Professor Donà, la prima e più ovvia domanda è: chi è Andrea Emo? Dalle carte che ha pubblicato, in collaborazione con Massimo Cacciari e Romano Gasparotti, emerge un pensiero estremamente maturo, persino innovativo. A suo avviso potrà avere un qualche ruolo nel dialogo filosofico contemporaneo?
Andrea Emo discende da una importante famiglia veneta. Ha studiato con Giovanni Gentile, non si è laureato, ma ha lavorato intellettualmente per una vita intera, annotando su centinaia di quaderni le proprie riflessioni, le proprie note a margine, potremmo anche dire. In realtà io credo che Andrea abbia scritto ben più che delle semplici note a margine; il pensatore solitario di cui stiamo pubblicando un poco alla volta tutta l’opera è stato infatti un grande intellettuale, che nulla ha da invidiare ai “grandi” del Novecento. Un secolo che egli ha attraversato quasi per intero (essendo nato nel 1901 a Battaglia Terme, vicino a Padova, e morto a Roma nel 1983). E che ha saputo attraversare da pensatore lucido e attento, capace di guardare al ‘fondo’ ultimo del Nichilismo. Insomma, non si tratta di uno dei tanti nichilisti del Ventesimo secolo; essendo egli stato l’unico, a me pare, che abbia saputo individuare nella questione del Nulla ‘la questione’ stessa della filosofia. Peraltro assai in anticipo e forse addirittura con maggior radicalità dello stesso Heidegger. Un pensatore “sistematico” che peraltro non si è mai preoccupato di dare forma sistematica alla propria produzione. Perché nulla volle pubblicare in vita. Ma non per questo Emo può essere interpretato come filosofo aforismatico, occasionale o semplicemente evocativo. La sua lotta con ‘la cosa’ del pensare è infatti stata costante, ossessiva e rigorosa. Indifferente alle mode, Andrea ebbe pochissimi rapporti con gli intellettuali del proprio tempo. Pochi ma autentici, comunque; come quelli con Cristina Campo – a questo proposito, merita ricordare che l’epistolario tra i due è stato pubblicato qualche anno fa a cura di G. Fozzer -, con Ugo Spirito e con il grande Alberto Savinio, che ritrasse lui e la moglie, Giuseppina Pignatelli, dei Prìncipi di Monteroduni, in due straordinari dipinti. Ecco perché Andrea Emo è un filosofo che dovrebbe essere studiato insieme a Wittgenstein, Heidegger e Nietzsche; perché è proprio con questi giganti del pensiero che egli ha di fatto sempre dialogato, situandosi quasi a distanza di sicurezza dal clima non sempre europeo caratterizzante la filosofia italiana del proprio tempo. Emo, inoltre, dialoga con Hegel, con Platone, con Bruno. Dialoga, cioè, con la grande avventura disegnata nei secoli dalla cristianità o Europa, e dunque con le sue complesse vicissitudini. E vede nei paradossi del pensare il banco di prova per una “verità” che sempre e solo dalla potenza del nulla avrebbe saputo farsi sostenere. Vede bene, peraltro, e in perfetta sintonia con Leopardi, l’assurdità del tutto; ossia l’insensatezza originaria della verità. Ma non ne trae motivo per abbandonare la lotta o per accontentarsi di un debolismo di maniera. Al contrario, guardare in faccia l’assurdo e trascriverne le trame costituisce per lui motivo sufficiente per affrontare con grande responsabilità un’intera vita dedicata alla fatica del ‘concetto’.
Per questi e molti altri motivi ritengo che Emo dovrebbe avere un ruolo ancor più significativo di quel che già comincia ad avere nel dibattito contemporaneo. Non pochi sono d’altronde gli intellettuali che ne tengono presente il magistero, e soprattutto delle più diverse appartenenze. Non solo ‘metafisici incalliti’ come Vitiello, Cacciari, il sottoscritto o altri, ma – e soprattutto con ancora maggior esplicitezza – un grande intellettuale del nostro tempo quale è Giulio Giorello; che non perde occasione per prenderlo a modello di pensatore libero e autentico e per citarlo durante le conferenze che tiene in giro per l’Italia e all’estero.
Come attesta la pubblicazione dei Quaderni di metafisica, un gran numero di filosofi (Vincenzo Vitiello, Giulio Giorello) e intellettuali (Enrico Ghezzi) ha voluto dire la sua su questo autore. Come spiega tanto interesse?
Certo, molti sono i filosofi che da qualche tempo cominciano a interessarsi al pensiero di Andrea Emo. Già lo dicevo poco sopra. E la cosa che più mi piace, devo dire, è che quelli che più sinceramente fanno i conti con questo grande pensatore sono proprio i filosofi meno legati alla paludosità dell’Accademia italiana. Quelli che più si caratterizzano per rigorosità di pensiero e per acume critico. Penso a Massimo Cacciari e alla sua nota familiarità con il ‘pensiero negativo’; si tratta di una delle voci più alte del pensiero contemporaneo, che per primo ha compreso il valore del nostro filosofo; ma penso anche a Vincenzo Vitiello, uno dei più radicali pensatori del tempo presente, che a lungo ha fatto i conti con Hegel e con Heidegger, e che sempre più intensamente si sta confrontando con la grande tradizione cristiana. Ma penso anche alla libertà di pensiero che caratterizza tutta l’opera di Carlo Sini; uno dei più originali pensatori del panorama attuale. Sì, Carlo Sini ha scritto e detto cose di grande profondità sulla speculazione emana. Ma con Emo si sono confrontati anche intellettuali come Enrico Ghezzi (il più irregolare e ‘creativo’ di tutti, forse!) e Giulio Giorello, che da filosofo della scienza, dà punti a molti dei teoreti italiani, quanto a capacità critica ed elasticità mentale. Ma penso anche a Emanuele Severino, a Pier Aldo Rovatti, penso a Sergio Givone e a Franceso Tomatis, giovane filosofo piemontese e allievo di Pareyson, che su Emo ha anche scritto cose molto belle. Penso a Romano Gasparotti, che con me sta curando da tempo la pubblicazione dell’opera postuma di Andrea. Ma penso anche a letterati come Alberto Folin, o come Arnaldo Colasanti (che ha scritto una delle più belle recensioni ai Quaderni di Metafisica), che si sono anch’essi seriamente cimentati con la potenza della riflessione emana.
Un interesse, insomma, che accomuna alcuni tra i più lucidi intellettuali del nostro tempo e che può essere spiegato proprio riferendosi alla capacità, rinvenibile in ogni pagina del filosofo patavino, di guardare alle questioni di fondo mantenendo intatta la capacità di dire intorno a tutte le questioni, anche le più specifiche, cose di grande spessore con spirito sempre autenticamente ‘libero’. Il pensiero di Emo, direbbe Enrico Grezzi, è un po’ come un grande assolo di Keith Jarrett; si snoda per sentieri spesso anche impervi o imprevedibili, ma sempre con la medesima concentrazione e lucidità. Insomma, un esempio per tutti coloro che hanno già a cuore ‘il vero’ in senso proprio. Un esempio per chiunque sia solito leggere le opere di Cacciari, di Vitiello, di Ghezzi, di Rovatti o di Severino. E che cerchi nuove direzioni; ovvero, che si disponga a farsi sempre anche ‘interrogare’ dalle cose e dal mondo nel suo insieme.
Nei Quaderni di metafisica, la riflessione di Emo raccoglie l’eredità dell’attualismo gentiliano, mediandola con una sorta di ‘pensiero negativo’…
Ecco, quella del rapporto con Giovanni Gentile è una delle questioni più rilevanti per chiunque voglia avvicinarsi al pensiero di Emo. Ovvero, per chiunque intenda approfondire le questioni variamente poste dai quaderni di Andrea. C’è infatti una chiara discendenza; una figliolanza che lo stesso Emo, in tutti i primi quaderni (almeno sino agli anni Trenta), esplicita senza problemi. Ma c’è anche, ed è bene precisarlo con la massima forza possibile, un seguito; ovvero, si dipana assai presto uno sviluppo assolutamente originale di quell’origine. Emo infatti finisce per rovesciare l’attualismo gentiliano e per trasfigurarlo in una filosofia nel cui orizzonte l’atto appare infine come espressione dell’originario autonegarsi di un Nulla che non per ciò, comunque, si limita a ‘essere’; ma dice piuttosto la più radicale ‘impossibilità’ del suo stesso porsi. A porsi, per Andrea, è infatti sempre e solamente l’impossibile. Ovvero, un niente che è salvifico nel suo stesso destinarsi alla perdizione; perché pensato in relazione ai paradossi costituenti una religio – come quella cristiana, per l’appunto – da sempre vivente nella e della morte redentiva (ma non perciò meno radicale) del proprio Dio.
Certo, tutto è “atto”; ma tutto è per lui atto del nulla; di un ‘nulla’ che, peraltro, mai riesce a essere quel che non-è, e che proprio per questo sostanzia di sé ogni determinazione. E rende vano ogni tentativo di comprenderlo, e dunque di concepirlo senza contraddizione, senza paradosso; lo rende vano ma, nello stesso tempo, necessario. Ché il conoscere non può che ad-tendere a quel nulla, ovvero a quell’assurdo che nessun sapere oggettivante potrà mai adeguatamente testimoniare. E che solo la consapevolezza del Sacro che ogni cosa sospende al proprio niente, avrebbe potuto destinare a una divina iniziazione – la stessa che ci rende capaci di vedere l’autentica realtà creata proprio da quel niente. E dunque di comprendere il senso misterioso e inesprimibile del tempo, ovvero del togliersi di tutto in quell’attività assoluta che mai potrà rendere semplicisticamente ragione del fatto che vi sia qualcosa, piuttosto che niente.
Insomma, con Andrea Emo prende corpo, sia pur a partire da Gentile, il perfetto rovesciamento di quell’attualismo idealistico che era ancora e sempre ri-volto al fondamento positivo dell’esistente. Con Emo è insomma un vero e proprio “novissimo pensiero” che comincia a prender forma; un pensiero le cui implicazioni sono ancora tutte da esplorare, soprattutto attraverso un’analisi comparativa che ne mostri sino in fondo l’assoluta unicità.
In questa direzione sono a mio avviso interessanti le pagine in cui si parla della necessità del sistema. All’interno dell’orizzonte idealistico, non Le sembra ci sia un convergenza con le riflessioni dell’ultimo Schelling?
Certo, con lo Schelling che abbandona, e con sempre maggior decisione, l’orizzonte idealistico che ancora lo legava a Fichte e Hegel. D’altro canto, anche per Schelling (come poi sarebbe accaduto a Emo), il preciso disegno di un’autonoma e personale prospettiva filosofica viene a maturazione proprio nell’ambito di un radicale confronto con Hegel (vedi le Lezioni monachesi). Con sempre maggior lucidità, infatti, Schelling prende coscienza dell’impossibilità, per qualsivoglia sistema ‘logico’, di catturare l’esistenza reale. Pur essendo sempre e solamente quest’ultima a essere realmente ‘intenzionata’ dalla ricerca e dall’interrogazione filosofiche.
Allo stesso modo anche Emo avrebbe così preso coscienza della destinale sterilità del “concetto razionale”, inevitabilmente chiuso nella prigione di un ‘sistema’ che, per quanto creato liberamente quale oggettivazione ‘perfetta’ di un soggetto potenzialmente in-finito, finisce per dover essere abbandonato e svelato nella sua radicale contraddittorietà. Insomma, è il suo stesso creatore libero a patirne l’imperium e a viverlo come un ostacolo di cui liberarsi proprio in ragione di quell’esistenza che solo un’autentica filosofia del ‘nulla’ avrebbe potuto guardare in faccia riconoscendone appunto l’inestricabile paradossalità.
Ma proprio a questo proposito si delinea una differenza irriducibile tra il ‘cosiddetto’ nichilismo emiano e la filosofia positiva del pensatore tedesco. L’esito è nei due, infatti, totalmente diverso – per quanto il processo di radicalizzazione dell’originario scetticismo filosofico (ancora operante nella potenza dell’hegelismo) trovi nei due pensatori un analogo e sorprendente ‘potenziamento’.
Mentre, per Schelling, è solo nel messaggio della fede cristiana che la filosofia può rinvenire la reale condizione di possibilità per una vera e propria conversio filosofica, capace di restituire all’esperienza (e in primis all’esperienza della fede cristiana) un ruolo centrale e autonomo rispetto alla potenza deduttiva di qualsivoglia sistematica speculativa, per Andrea Emo, dire fede significa indicare piuttosto la quintessenza di ogni autentica disciplina filosofica. Per Emo, infatti, ogni vera filosofia è ‘fede’; ovvero esperienza ‘immediata’ della realtà dell’impossibile. Del paradosso di una conoscenza che, procedendo, lungi dall’arricchirsi, si svuota progressivamente e porta così alla luce l’essenza originariamente negativa della verità.
Certo, per entrambi, è bene ribadirlo, tutto ciò viene reso possibile in primis dalla lucida messa in luce della natura essenzialmente ‘paradossale’ di ogni, per quanto infinitamente potente, sistema filosofico.
Fermo restando che, nei nostri due pensatori, tutto ciò non comporta alcun indebolimento del sapere filosofico in quanto tale. Insomma, nessuna banale o astratta critica al ‘sistema’ (e dunque alla sua vocazione intrinsecamente ‘identitaria’) li concerne davvero. Perciò diventerebbe per lo meno arduo individuare nelle loro grandiose proposte filosofiche le premesse o in qualche modo il germe del debolismo contemporaneo – appunto perché il loro grandioso discorso filosofico sulla filosofia testimonia pur sempre della potenza di un vero e proprio ‘sistema’ speculativo.
E d’altro canto non poteva che esser così: se è vero, come è vero, che solo nel farsi di un ‘sistema’ filosofico può darsi la fondata coscienza delle aporie inficianti all’origine qualsivoglia disegno ‘sistematico’!
Le riflessioni sul cristianesimo sembrano mutuare alcuni motivi nietzscheani del Frammento di Lenzerheide, e non solo. In che modo Nietzsche può essere una chiave di lettura?
Certo, anche in Nietzsche, anzi già in Nietzsche, v’è già la piena consapevolezza del carattere necessariamente illusorio e ambiguo della morale cristiana. Che peraltro aveva offerto, agli occhi del filosofo dell’eterno ritorno, anche numerosi vantaggi: valori assoluti, perfezione del mondo e conoscenza adeguata. Il filosofo dello Zarathustra, però, vede bene come, tra tali valori, fosse venuta crescendo sempre più la potenza della ‘veridicità’. Il valore dei valori. Una potenza che d’altro canto avrebbe finito per smascherare proprio la vanità della grande costruzione-finzione da cui essa medesima era stata creata.. Senza peraltro far venire meno il bisogno della sua menzognera illusione.
In ogni caso, Nietzsche vedeva bene come, a partire da quella decadenza, ci si fosse ormai acquietati in una piena accettazione del ‘non senso’ dell’esistenza. Da cui il perfetto riconoscimento dell’eterno ritorno del medesimo non-senso; ovvero, la stessa semplice possibilità di una sua qualche accettazione, se non, addirittura, una vera e propria trionfale accettazione della vita; o meglio, di ogni attimo del “libero” dispiegamento del suo streben. Così si esprime Nietzsche nel Frammento di Lenzerheide, nel 1887.
Un Nietzsche che vede dunque l’essenza stessa della vita nella volontà di potenza; una forza che si è sempre manifestata in tutte le forme di ribellione di fatto guidate dalla morale religiosa – l’unica, peraltro, in grado di insegnare a odiare e disprezzare la volontà di potenza dei dominatori. Mascherando, per ciò stesso, la nuda verità di quell’odio profondo. Se riconosciuta, infatti, quest’ultima avrebbe impietosamente svelato l’identità tra volontà dell’oppressore e volontà dell’oppresso.
Tutto questo, per quanto riguarda Nietzsche.
Anche Andrea Emo, comunque, è perfettamente consapevole del “nulla” da ultimo esprimentesi nei valori più alti, e dunque nello stesso concetto di Dio. Per Emo, infatti “credere in Dio è credere nel nulla”.
Ma è proprio tale ‘negativo originario’ che per lui si manifesta nelle diverse polarità ontologiche (da cui tutte le sistematizzazioni assiologiche caratterizzanti il nostro Occidente) e si realizza, dunque, proprio ‘negandosi’. Negando cioè il suo stesso valore fondativo. Ossia, la paradossale fondatività di una negazione che è tale innanzitutto nei confronti di se medesima.
Per Emo insomma, a differenza di Nietzsche – in ciò l’originalità del ‘suo’ nichilismo (che non prevede appunto vie d’uscita come quelle che Nietzsche forse continuava ancora a intravedere) – non si tratta di redimersi! Emo non è vittima, come sembra invece essere ancora Nietzsche, di un residuo ‘moralistico’; quello che muove appunto il filosofo dell’eterno ritorno a cercare comunque una forma di salvezza, ad esempio, nell’accettazione piena e convinta della potenza cosmica dischiudentesi di fatto in ogni evento del ciclo temporale, anche il più insignificante.
Nessun ‘oltre’ da raggiungere, invece, per Emo. Nessun oltre-uomo da realizzare; ma lucida comprensione del fatto che “tutte le forme superiori dello spirito intristiscono e cercano invano di uscire da sé per trovare qualcosa che le salvi”. Perciò, a differenza di Nietzsche, Emo riesce a cogliere, sino in fondo, l’eterna verità del Cristianesimo; nel cui orizzonte, solamente, poteva essere compreso che “Dio deve espiare la sua universalità, deve distruggere ogni valore e il proprio – sì che lo sparire, il nascondersi di Dio nella sua espiazione non è altro che la nuova creazione, la nuova creazione dei valori; e così il ciclo ricomincia”. Insomma, che Dio “si abolisce col suo stesso realizzarsi”.
Sono in preparazione nuovi volumi su Emo?
Il lavoro su questo pensatore novecentesco – che non esiterei ad annoverare tra i “grandi” della filosofia contemporanea – è solo all’inizio. Certo, non poco è stato pubblicato (prima due volumi presso Marsilio, poi uno edito da Raffaello Cortina e un altro uscito poco dopo per i tipi di Bruno Mondadori, e da ultimo un volume presso Bompiani); ma ancora molto, moltissimo può essere ancora pubblicato. Centinaia sono infatti i quaderni redatti dal filosofo patavino.
In ogni caso, per darvi un’anticipazione, posso annunciare che è in uscita (dovrebbe essere reperibile nelle librerie italiane verso il mese di aprile) un nuovo volumetto emiano curato questa volta da Raffaella Toffolo, che già ha collaborato attivamente con il sottoscritto e Romano Gasparotti per la stesura del volume Bompiani (Quaderni di metafisica, 2006). Si tratta di una vera novità, e in molti sensi…
Innanzitutto per il fatto che verrà presentato al lettore un volto in qualche misura inedito di Andrea. La curatrice, infatti, ha selezionato dei passi che restituiscono un’immagine più intima del vissuto emiano. Dove il filosofo usa un linguaggio letterariamente raffinatissimo, anche se mai banalmente estetizzante. E dove la riflessione è concentrata su pieghe e aspetti di grande intensità esperienziale; una sorta di vera e propria guida alla “vita”. Si intitolerà infatti: Aforismi per vivere e verrà pubblicato da Mimesis – editore milanese che sta diventando un autentico protagonista della pubblicistica filosofica contemporanea.
Raffaella Toffolo ha poi operato una scelta nel vasto repertorio fotografico gentilmente offertoci dalla vedova del filosofo: la principessa Giuseppina Pignatelli, dei Prìncipi di Monteroduni. Il volume sarà quindi arricchito (e anche questa è una vera e propria novità per quanto riguarda le pubblicazioni di Andrea Emo!) da un suggestivo percorso per immagini in cui Andrea è colto dall’obiettivo fotografico nelle varie fasi delle sua non breve esistenza (1901 - 1983).
Nota bio-bibliografica su Andrea Emo
Andrea Emo nasce a Battaglia Terme nel 1901 e muore a Roma nel 1983. Di nobili origini, fu allievo di Giovanni Gentile nel periodo in cui il filosofo aveva una cattedra all’università La Sapienza di Roma. Nonostante la decisiva influenza del maestro, Emo si impegnò abbastanza precocemente nella realizzazione di un pensiero autonomo. Personalità fortemente schiva, solitaria, non priva di qualche tratto eccentrico, Emo si inserì anche nel milieu letterario del primo e del secondo dopoguerra italiano – basti pensare alle sue amicizie con Cristina Campo (di cui è noto il carteggio) e con Alberto Savinio. Tuttavia, solo dopo la morte la sua fama varcherà i confini della cerchia ristretta di amicizie, attirando – nel 1986 – l’attenzione di Massimo Cacciari che, appena in possesso dei suoi scritti, rimarrà stupito dalla straordinaria sistematicità e dal forte ”amore per lo stesso”. Dall’opus postumum di Emo vediamo emergere una mole monumentale di fogli dattiloscritti, che testimoniano il suo costante e denso impegno filosofico. Il Diario filosofico, redatto ininterrottamente con estrema cura dal 1918 al 1981, rappresenta un indefesso confronto con i grandi del passato (Kant, Anselmo d’Aosta, Agostino) e con le maggiori figure idealistiche e post-idealistiche (Hegel, Schelling, Nietzsche, Gentile). Oltre alla perizia del già menzionato Cacciari, ciò che sappiamo di Andrea Emo lo dobbiamo a Massimo Donà e Romano Gasparotti che in questi anni, grazie ai loro studi, hanno suscitato un interesse crescente in importanti filosofi italiani come Vincenzo Vitiello, Carlo Sini e Francesco Tomatis.
Bibliografia
Il dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, a cura di M. Donà e R. Gasparotti, Marsilio, Venezia, 1989
Le voci delle Muse. Scritti sulla religione e sull’arte. 1918-1981, a cura di M. Donà e R. Gasparotti, Marsilio, Venezia, 1992
Supremazia e maledizione. Diario filosofico 1973, Cortina, Milano, 1998
Lettere a Cristina Campo. 1972-1976, a cura di G. Fozzer, In forma di parole, Bologna, 2001
Il monoteismo democratico. Religione, politica e filosofia nei Quaderni del 1953, a cura di L. Sanò, B. Mondadori, Milano, 2003
Quaderni di metafisica. 1927-1981, a cura di M.Donà e R. Gasparotti, pref. di Massimo Cacciari, contributi di enrico ghezzi, Giulio Giorello, Laura Sanò, Carlo Sini, Vincenzo Vitiello, Francesco Tomatis e Andrea Tagliapietra. |