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L'immaginazione estatica. Estetica, tecnica e biopolitica Intervista a Pietro Montani
di Dario Cecchi

 

1) La prima domanda che rivolgiamo a Montani è la seguente: perché è importante riformulare il tema della tecnica e che rapporto esiste tra techne e arte?

Credo che la questione della tecnica sia stata formulata in modo tuttora insuperabile da Heidegger più di mezzo secolo fa e che la sua riflessione su concetti quali Bestand (l’ente inteso come “fondo” o riserva di energie da sfruttare) e Ge-Stell (l’impianto o dispositivo globale che unifica tutti i modi del “porre” e del “richiedere”) debba restare il punto di riferimento decisivo per ogni ripresa filosofica del problema. Il lavoro che oggi dobbiamo fare riguarda piuttosto la ricomprensione delle tesi heideggeriane alla luce delle trasformazioni più rilevanti intervenute nell’ultimo trentennio nell’ambito delle tecnoscienze - le biotecnologie in particolare – e della loro potente ricaduta sulla nostra interpretazione del vivente. Ciò che Heidegger non vide con sufficiente chiarezza mi sembra il nesso tra la questione della tecnica e ciò che oggi definiamo ‘biopolitica’ o ‘biopotere’. Anche il rapporto tra arte e tecnica dev’essere ripensato su questo sfondo. Ci si deve chiedere cioè se le arti svolgano ancora, e a che condizioni, il compito storico di rendere disponibile una più appropriata comprensione critica dell’essenza della tecnica intesa in senso non strumentale (un insieme di mezzi a disposizione dell’uomo) ma destinale (un orizzonte di senso a cui siamo consegnati) e se esse siano ancora in grado di esibirne le forme decisive e di esplorarne le potenzialità inespresse.

2) Uno degli adagi dell'estetica è quello sulla "morte dell'arte": a partire dalla diagnosi hegeliana, si sono definite diverse cause di questo "decesso". L'emergere di una questione della tecnica riapre la questione?

In qualche misura ho già risposto a questa domanda nelle considerazioni che ho appena fatto. Aggiungerò che se noi ci muoviamo nell’orizzonte dischiuso dall’estetica moderna - e penso in particolare al rapporto essenziale, indicato da Kant, tra originalità ed esemplarità nell’opera di genio - è facile concludere con la constatazione che nelle arti contemporanee quel rapporto non è più determinante e specifico. La tecnica moderna, in altri termini, ha inaugurato e incrementato un movimento di straordinaria espansione della sfera d’azione della arti ‘estetiche’ indistinguendole sempre più efficacemente dalle pratiche del marketing e della comunicazione globale, di cui ormai sono parte costitutiva. Si tratta dunque, in primo luogo, di uscire dall’orizzonte dell’estetica - come del resto, con diverse prospettive, fecero Benjamin e lo stesso Heidegger -, e in secondo luogo di farsi sensibili alle opportunità inedite che si aprono in quelle zone della nostra esperienza in cui l’incidenza delle nuove protesi tecnologiche è più forte, esplicita e determinante.

3) Al centro della tua ridiscussione critica dell'estetica c'è il tema, rilevante per la questione della tecnica, della creatività: il tuo maestro Emilio Garroni vi dedicò un lungo e importante articolo circa trent'anni fa: qual è lo "stato dell'arte", per citare il titolo di un tuo libro?

Il saggio di Garroni, a cui fai riferimento, resta uno dei vertici della riflessione estetica di tradizione kantiana. Comincia proprio in quegli anni (il saggio è del 1978) un profondo ripensamento del trascendentalismo che avrebbe portato Garroni a interpretare l’estetica come una filosofia ‘non-speciale’, vale a dire come una interminabile ricognizione critica sul senso e sull’esperienza in genere e, da ultimo (ma è un ultimo che è anche un primo, perché il giovane Garroni aveva esordito negli anni 50 precisamente con quel problema) come il luogo teoretico deputato ad accogliere ed elaborare la domanda che la filosofia pone a se stessa: il paradosso autoriflessivo di ogni autentica filosofia e, insieme, il luogo in cui essa si sporge ineluttabilmente sul non senso. E tuttavia, è precisamente quella riflessività, dal mio punto di vista, il limite dell’estetica garroniana e della sua concezione della creatività. Intendo dire che l’idea di un soggetto che comprende e si comprende anche nelle zone di rumore e nelle sacche di insensato che affliggono la sua esperienza assume spesso, in Garroni, le movenze di una procedura immunitaria, che lo pone al riparo da una schietta esposizione all’intrattabilità degli eventi contingenti e all’irriducibilità delle emergenze davvero innovative. Com’è, appunto, il caso delle nuove tecnologie e della loro ricaduta biopolitica, a cui ho già fatto cenno, e nei cui confronti Garroni rimase essenzialmente disinteressato. Per lui, in altri termini, la creatività del primo homo sapiens e quella degli inventori di Google, per fare un esempio provocatorio che uso spesso (a mio rischio, perché mi viene immancabilmente contestato), sono essenzialmente la stessa cosa. Proprio per questo, d’altronde, Garroni sosteneva (e su questo punto, come si è visto, lo seguo) che le arti non sono l’oggetto epistemico dell’estetica e che il loro ufficio, tipicamente moderno, di manifestare esemplarmente l’esperienza del senso è oggi vistosamente in declino. Quanto al problema specifico della creatività, la mia convinzione è che oggi dobbiamo ripensarlo alla luce della concettualità che, seguendo Hannah Arendt (e altri autori come Simondon e Canguilhem) Roberto Esposito ha abbozzato nel suo recente Bios, un libro molto importante per riconfigurare il nesso tra estetica, tecnica e biopolitica. Tra l’altro (ma qui non posso sviluppare questo punto, molto complesso) la prospettiva che in tal modo si dischiude è tale da valorizzare (o addirittura da rendere visibili) certi aspetti dell’estetica critica che per molto tempo siamo stati inclini a interpretare in modo unilaterale: penso, in particolare, al concetto cruciale di autonomia dell’opera d’arte, che si può e si deve leggere anche nel senso letterale di quella capacità di ‘auto-regolazione’ (di darsi la regola da solo) che caratterizza i processi di individuazione e le forme di vita. Questo ci aiuta a delocalizzare la questione dell’esemplarità e ad aprirci gli occhi per andarla a cercare in oggetti anche molto diversi da ciò che definiamo ‘opere d’arte’.

4) Dalla creatività all'immaginazione kantiana, quella del paragrafo 49 della Critica della facoltà di giudizio. Per il filosofo francese da sempre attento alla tecnica Bernard Stiegler, venuto qui a Roma invitato dal Festival di Filosofia e da te per un convegno sull'immagine, la tecnica poggia su un aspetto intrinsecamente tecnico del pensiero: la ritenzione terziara, o tecnica, la chiama, facendo riferimento alla terminologia fenomenologica. L'immaginazione, nel solco della tradizione kantiano-garroniana, ha un tratto eminentemente tecnico?

In diverse occasioni (per es. in un saggio pubblicato su Iride, in un recente testo ancora inedito su Schiller e in un contributo in via di uscita su Fata Morgana) ho sviluppato i suggerimenti che in Kant e nell’estetica critica vanno nel senso, indicato da Stiegler, di un’esteriorizzazione tecnica e protetica dell’immaginazione, che in tal modo viene affrancata dalla sua riduzione a ‘facoltà’ del soggetto. Ma si tratta, in realtà, di luoghi liminari dell’estetica critica, che resta ai miei occhi un modo di pensare indissociabile dalla pregiudiziale riflessiva e autoriflessiva di cui ho già parlato. E’ piuttosto in Nietzsche che questa linea ek-statica comincia ad imporsi, come vide con chiarezza Heidegger nella sua magistrale interpretazione dell’ “estetica fisiologica”, gettando un ponte inatteso verso Kant, ‘via’ Schiller.  Per contro, attardarsi ancora sui requisiti riflessivi dell’arte moderna e contemporanea, sulla sua consapevolezza ‘ironica’ (o tragica, dipende dall’umore!) di non-poter-dire-ciò-che-non-si-può-dire-e-che-tuttavia-si-deve-dire ecc., oltre a configurare un’alleanza involontaria con la produzione artistica più corriva, dove Beckett si indistingue da Kim-Ki-Duk, impedisce al pensiero teorico di prendere in carico – o addirittura di incontrare - ciò che di realmente nuovo va accadendo nel mondo delle arti e soprattutto altrove.

 

 


PUBBLICATO IL : 17-02-2007


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