornaledifilosofia.net

Heidegger e il problema della metafisica Intervista a Friedrich-Wilhelm von Herrmann
di Federico Lijoi

 

In una relazione da Lei tenuta nell’ambito di un colloquio filosofico sulla metafisica nel pensiero di Heidegger (mi riferisco alla conferenza che ha avuto luogo nella Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense e che è stata pubblicata nel libro La metafisica nel pensiero di Heidegger, Urbaniana University Press 2004) tenta di chiarire il concetto di “superamento della metafisica”. Vorrebbe riassumerci brevemente che cosa ha sostenuto in quell’occasione?

Il discorso di Heidegger sul superamento della metafisica è in sé duplice: in primo luogo, può trattarsi di una rinuncia alla metafisica, di un volgerle le spalle, nel senso per cui la metafisica sarebbe un percorso sbagliato che dobbiamo lasciarci dietro. Il discorso heideggeriano sembrerebbe rientrare facilmente in questa prima accezione, visto che la parola Überwindung in tedesco significa innanzitutto superare qualcosa, vincerla; e ciò che ho vinto, me lo lascio dietro. Il superamento della metafisica, tuttavia, non è mai inteso in questo senso; secondo me, il confronto pensante e filosofico di Heidegger con la storia della metafisica non appartiene alla cosiddetta critica della metafisica, dunque alle dottrine del positivismo o della filosofia analitica (si tratta di correnti filosofiche che non prendono affatto sul serio la filosofia e la metafisica, bensì ne considerano le domande solo come apparenti).
Nel suo cammino di pensiero, al contrario, Heidegger si è confrontato con le diverse epoche della storia della filosofia occidentale in modo molto dettagliato e approfondito; le sue domande, anche quelle fondamental-ontologiche, non sono completamente altre e al di fuori della metafisica tradizionale, bensì rappresentano le domande tradizionali della metafisica colte nella loro originarietà: la domanda  sull’essere, l’essenza del mondo, l’essenza del tempo, l’essenza dello spazio, l’essenza del movimento e la domanda inclusa in tutte queste, quella sull’essenza dell’uomo. Queste sono le domande che Heidegger trae dalla storia della filosofia. Non si è inventato nulla di nuovo. Si rivela in questo senso un profondo pensatore storico e pensare storicamente significa rivolgersi alla storia, comprendere la storia in sé, nei suoi motivi di pensiero, afferrare tali motivi di pensiero e domandare se essi debbano essere ripetuti più originariamente. Qui si tratta proprio della ri-petizione (così come Heidegger la presenta in apertura di Essere e Tempo), cioè del tornare-indietro all’originaria domanda sull’essere posta all’inizio della storia della metafisica, cosicché ora possa essere formulata in modo più originario. Ma porre più originariamente, innanzitutto in modo fondamental-ontologico, la domanda sull’essere, e con essa tutte le altre (sull’essenza della verità, l’essenza del mondo etc.), non significa affatto lasciarsi dietro le domande poste inizialmente, bensì ottenere la forma di domanda originaria proprio in dialogo con quelle poste inizialmente.
L’espressione “superamento della metafisica” si rivela, dunque, un’espressione infelice, visto che la maggior parte delle volte sembra alludere al superamento di qualcosa che non possiede più alcuna validità. Mettiamola così: la posizione fondamental-ontologica delle tradizionali domande metafisiche sull’essenza era la prima via di Heidegger e a partire da questa prima via si è venuta formando la seconda via, l’altra via, quella della storia dell’essere, nella quale egli si rivolge con sguardo retrospettivo alla metafisica del primo inizio e con sguardo anticipante al pensiero della storia dell’essere dell’altro inizio (che Heidegger intende dispiegare).
A questo proposito occorre precisare che Heidegger, quando parla della storia dell’essere, non intende solamente il pensiero futuro. La storia dell’essere, piuttosto, assume nel contempo il primo inizio e l’altro inizio da dispiegare; e se il primo inizio appartiene internamente alla storia dell’essere, non deve trattarsi allora di una via che, per così dire, corre all’esterno della storia della metafisica. Quest’ultima, invece, costituisce già il primo inizio dell’essenziamento della verità proprio nel modo del toglimento, del togliersi del disvelamento dell’essere a favore del disvelamento dell’ente nel suo essere. Questo essere è l’enticità dell’ente ed è il grande tema della storia della metafisica. Ma se le cose stanno così, allora risulta necessario, anche per il pensiero dell’altro inizio, assumere il pensiero metafisico del primo inizio, poiché esso appartiene pur sempre alla storia dell’essere che è da pensare. Per questo motivo, Heidegger afferma nella sezione 93 dei Contributi alla filosofia (che è intitolata Le grandi filosofie), che le grandi filosofie, e intende con ciò le grandi figure della storia della metafisica, sono montagne invincibili e insuperabili. Ciò significa che le grandi metafisiche sono insuperabili, non possono essere vinte. Filosofie, poiché traggono la propria verità proprio dalla storia dell’essere.
La storia della metafisica viene vista in questi termini da Heidegger, come storia delle grandi filosofie, di insuperate e insuperabili montagne; montagne che possono essere esperite solo nel loro ergersi e solamente così possono essere interpretate. Non è possibile leggere la metafisica diversamente, per esempio come un voler superare, come una volontà-di-vincere da parte di una posizione metafisica. Quando Heidegger si appresta alla comprensione della metafisica nel senso della storia dell’essere, la storia della metafisica appare come la prefigurazione di ciò che egli ha sviluppato in primo luogo in senso fondamental-ontologico e poi nel senso della storia dell’essere. La storia della metafisica, cioè, intesa come primo inizio, si accompagna sempre al pensiero dell’altro inizio. Per un tale concetto di metafisica (montagne insuperate e insuperabili) la parola Überwindung non va più bene. Vi sono alcuni luoghi testuali (proprio recentemente uno di questi passi ha attirato la mia attenzione), nei quali Heidegger rifiuta il significato di superamento nel senso del vincente lasciarsi-dietro, confermando, tuttavia, che esso è proprio quello che più spesso ci viene in mente quando udiamo la parola Überwindung.

Nella sua relazione Lei parla anche della differenza tra Grundfrage e Leitfrage. In che cosa consiste precisamente questa differenza?

Questa differenza è straordinariamente importante. Heidegger l’ha introdotta per la prima volta nel 1930 nel corso di lezioni intitolato Sull’essenza della libertà umana: con il termine Leitfrage siintende la domanda guida per la metafisica. Egli la riporta nella formulazione aristotelica “Che cos’è l’ente?”. Questa domanda non viene liquidata come una domanda falsa, bensì viene mostrato che questa Leitfrage ha dal canto suo un fondamento che la rende possibile, e questo è proprio la Grundfrage Grundfrage che prima viene posta in senso fondamental-ontologico, poi nel senso della storia dell’essere. La Grundfrage domanda non più semplicemente “che cos’è l’ente?”, bensì “che cos’è l’essere?”. E ciò non nel senso della quiddità dell’essere, bensì: “Come perviene all’essenziamento l’essere?”. Quindi, la metafisica domanda “Che cos’è l’ente?”, l’essere nel senso del “che cos’è” dell’ente (ousia), e la Grundfrage domanda “come perviene all’essenziamento l’essere nella sua verità?”. E questa domanda sul modo di essenziamento della verità dell’essere è la Grundfrage, poiché essa si interroga sul fondamento (fondamento non nel senso di causa, piuttosto fondamento nel senso di fondamento fondante, nel quale la Leitfrage si fonda e mediante cui viene resa possibile). Anche in questo esempio si vede molto bene come Heidegger riprenda la Leitfrage metafisica e vada oltre in direzione di una domanda più originaria, pur senza presentare la   Leitfrage metafisica come falsa o sbagliata.

Nell’ultimo corso marburghese del 1928 (Principi metafisici della logica), precisamente nell’appendice al § 10, Heidegger parla di svolta e di capovolgimento. Di svolta egli parla anche nella celebre conferenza Sull’essenza della verità(1930). Qual è la differenza tra queste due accezioni della Kehre?

Il concetto di ‘svolta’ compare per la prima volta all’interno del pensiero ontologico fondamentale, nell’ultimo corso di lezioni marburghesi (1928); si tratta di una ‘svolta’ che fin dall’inizio è prevista come capovolgimento, come ‘svolta’ dell’ontologia fondamentale nella metaontologia, dove tale capovolgimento, tale ‘svolta’, è già preconcepita nella concezione dell’ontologia fondamentale. L’ontologia fondamentale non basta a se stessa. Essa è piuttosto la preparazione per la metaontologia, per la metafisica ontica degli ambiti dell’essere che fanno parte dell’ente in totale, laddove la metaontologia, naturalmente, rimane sempre connessa all’ontologia fondamentale. Questa ‘svolta’ la chiamo fondamental-ontologica, e da questa ‘svolta’ fondamental-ontologica occorre differenziare nettamente la svolta nel senso della storia dell’essere, ovvero ciò che Heidegger chiama ‘svolta’ nella Lettera sull’Umanismo e che costituisce il passaggio dall’approccio fondamental-ontologico a quello nel senso della storia dell’essere. Quest’ultima Kehre ha come presupposto che il modo di essenziamento della verità dell’essere venga visto e compreso in quanto ‘evento’. ‘Evento’ indica la reciproca co-appartenenza della verità dell’essere e dell’essere dell’uomo, quindi dell’essere del Ci. Si tratta di un rapporto cor-rispondente – Heidegger lo chiama Gegenschwung nei Beiträge zur Philosophie – ma all’interno di questa struttura di rapporti cor-rispondenti ve n’è uno che possiede un primato: l’Ereignung (che non è la stessa cosa dell’Ereignis).
La maggior parte delle volte Ereignung indica per Heidegger il rapporto primario, la verità ad-veniente, l’ad-veniente gettarsi della verità dell’essere, il gettarsi per l’essere dell’uomo, per l’essere progettante dell’uomo, che dal getto ad-veniente viene lasciato accadere come gettato, gettato nella verità dell’essere, affinché ottenga la Cura di sé. Ottenga la Cura proprio nel modo del progettare, del progettante aprire di ciò che si getta ad-veniendo, cosicché la struttura formale dell’Ereignis suoni: il getto ad-veniente nel contro-slancio per il progetto avvenuto da ciò. Questo concetto di Ereignis, potremmo dire, è l’Evento dell’essere. Il concetto di ‘evento’ di cui si parla a proposito del seminario aristotelico tenuto a Marburgo nel 1928, invece, non è già l’‘Evento’ dell’essere, bensì è chiaramente l’‘evento’ dell’esser-ci. Quando l’esistere viene compreso come evento, allora si tratta dell’evento dell’esserci, ed esso è ancora preso in considerazione sul fondamento dello stesso concetto di evento che Heidegger ha utilizzato già all’inizio del 1919 durante il semestre straordinario di guerra: l’appropriarsi del vivere nel suo esser proprio. Il concetto di ‘evento’ sviluppato in questo seminario del 1928 non si distingue quasi per niente o addirittura affatto dal concetto di evento del 1919. Non si può, dunque, affermare che, poiché Heidegger nel corso di un seminario su Aristotele nel 1928 ha parlato di evento, egli abbia già portato a compimento una ‘svolta’ nel 1928. Ciò è assolutamente falso.
Il corso estivo del 1928, Principi metafisici della logica,e il successivo seminario su Aristotele, si mantengono ancora completamente nell’ambito dei concetti di trascendenza e orizzonte. Heidegger intende la trascendenza come ‘evento’, ma la trascendenza è il modo d’essere dell’Esserci che comprende il mondo. Dunque si tratta, per quanto riguarda questo concetto di evento del 1928, sempre dell’‘evento’ dell’Esserci, ma non ancora dell’‘Evento’ dell’essere. Ma la conferenza Sull’essenza della verità del 1930 si rivela un primo e decisivo passo verso il pensare nel senso della storia dell’essere, poiché ora la verità (la verità originaria, l’essenza della verità) viene compresa come verità svelantesi-coprentesi e in questo accadere svelantesi-coprentesi si trova proprio il gettarsi della svelantesi-coprentesi verità dell’essere in quanto Ci e per l’essere del Ci.
Qui mi riferisco alla prima versione di questa conferenza che risale al 1930, sebbene ad essere pubblicata nel 1943 sia stata la quarta edizione rielaborata. Il tratto fondamentale di questa conferenza, il suo impianto, è quello del 1930, ma i passaggi concettuali appaiono rimaneggiati; è per questo che solo nel 1943 compare la parola Ereignis, mentre nel 1930 questa espressione non è ancora presente, sebbene la conferenza si muova già nello stato di cose dell’‘Evento’, visto che la verità dell’essere viene pensata storicamente. Ciò significa non solo che la verità, come nell’ontologia fondamentale, è più o meno originariamente apertura, ma piuttosto che ciò che egli innanzitutto chiama apertura è in sé l’accadere della verità dello svelantesi-velamento e del velantesi-svelamento. Quando Heidegger alla fine della conferenza Sull’essenza della verità dice che è stata prevista una seconda conferenza che avrebbe tematizzato il passaggio dall’essenza della verità alla verità dell’essenza – vi sono nel lascito alcune annotazioni in cui questo passaggio di pensiero è brevemente schizzato – egli intende la svolta dall’essenza della verità alla verità dell’essenza; questa svolta della quale lei mi domanda è già la svolta nel senso della storia dell’essere, poiché la domanda sull’essenza della verità si capovolge, e si è già capovolta nel corso di questa conferenza, nella verità dell’essenziamento, nella verità dell’essenza. Ciò dunque significa: nel dis-velamento dell’essenza dell’essere. La verità dell’essenza non è un semplice rivolgimento dell’essenza della verità; in questo caso verità significa qualcosa di diverso rispetto alla prima formula e così anche essenza. Nella formula “l’essenza della verità”, il termine essenza significa innanzitutto la correttezza (viene poi mostrato che questa correttezza si fonda nell’apertura); ma nel rivolgimen-    to (la verità dell’essenza), il termine verità indica il disvela-           mento dell’essenza non più nel senso dell’essenza, bensì dell’essenziamento dell’essere. Questa seconda conferenza, perciò, non elaborata né pubblicata, avrebbe tratto dalla conferenza pubblicata la conseguenza di tematizzare propriamente l’essenziamento storico della verità dell’essere, dato che la prima conferenza si muove già nella tematizzazione dell’originaria essenza della verità. Ma Heidegger ancora non dice expressis verbis che questa originaria essenza della verità, pensata nella conferenza, sia la verità non più dell’ente, bensì dell’essere. Affinché ciò sia mostrato, bisogna che giunga a compimento la seconda conferenza.
Questa tesi Sull’essenza della verità appartiene, quindi, al territorio della svolta nel senso della storia dell’essere, cioè al territorio del ritorno della posizione fondamental-ontologica della domanda sull’essere nella posizione della domanda nel senso della storia dell’essere, e questo concetto di svolta già rimanda alla fine della conferenza Sull’essenza della verità alla ‘svolta’ nell’Evento. Entrambi questi concetti di ‘svolta’, soprattutto quello fondamental-ontologico, devono allora essere tenuti rigorosamente distinti dal concetto di ‘svolta’ nel senso della storia dell’essere. Quest’ultimo emerge per la prima volta là dove l’evento è Evento dell’essere e non più solamente evento dell’Esserci.

Nella sua relazione Lei ha parlato di metaontologia, interpretandola nei termini di un’ontologia regionale. A questo proposito Heidegger afferma che Aristotele parla di due direzioni della filosofia: la prote philosophia (ontologia fondamentale) e la theologike philosophia (metaontologia). Di queste due direzioni della filosofia, dice Aristotele, l’autentica filosofia deve essere pensata come theologike philosophia. Nello stesso tempo, Heidegger sostiene che il tema della theologike philosophia, cioè Dio (to theion), che è naturalmente anche il tema della metaontologia, debba essere definito come das Umgreifende und Überwältigende (l’onniabbracciante e l’incombente), das Übermächtige (l’onnipotente). Tutte determinazioni che non fanno pensare a nulla di regionale…

La sua domanda coglie il punto. Vorrei fissare la differenza tra ontologia fondamentale e metaontologia (in quanto ontologia regionale) non tanto sul rapporto tra filosofia prima e teologia, sebbene Heidegger vi faccia riferimento – si tratta comunque di un passo oscuro – bensì in riferimento alla moderna, leibniziano-wolffiana, e accademica partizione della metafisica in metaphysica generalis e metaphysica specialis. Partizione della quale Heidegger ha sempre molto parlato nelle sue lezioni su Kant. Direi che l’ontologia fondamentale è la forma originaria della metaphysica generalis. Mentre la metaphysica generalis è orientata alla Leitfrage, l’originaria fondazione della metaphysica generalis attraverso l’ontologia fondamentale è orientata alla Grundfrage; come all’interno della metafisica la metaphysica generalis prepara le tre metafisiche, così, per analogia, l’ontologia fondamentale prepara la metaontologia dell’ente in totale. Credo che Heidegger con questo riferimento alla distinzione aristotelica di filosofia prima e teologia avesse davanti agli occhi ciò che stava alla base della distinzione tra metaphysica generalis e metaphysica specialis, poiché questa distinzione aristotelica è entrata nella separazione scolastica di metaphysica generalis e metaphysica specialis, e ora, per Heidegger, le metafisiche speciali non significano la metafisica dell’anima, la metafisica del mondo e la metafisica di Dio, bensì le metafisiche speciali dei diversi ambiti dell’essere. La distinzione heideggeriana tra ontologia fondamentale e metaontologia è, nell’ambito della Grundfrage, la distinzione più originariamente fondata tra generalis e specialis.

Vi sono delle critiche che vorrebbe muovere alla filosofia di Heidegger?

Una prima critica consiste nel modo in cui in questa occasione, per esempio, ho interpretato la comprensione della metafisica da parte di Heidegger. La mia critica, dunque, all’utilizzo della parola “superamento”. Senza dubbio Heidegger, come nessun altro pensatore, ha intrapreso una nuova via. Deve essere sottolineato molto chiaramente che egli ha posto le fondamentali domande metafisiche in una forma nuova. Si tratta di un suo merito incomparabile. Diversamente da lui, tuttavia, io vorrei mantenere con pari diritti, se è lecito che io per una volta mi esprima così, la strada che la metafisica ha finora percorso. E qui si deve ancora una volta combattere contro Heidegger (in fondo egli già salvaguarda la strada della metafisica tradizionale; è, infatti, normale che un uomo che in quaranta corsi di lezioni ha quasi esclusivamente trattato la storia della metafisica, ad un certo punto tagli corto con essa, la metta da parte e si occupi delle proprie cose).
Sono stato invitato a Bologna ad un congresso sul tema “Metafisica e nichilismo – Löwith e Heidegger interpreti di Nietzsche” e lì ho tenuto una conferenza dal titolo Sottrazione e annientamento: sulla differenza essenziale tra metafisica e nichilismo.
A tal proposito, una seconda critica, che si riallaccia alla prima e che abbiamo toccato brevemente, è la seguente: Heidegger, seppure in un senso elevato, intende la critica alla metafisica come critica al nichilismo. Questo non posso condividerlo. C’è in lui, per esempio nel trattato del volume 69 dell’opera completa, La storia dell’essere, una grandiosa interpretazione nel senso della storia dell’essere di ciò che il nichilismo è nel nostro tempo; lì si parla dell’annientamento, l’annientamento di tutta la significatività; egli sostiene che la significatività e ciò che è decisivo – qui ha naturalmente in mente il dominio dell’essenza della scienza moderna e della tecnica moderna – vengano annientate, e precisamente annientate irrimediabilmente. Questa è un’analisi del nichilismo, ma questo carattere di annientamento è, secondo me, da un punto di vista qualitativo, altra cosa rispetto a ciò che nella metafisica accade come ritrarsi. Heidegger interpreta la sottrazione, il ritirarsi della verità dell’essere nella metafisica, precisamente in modo che ciò che aumenta e si accresce venga inteso come un aumentare di ciò che rispetto all’essere è nulla. Quindi, un aumentare del fondamentale tratto nichilistico della metafisica. Si tratta di una visione troppo ristretta, direi addirittura non attestabile fenomenologicamente – e io insisto sempre molto sull’atteggiamento fenomenologico. C’è il nichilismo, ma esso non è solamente il ritrarsi della verità dell’essere, bensì l’accadere dell’annientamento. Sostengo, dunque, che da un punto di vista fenomenologico c’è una differenza essenziale, una differenza qualitativa tra sottrazione e annientamento. Questo è stato il tema principale di quella conferenza ed è stato così ben accolto, dai colleghi italiani e dagli uditori, che ho intenzione di lavorarci ancora.
Una terza critica consiste nella visione heideggeriana della teologia nel senso della storia dell’essere come totalmente altra rispetto alla teologia cristiana. Nel senso della storia dell’essere di Heidegger, dunque, si tratta della dipartita del Dio cristiano in connessione con Nietzsche e il suo “Dio è morto” a vantaggio di questo atteso (con Hölderlin, naturalmente) e futuro apparire del divino. Neanche questo, però, sento di poter condividere. Si tratta di un incomparabile passaggio di pensiero, ma anche le argomentazioni sull’ultimo Dio risultano fenomenologicamente indimostrabili. La finitezza del filosofare per me si mostra ai limiti di ciò che non è più fenomenologicamente dimostrabile. Come preparazione per l’apparire dell’ultimo Dio, Heidegger dice già molto bene nella Lettera sull’Umanismo che l’evento in sé potrà accadere solamente quando la verità dell’essere tornerà ad avere valore; quando egli afferma che il sacro, e nel sacro la dimensione del divino e nella dimensione del divino il Dio, potrà accadere, egli intende (sebbene non lo dica nella Lettera sull’Umanismo) l’ultimo Dio; ciò può ritenersi fenomenologicamente comprensibile, dimostrabile. A queste dichiarazioni mi sento di  aderire pienamente, ma questo Dio che deve apparire può essere anche il Dio cristiano, esattamente come Heidegger ha meravigliosamente detto nella sua lezione di libera docenza, nella sua introduzione alla fenomenologia della religione, nella sua interpretazione delle lettere di Paolo, dei Galati e dei Tessalonicensi. Per quanto riguarda la religiosità cristiana e l’attesa del Dio cristiano, del ritorno di Cristo nell’ambito delle lettere paoline, la dimostrazione diviene positiva in base alla liberazione dall’interpretazione filosofica da lui compiuta. Ciò si mostra come fenomeno poiché libero rispetto allo stravolgimento effettuatone nell’ambito dell’ontologia greco-aristotelica. Secondo la mia opinione, ma qui io stesso sono solamente all’inizio, ciò che Heidegger ha affrontato nel suo primo corso di lezioni da libero docente in riferimento alle lettere paoline, all’interno della sua analisi della vita fattizia, deve essere pensato, conformemente alla cosa stessa, insieme al pensiero dell’evento.
Questi sono tre inizi per una critica, con cui io non ho intenzione di superare Heidegger (sarei completamente pazzo). Fichte poteva andare più in alto di Kant, ma io ho spesso detto che il Fichte di Heidegger ancora non c’è (escluderei che Derrida lo sia). E tuttavia vorrei filosofare con Heidegger, poiché ciò è in sé affascinante; nel pensiero di Heidegger è raccolta l’intera filosofia occidentale, ma con alcune modificazioni, e in queste modificazioni consistono le mie critiche.

 

(Traduzione dal tedesco di Federico Lijoi. Un particolare ringraziamento va a Thomas Brandstaetter)


PUBBLICATO IL : 07-02-2005


Giornaledifilosofia.net è una rivista elettronica, registrazione n° ISSN 1827-5834. Il copyright degli articoli è libero. Chiunque può riprodurli. Unica condizione: mettere in evidenza che il testo riprodotto è tratto da www.giornaledifilosofia.net.

Condizioni per riprodurre i materiali --> Tutti i materiali, i dati e le informazioni pubblicati all'interno di questo sito web sono "no copyright", nel senso che possono essere riprodotti, modificati, distribuiti, trasmessi, ripubblicati o in altro modo utilizzati, in tutto o in parte, senza il preventivo consenso di Giornaledifilosofia.net, a condizione che tali utilizzazioni avvengano per finalità di uso personale, studio, ricerca o comunque non commerciali e che sia citata la fonte attraverso la seguente dicitura, impressa in caratteri ben visibili: "www.giornaledifilosofia.net". Ove i materiali, dati o informazioni siano utilizzati in forma digitale, la citazione della fonte dovrà essere effettuata in modo da consentire un collegamento ipertestuale (link) alla home page www.giornaledifilosofia.net o alla pagina dalla quale i materiali, dati o informazioni sono tratti. In ogni caso, dell'avvenuta riproduzione, in forma analogica o digitale, dei materiali tratti da www.giornaledifilosofia.net dovrà essere data tempestiva comunicazione al seguente indirizzo (redazione@giornaledifilosofia.net), allegando, laddove possibile, copia elettronica dell'articolo in cui i materiali sono stati riprodotti.