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L'angolo oscuro della soggettività
di Francesco Saverio Trincia

Sommario:

Chi pone la domanda sul soggetto? Se si parte da questa domanda per elaborare una teoria della soggettività, se cioè ci si pone in una prospettiva trascendentale che sottoponga il soggetto in quanto tema ad una radicale quaestio juris, si osserva che la risposta alla domanda iniziale non elimina lo scarto sussistente tra il soggetto che chiede e il soggetto su cui si chiede, ma conferma il carattere di oscurità, di lacerazione costitutiva di una soggettività ormai perduta nel suo carattere non questionato e non questionabile. Si ripropone qui il problema dell’autoafferramento riflessivo della coscienza, ovvero dell’autocoscienza quale categoria che con Cartesio dapprima, e successivamente con Hegel e Heidegger ha ricevuto la sua elaborazione più profonda: proprio Heidegger, con la sua interpretazione del passo hegeliano in cui si propone la nota immagine della calza lacerata, sembra riconoscere – purché si accentui il carattere fenomenologico del suo approccio, ovvero il riferimento alla categoria di evidenza originaria dello statuto intimo della soggettività – la lacerazione del soggetto come un carattere costitutivo di questo e rivelante la sua originaria unità non lacerata, illuminando (senza eliminarlo) l’angolo oscuro della soggettività.

Prima pagina:

1. Chi pone la domanda sul soggetto? Se si prendono le mosse da questa domanda per indagare lo spazio teorico che si distende tra il soggetto che pone la domanda ed il soggetto che funge da oggetto della domanda stessa, si dovrà riconoscere che il percorso stesso dell’indagine riconduce, pur arricchito del riempimento che la domanda stessa esige, esattamente al punto d’inizio. Qualora si supponga, infatti, che la domanda che chiede del soggetto e che tenta di strappare alla qualsiasi risposta una qualche legittimazione filosofica del soggetto stesso sia la domanda personale di un qualsiasi chi e non sia riducibile ad un domandare impersonale e desoggettivato; e quando, inoltre, si ponga circa il soggetto una quaestio juris e il soggetto in quanto tema venga indagato in una prospettiva trascendentale, si dovrà riconoscere che nella risposta si ripropone la problematica differenza che ne contrassegna la forma sintattica. La risposta alla domanda iniziale non dissolve il problema della distinzione non giustificata tra il soggetto che chiede ed il soggetto su cui si chiede. La risposta alla domanda non risolve il problema, ma ripropone la struttura della domanda stessa.

   Se la domanda ospita in sé una lacerazione, un’opacità non composta e non componibile (non componibile, si intende, se la domanda stessa deve mantenere il suo senso), e se «l’angolo oscuro» (der dunkle Winkel) con cui lo Husserl di Logica formale e trascendentale definisce la soggettività attende certamente di essere illuminato, ma senza che divenga legittimo sperare che possa essere dissolto, l’operazione trascendentale che compiamo nei confronti della soggettività per afferrarla concettualmente, presenta la caratteristica paradossale di confermare e anzi di enfatizzare l’incomponibilità della lacerazione tra il chi che chiede il chi che è chiesto, se così si può dire. Accade cioè che la decisione strategica di non pretendere di rispondere alla domanda, ma di elaborare la domanda come tale per tentar di ricavare il senso possibile di una distinzione tra due chi, la quale appare al tempo stesso inevitabile e problematica, finisca per consegnarci una singolare fisionomia del procedimento trascendentale, che in questo caso si presenta come opposto al fine per cui viene chiamato in gioco. Esso, infatti, non realizza una sintesi, ma ripropone la scissione analitica dei poli della domanda e legittima questa scissione come insuperabile, come non sintetizzabile. L’ombra positiva, l’oscurità produttiva di quel che nella tradizione della filosofia viene chiamato il mistico appaiono destinate a distendersi sulla domanda sul soggetto.

 

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PUBBLICATO IL : 09-11-2006
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