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La nuova traduzione italiana di Essere e tempo di Alfredo Marini
di Stefano Lombardi

Sommario: Sommario: Il testo discute la nuova traduzione di Essere e Tempo di Martin Heidegger, ad opera di Alfredo Marini. Non si tratta di una mera querelle fra traduttori, ma della questione che sottende il problema del tradurre in generale e che, nel caso di Heidegger, si fa ancora più dirimente e ci coinvolge più da vicino. Questo non solo perché, concernendo l’opera del filosofo che ha posto come nessun altro tradizione e traduzione al centro del suo pensiero, porta a dover riflettere sulla reciproca implicazione ermeneutica di traduzione e interpretazione da lui teorizzata, ma anche perché il problema del «trapasso dallo spirito di una lingua (Sprachgeist) in quello di un altra» riguarda, più semplicemente, il problema pratico della traduzione e ri-traduzione di un testo, come Sein und Zeit, la cui prima e unica traduzione italiana, quella di Pietro Chiodi, da decenni domina la prassi linguistica della cultura filosofica italiana.
Prima pagina: «Lei dovrebbe prendere anche il testo originale, […] che non potrà mai essere tradotto» , così Martin Heidegger si rivolgeva in una lettera del 12 Aprile 1933 a Elisabeth Blochmann, nell’invitarla a rileggere le Confessioni di S. Agostino, il cui «meraviglioso latino» sarebbe stato per Heidegger, una volta tanto, intraducibile. È questo veramente un «hapax nella produzione heideggeriana», come rileva Costantino Esposito, «in cui non solo il latino non viene tradotto, ma si teorizza esplicitamente che non debba essere tradotto» . Sembrerebbe dunque esistere, in questo caso, un «significato agostiniano» delle parole latine, che secondo Heidegger non sarebbe possibile rendere in tedesco. Saremmo di conseguenza autorizzati dallo stesso Heidegger, laddove ne rilevassimo l’opportunità, a poter parlare di un “significato heideggeriano” delle parole tedesche, che sarebbe intraducibile nella nostra lingua? Se così fosse, con una tale singularis confessione privata, non solo avrebbe egli contraddetto l’assunto di fondo del suo impegno filosofico – il rifiuto, voglio dire, di rassegnarsi all’«individuum est ineffabile» – ma avrebbe anche (si parva licet) dato credito a quanti, come François Vezin, il traduttore francese di Être et temps, hanno teorizzato l’impossibilità di tradurre espressioni filosofiche come Dasein. Questa posizione è l’oggetto principale delle critiche che Alfredo Marini muove nella lunga Postfazione alla sua nuova traduzione di Essere e tempo . Non si tratta di una mera querelle fra traduttori, ma della questione che sottende il problema del tradurre in generale e che, nel caso di Heidegger, si fa ancora più dirimente e ci coinvolge più da vicino. Questo non solo perché, concernendo l’opera del filosofo che ha posto come nessun altro tradizione e traduzione al centro del suo pensiero, porta a dover riflettere sulla reciproca implicazione ermeneutica di traduzione e interpretazione da lui teorizzata, ma anche perché il problema del «trapasso dallo spirito di una lingua (Sprachgeist) in quello di un altra» riguarda, più semplicemente, il problema pratico della traduzione e ri-traduzione di un testo, come Sein und Zeit, la cui prima e unica traduzione italiana, quella di Pietro Chiodi, da decenni domina la prassi linguistica della cultura filosofica italiana.
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PUBBLICATO IL : 05-09-2006
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