Lo sforzo di pensare una continuità nel pensiero di Benjamin, che leghi tra loro, nel corso della sua opera, i concetti di nome, immagine, immagine dialettica ed opera d’arte non è solo un esercizio filologico, ma anche e soprattutto un tentativo per ripensare in chiave politica il rapporto tra le tradizionali categorie estetiche e l’impatto esercitato su di esse dallo sviluppo tecnico moderno.
Si tratta di ricomprendere il ruolo dell’enigmatica categoria benjaminiana di «immagine dialettica» alla luce della più ampia concezione del pensiero, della sensibilità e della storia. Ciò permetterà di mostrare in che modo una nozione attuale come quella di immagine, appunto, possa torcersi da espressione emblematica dello scadere in una medialità estetizzata a fini pubblicitari e di show business, a luogo di una possibile riapertura dello spazio politico. Tale spazio, infatti, appare oggi pericolosamente in bilico tra il rischio di omologazione mediatica ad opera dei sistemi di comunicazione di massa e l’ancor più minacciosa prospettiva – forse già realizzatasi – dell’instaurazione di un uso politico, demagogico e subdolamente coercitivo del dispositivo mediatico stesso.
L’immagine, allora, verrà ricompresa, attraverso gli spunti benjaminiani, come alterità originaria in seno ad un pensiero (logos) che si vuole totalizzante e onnicomprensivo, per mostrare come solo nella distanza immaginale, che è al contempo interruzione della razionale linearità pacificante e es-posizione radicale all’estraneo e al diverso, solo in tale dimensione, dunque, possa aprirsi la possibilità comunicativa essenziale che la moderna caduta dell’aura ha messo in crisi.
In questo senso è importante ricomprendere il fondamentale significato etico e politico di una questione che esula dal mero contesto estetico – se con il termine “estetica” si allude ad una riflessione esclusivamente incentrata sull’arte e sulle categorie ad essa connesse.
Anche qui, a tali esigenze speculative verrà incontro la dicotomia proposta da Benjamin nel saggio sull’opera d’arte del 1936 tra «estetizzazione della politica» e «politicizzazione dell’arte». Al suo interno sarà proprio la nozione di «immagine dialettica», debitamente ripensata e compresa, a fornire a noi, immersi in quella che Heidegger chiamava «l’epoca dell’immagine del mondo», la possibilità di aprire (paradossalmente) in seno all’attuale omologazione sociale del tutti, lo spazio politico e plurimo di ciascuno.
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