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Le nuove sfide della linguistica cognitiva
di Giulia Andrighetto

 

Per comprendere di cosa si parla quando si parla di linguistica cognitiva è necessario fare riferimento alla svolta che a partire dagli anni '50 del Novecento ha trasformato la psicologia. Era il 1956 quando negli Stati Uniti rappresentanti di discipline scientifiche differenti si riuniscono intorno ad un progetto epistemologico comune, conosciuto sotto il nome di "programma cognitivista": il linguista Noam Chomsky affianca lo psicologo Herbert Simon e lo specialista di intelligenza artificiale Marvin Minsky nell'impresa di caratterizzare il funzionamento della mente umana attraverso le sue facoltà ed in particolare attraverso la facoltà di linguaggio. L'idea alla base di tale progetto è che la cognizione umana possa essere definita, al pari di una macchina, nei termini di calcolo (computazioni). Nei decenni successivi da questo nucleo teorico di base si sono ramificate posizioni che in opposizione, ma anche in continuità, con l'ortodossia cognitivista hanno tracciato una nuova geografia all'interno delle scienze cognitive. La tendenza più forte è stata quella di opporsi al dualismo cartesiano, estendendo la mente sul mondo attraverso un corpo. In quelle che possono essere definite come scienze cognitive di seconda generazione il concetto di embodiment (mente incarnata) assume un ruolo centrale. La mente è incarnata, ovvero è condizionata nei suoi processi cognitivi generali e linguistici dalle strutture biologiche, ed è situata culturalmente nel mondo.
La cognizione viene considerata un'attività volta a fare emergere dinamicamente i significati e non più una macchina che manipola o riflette su informazioni preesistenti. Al posto di un trattamento sequenziale e localizzato dell'informazione viene suggerito un trattamento parallelo e distribuito: il senso, in questa prospettiva sub-simbolica, non risiede più nei simboli, ma negli schemi di attività complessa che emergono dall'interazione tra più simboli.
Quanto avvenuto all'interno delle scienze cognitive ha avuto una forte eco anche in linguistica e dalla fine degli anni Settanta hanno iniziato a svilupparsi atteggiamenti critici intenzionati a prendere le distanze dal generativismo chomskiano. Si tratta delle "grammatiche/linguistiche cognitive", nate sulla costa occidentale degli Stati Uniti, i cui principali esponenti sono George Lakoff, Ronald Langacker, Leonard Talmy, e Gilles Fauconnier e Mark Johnson. Comune è l’interesse dei rappresentanti di tale prospettiva per lo studio dei processi mentali sottostanti al linguaggio, nello specifico alle procedure di categorizzazione sia semantiche che grammaticali. In questo senso tali autori rimangono all’interno del programma scientifico di Chomsky, dal quale però prendono le distanze per quanto riguarda una serie di assunti centrali.
Vengono sostituiti i concetti di regola e algoritmo, come unità di analisi, con quello di schema, caratterizzando in questo modo la linguistica cognitiva come un approccio basato sull'uso e non più su regole. La portata di tale cambiamento può essere apprezzata solamente se considerata all'interno dell' ipotesi più ampia che la facoltà di linguaggio non sia isolabile dalle altre competenze e funzioni cognitive. Il linguaggio non è un'entità autonoma, un modulo innato, un sistema autosufficiente e governato da principi di funzionamento propri, ma una facoltà mentale le cui caratteristiche sono indissolubilmente legate al funzionamento complessivo della mente umana. L'attenzione è rivolta alla relazione tra esperienza corporea-fenomenologica pre- e non-linguistica e cognizione, legame che permette di ipotizzare una base motivata del linguaggio. Non è un caso allora che la linguistica cognitiva trovi i dati neuroscientifici estremamente rilevanti per i suoi scopi.
Da tali premesse conseguono importanti risvolti sia nello studio delle modalità di categorizzazione che nella teoria grammaticale. Nella categorizzazione, i fattori percettivi, senso-motori e culturali non solo intervengono, ma costituiscono una motivazione profonda. Quanto alla grammatica, essa non è considerata un sistema formale autonomo, bensì un repertorio di dispositivi di simbolizzazione i cui elementi sono perciò, anche se schematicamente, intrinsecamente dotati di significato.
I morfemi grammaticali non sono privi di significato, ma forniscono allo stesso tempo informazioni semantiche, pragmatiche e sintattiche. In questo modo viene a cadere uno degli assunti più caratterizzanti la linguistica chomskiana: l'autonomia tra sintassi e semantica. La sintassi perde la sua forza generativa e la sua centralità in favore della dimensione semantica.
La nozione di semantica proposta dalla linguistica cognitiva è strettamente legata ai processi di categorizzazione attraverso i quali si formano i concetti e alle procedure sintattiche che contribuiscono al loro significato. Secondo tale concezione concettualista, il significato non esiste indipendentemente dalle persone che lo creano e utilizzano ed è spiegabile nei termini dell'attività di concettualizzazione dei parlanti, da cogliersi nel senso ampio del termine, che copre cioè ogni specie di esperienza mentale. Descrivere il significato delle parole, di conseguenza, significa descrivere quali contenuti concettuali sono espressi dalle parole stesse, quali processi mentali hanno portato alla formazione di quei contenuti e quali ne consentono la comprensione. Si tratta di un concetto di semantica come si vede molto distante da quello sintattico-computazionale e semantico-formale e che si riallaccia idealmente alla tradizione gnoseologica e psicologista della filosofia occidentale.
Una ragione importante per adottare una concezione concettualista del significato è che essa incorpora la capacità di ricostruire o rappresentare mentalmente, in modi differenti, attraverso immagini diverse, una certa situazione per scopi cognitivi o espressivi. Espressioni che evocano essenzialmente lo stesso contenuto concettuale, possono nondimeno essere semanticamente distinte perché interpretano il contenuto in maniere differenti, a seconda dei particolari aspetti della scena presi in considerazione. La scelta di parole e strutture sintattiche è guidata da schemi o operazioni di costruzione del significato (construals) molto astratti della struttura concettuale, schemi la cui caratterizzazione, nonostante le diversificazioni effettuate dagli autori, converge verso una connotazione di natura topologico-spaziale. Da ciò ne deriva una qualificazione fortemente topologica della semantica e dell'intero apparato teorico e concettuale.
Sulla centralità dello spazio come dimensione caratterizzante l'esperienza corporea si sta recentemente sviluppando un intenso dibattito. Anche se il nostro muoverci e orientarci nello spazio è certamente una dimensione alla base della nostra esperienza e il corpo umano una potenziale risorsa schematica per la concettualizzazione linguistica dello spazio (e di altri domini), non tutta l'esperienza è riducibile a ciò.
Contaminazioni fenomenologiche e semiotiche della linguistica cognitiva, inizialmente molto deboli e poco giustificate, stanno, soprattutto nella sfera europea, diventando sempre più consistenti e promettenti e facendo pressione proprio in direzione di un allargamento interoggettivo e sociale dell'accezione di esperienza (Albertazzi, Cadiot, Croft, Rosenthal, Sinha, Victorri, Violi, Visetti). L'esperienza non è considerata, come in un approccio kantiano, una somma di intuizione e categorie, ma un'integrazione di percezione, azione ed espressione. Il rapporto fra linguaggio e percezione, linguaggio e corporeità (quindi anche propriocettività, movimento, spazialità) è concettualizzato nei termini di una di semantica esperienziale più fenomenologica che cognitiva in senso stretto. Se l'idea di embodiment vuole rimanere centrale anche in queste nuove tendenze della lingistica cognitiva, una serie di nozioni, tra cui quella di corpo, deve essere rivista e puntalizzata. L'esperienza corporea, invocata dall' analisi semiotica-fenomenologica, non rinvia ad una pre-determinazione causale, ma ad uno strato sensibile, pratico e sempre già linguistico di gesti e pratiche sociali donatrici di senso. Il corpo non viene quindi inteso in senso statico. Cio' che determina l'interazione con il mondo non è solo la nostra struttura corporea, ma anche il nostro muoverci intenzionalmente nel mondo. Il corpo é sempre un corpo in movimento e tale movimento va compreso a partire da un concetto di intenzionalità che lo determini..


PUBBLICATO IL : 16-07-2006


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