Sommario: Le questioni dell’essere e della negatività, al centro del presente contributo, costituiscono il crocevia speculativo dell’itinerario di ricerca di Gennaro Sasso, avviato da studi sul realismo politico di Machiavelli e non a caso culminato in un’aspra e disincantata riflessione sulla giustizia, sulla possibile articolazione del suo imperio e sui limiti della legittimazione dello stesso potere democratico.
Dopo aver individuato all’interno dei testi di Sasso un criterio di analisi della positività dell’essere e della singolare sequenza logico-ontologica che ne esprime il senso, l’autore avanza la tesi dell’equivalenza logico-semantica della negatività e della positività, scorte come i due momenti di una medesima dinamica, quella del linguaggio naturale teso ad esprimere il senso ed il valore epistemico della propria esperibilità filosofica.
Su questa base è proposta una paradossale tesi circa il rapporto di linguaggio e doxa, premessa indispensabile per comprendere come la costruzione di un linguaggio idoneo a descrivere il senso ed il rischio intrinseci ad una prospettiva di naturalismo politico non possa prescindere da un’inevitabile assunzione di carattere metafisico.
Ogni tentativo di radicalizzare ed essenzializzare l’attitudine antimetafisica della pura analisi filosofica è infatti destinato a dichiarare l’impossibilità, per la coscienza filosofica, di determinare e articolare la realtà stessa del mondo doxastico come tema di possibile discorso. |
Prima pagina: 0. Introduzione. Sull’individuo
0.1. Subito dopo la pubblicazione di Essere e negazione (1987), il libro nel quale Gennaro Sasso aveva dato forma compiuta al quadro dei problemi che da anni inquietavano le proprie analisi storico-filosofiche, la cerchia dei lettori, e principalmente gli studiosi che avevano discusso con l’autore stesso, nel corso di un pluriennale e appassionato seminario, le questioni di quella complessa e inattuale ricerca, avvertirono il bisogno di indagare le ragioni delle asperità presentate dal nuovo testo. Non si tratta di ragioni legate allo stile della sua scrittura, improntata ad una raffinata arte del contrappunto tematico. Per la prima volta Sasso aveva rinunciato allo «schermo» fornito al filosofo dalla possibilità del confronto con le tesi di un classico del pensiero, e aveva scelto di affrontare direttamente le questioni concernenti i principi primi, spinto in ciò dall’insoddisfazione maturata dopo anni di intenso studio delle risposte offerte, su questi temi, dai principali autori della lunga tradizione occidentale.
È probabile che tale scelta sorprendesse anche alcuni di coloro che avevano seguito il suo precedente lavoro di interprete dei testi filosofici e politici, ma a ben vedere essa rappresentava uno dei possibili sviluppi, e certo il più radicale, del principio che aveva ispirato l’approccio di Sasso alle questioni di altri filosofi, in primo luogo Croce e la serie dei pensatori di quella linea critico-idealistica, che in Croce e Gentile conta due tra i suoi più notevoli vertici. Il «grande» libro sulla dialettica non riguarda lo sviluppo storico del pensiero crociano più di quanto sia concentrato su questioni concerenti la struttura della storicismo, inteso come principio di definizione sistematica della realtà tutta e del circolo delle sue coimplicantesi forme. Sebbene sostenuto da un’impareggiabile conoscenza dei testi e delle loro fonti, questo non è un lavoro al cui centro stia il profilo dell’indagato, bensì un testo concernente le questioni essenziali di un pensiero e la loro genesi concettuale.
Quello della secondarietà dell’autore rispetto alle questioni offerte dal suo pensiero all’analisi filosofica è il motivo che avrebbe fatto, anche di Essere e negazione, per un verso un libro di infrazione di precedenti inibizioni e ritrosie, mentre per un altro e complementare verso la conseguenza diretta e radicale di una precisa scelta teorica, corroborata da un profondo e tenace percorso analitico. |