Se si considera la somiglianza delle tematiche e degli sviluppi teorici di Plessner e Merleau-Ponty viene spontaneo pensare ad un’azione parallela. È un fatto ormai riconosciuto nella letteratura secondaria, anche sulla base di poche ma istruttive indicazioni dei due autori. Tuttavia, se si considera l’esito effettivo di questa prossimità, anche nella storia della ricezione dei due pensatori, il termine azione parallela si colora di ironia. Fa pensare a Musil: un’azione ferma, che non porta da nessuna parte, che in realtà lascia i protagonisti distanti e rende il parallelismo non un elemento di convergenza ma di separazione. Ricordo che nell’Uomo senza qualità di Musil, l’Azione Parallela è il nome del comitato che deve promuovere una grande celebrazione per i 70 anni di governo dell’imperatore Francesco Giuseppe di Asburgo. Il comitato vede riuniti un gruppo di eminenti personalità, variegato e intellettualmente sofisticato. Il suo enigmatico nome vorrebbe indicare un’azione convergente che, di fatto, non ha luogo. Personaggi e idee restano paralleli, non realizzano nulla, perché nulla di comune si riesce a costruire. L’azione è immobile.
Questo aspetto un po’ grottesco richiama la tormentata vicenda della diffusione dell’antropologia filosofica tedesca. Una vicenda che riguarda una certa tendenza “regionale” delle tradizioni filosofiche, ossia un andamento che segue scuole nazionali, auctores vecchi e nuovi, predomini linguistici, specializzazioni tematiche, lessicali e metodologiche. Con il risultato che ciascuno resta relegato nella sua regione. E riguarda, all’interno di tale tendenza, il sospetto ideologico maturato contro l’antropologia in quanto linea teorica ritenuta conservatrice e parte di quell’intreccio di metafisica, teologia e umanismo che avrebbe segnato negativamente la storia occidentale. Ciò ha prodotto ignoranza o condanne sommarie rispetto all’antropologia filosofica, e non solo, basti pensare ai difficili rapporti con le scienze o alla divisione tra “analitici e continentali”. Non intendo qui trattare questa vicenda, salvo lasciarne serpeggiare l’eco attraverso il titolo, quasi come un monito. Monito doveroso perché la tensione tra tendenza regionalistica e aspirazione universalistica della filosofia diventa sempre più imbarazzante in un’epoca di dichiarato pluralismo, nell’epoca “globale”. E doveroso, poi, perché stiamo parlando di due autori, Plessner e Merleau-Ponty, che molto hanno insistito sul carattere plurale del mondo e della filosofia; molto hanno insistito sul dialogo interdisciplinare, ossia sugli scambi, gli slittamenti e anche i conflitti tra i diversi lati dell’esperienza, che tuttavia va letta unitariamente. Volendo, si potrebbe individuare il senso generale dell’opera Merleau-Ponty e Plessner proprio nella ricerca di una chiave unitaria, ma non riduzionistica, per leggere i molteplici piani paralleli del reale.
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