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“New York e il mistero di Napoli” Recensione |
di Adriano Aprà |
“New York e il mistero di Napoli” è il titolo principale del filmsaggio: già due realtà lontane, geograficamente, storicamente e culturalmente diverse e divergenti, che vengono accostate. Il sottotitolo è: “Viaggio nel mondo di Gramsci”; viaggio, mondo, Gramsci. Si viaggia: come il cinema (o il video, non c'è differenza sostanziale) ama fare da sempre; il mondo: ovvero tutto, su questa terra: mondo mentale ma anche spaziale e temporale; e poi, finalmente nominato, Antonio Gramsci: a cui tutto, del film, ruota attorno. Ma, appunto, il nome è nel sottotitolo, quasi a dire che non è lui il Protagonista, ma semplicemente lo spettatore, o il provocatore, o il mediatore, o - avrebbe detto Serge Daney - il "passeur" (il passaparola?). Perché si riconosce la modestia, l'umana, e politica, funzione di tramite che Gramsci, visto così, si dà, quasi fosse un orientale che si riconosce parte di un tutto.
Non ho particolare amore per Dario Fo, forse non lo conosco abbastanza. Ma mi colpisce il fatto che Baratta monta, all'inizio, una sua dichiarazione sull'ironia di Gramsci. Chi se lo aspetterebbe? E che, un po' dopo, Franca Rame abbia il coraggio di dire che era gobbo. Chi oserebbe? E questo mentre si parla, si fa parlare, soprattutto di un Gramsci che non si conosce, prima uomo e poi pensatore e politico, e perciò destinato a durare di più. Ma non voglio avventurarmi troppo su un terreno che non è il mio. Ho studiato, e amato, Gramsci da ragazzo, ma secondo la doxa imperante dalla fine degli anni '50 ai primi anni '60: che avrò capito? (Eppure ricordo quanto mi colpì la sua scrittura per frammenti, diciamo diaristica?, che più tardi avrei accostato - fra me e me - a quella di di Nietzsche). Vedendo il videofilm di Baratta ho intuito altre cose: la procreatività di Gramsci rispetto al presente e a un altro futuro.
Quanto al cinema: che coraggio bello e salutare nel mescolare, "meticciare", tecniche e generi diversi di documentarismo; e questo non solo per prodezza stilistica, comunque ammirevole per un non-cineasta, ma perché esse mi dicono che l'oggetto del suo desiderio - Gramsci - non è un monolite ma una realtà tuttora pulsante e variegata, leggibile in tanti modi, come egli la legge.
Ne abbiamo parlato: il genere cosiddetto documentario non è più, da tempo, il "rispecchiamento della realtà". E' - libero dalle norme del film narrativo di finzione - un campo di espressione in cui si incrociano, e si ibridano, gli impulsi dell'autobiografia, della diaristica, della saggistica: scrivere con immagini e suoni seguendo l'impulso del momento, confondendo il proprio io con l'oggetto del discorso, non sottraendosi al metodo dell'appunto, dell'annotazione estemporanea, e insieme riflettendo servendosi non più soltanto della parola scritta, ma di quella orale, e delle immagini e dei suoni. La saggistica cinematografica - inaugurata forse da Dziga Vertov, proseguita da cineasti troppo poco noti come Leo Hurwitz (americano comunista) e Humphrey Jennings (inglese democratico), diffusa da Chris Marker e, più tardi, da Jean-Luc Godard - è una lingua nuova che si offre a chi pensa; e che gli offre più agilità, meno rigore scientifico forse ma più ironia, più umanità, che non la (semplice?) parola scritta. Una nuova strada per la filosofia? Ma, appunto, nell'osare – l’autore che non è cineasta ma filosofo di formazione - affrontare un'opera audiovisiva che mescola linguaggi diversi, che non tiene conto di regole, non ha forse accolto bene la lezione del modo diverso, filosoficamente diverso, in cui Gramsci scrive? La mia risposta è ovviamente sì. Che bello vedere il viaggio fra le galere di Gramsci visualizzato con immagini underground. Non le ha fabbricate Baratta? Però le ha scelte e montate. Come Gramsci pensava assorbendo come una spugna ciò che vedeva attorno a sé - i duelli carcerari che cita per fare un esempio - così egli assorbe dal cinema, dal video, da Gramsci, da Fo o da chi ha intervistato a suo tempo con Gianni "Amico di Gramsci", per ricomporre un mosaico poliedrico, immagini e suoni che diventano pensieri audiovisivi: pensieri in movimento. |
PUBBLICATO IL : 15-05-2006
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