Prima pagina: Premessa.
Non vorrei peccare di ambizione ma nemmeno di eccessiva modestia, che talora può portare alla pochezza concettuale, nel costruire un’intervista parallela che si propone di cogliere i principali nodi teoretici che attanagliano il discorso psicoanalitico, con l’obiettivo di illuminarne l’intera problematica epistemologica. A questo proposito ho chiesto la disponibilità a discutere dell’argomento a due tra i più autorevoli studiosi italiani dell’argomento, e che ringrazio dell’attenzione rivoltami.
Il primo interlocutore di questa conversazione è il filosofo Francesco Saverio Trincia, ordinario di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma, tra i maggiori conoscitori in Italia dell’opera di Freud, da lui indagato da una prospettiva peculiarmente filosofica, come testimonia il titolo di un suo volume in corso di pubblicazione: Husserl, Freud e il problema dell’ inconscio (Morcelliana, 2007).
L’altro capo della conversazione sarà tenuto invece da Luciano Mecacci, ordinario di Psicologia Generale presso l’ Università degli Studi di Firenze, noto studioso della storia della psicologia e profondo conoscitore della psicologia sovietica, nonché autore del recente volume intitolato Il caso Marilyn M. e altri disastri della psicoanalisi (Laterza, 2000), in cui si manifesta una significativa critica nei confronti del lavoro psicoanalitico e della sua storia.
La prima questione che vorrei sollevare concerne la duplice “natura” della psicoanalisi. Questa disciplina si presenta, a partire da Freud, dotata di un volto alcinesco: da un lato essa appare come una forma di conoscenza, cioè una teoria della psiche, e per altro verso come una tecnica terapeutica. Sebbene sia possibile ribadire l’indissolubilità dell’intreccio di queste due varianti, è altresì vero che uno sguardo filosoficamente accorto non può ignorare la sostanziale differenza tra “teoria” e “tecnica”. Qual è dunque la natura “prevalente” della psicoanalisi? Sussiste tra le due “nature” una relazione fondativa? |