Sommario: Intendo e pratico la filosofia essenzialmente come filosofia trascendentale. Kant e Fichte sono, in particolare, i due “classici” che presiedono a questo cammino di pensiero in quanto, ciascuno a suo modo, hanno scoperto e messo a tema il “campo trascendentale”, ovvero posto le basi di una nuova ontologia del sapere, costituito da una concezione pratico-teoretica della ragione. Mi sono progressivamente riconosciuto nella prospettiva e nel campo di ricerche della cosiddetta “Scuola di Monaco”, animata da Reinhard Lauth con la convinzione di fondo che Fichte, sulla scia di Kant e di Descartes, aveva messo a fuoco una idea di filosofia non ancora adeguatamente colta nella sua virtualità innovante e che - liberamente ripresa e creativamente svolta - avrebbe potuto condurre il pensiero a liberarsi dalle strettoie e dalle unilateralità delle nuove e risorgenti versioni del “dogmatismo”. Resta per me decisiva la lezione del mio maestro genovese Alberto Caracciolo, che ha enucleato una concezione dinamica e concreta dell’apriori di Kant, in particolare con la sua teoria delle “strutture” e dei “modi” della coscienza. Devo però anche riconoscere un debito nei confronti di Luigi Pareyson, alla sua idea della filosofia come “riflessione alla seconda potenza”, per la quale la filosofia non allarga l’ambito del nostro sapere di esperienza, ma lo fonda e lo spiega. La filosofia non può perciò direttamente vertere sull’assoluto o sull’essere, ma sempre soltanto sulla esperienza e auto-esperienza che l’uomo è e ha. Ma è soltanto in questa esperienza che possono darsi un reale rapporto e coscienza almeno implicita dell’assoluto o dell’essere, un reale trascendimento di sé o un esistenziale rapporto con la trascendenza, una reale apertura ontologica. |
Prima pagina: 1. Intraprendere una presentazione del proprio cammino filosofico è un lavoro esposto a vari rischi. Il primo è il narcisismo, cioè il piacere di autocontemplarsi e di presumere di se stessi pensando d’aver cose interessanti e decisive da comunicare. Il secondo è il giustificazionismo, la tendenza a enfatizzare le coerenze, se ci sono, e ad attenuare gli erramenti e gli errori, che probabilmente ci sono davvero, a legittimare con posizioni elaborate successivamente scelte avvenute in un altro contesto e con altre motivazioni. Il terzo rischio è l’incompletezza, sia per difetto di capacità ricostruttiva sia per la natura costitutivamente selettiva della nostra memoria, che procede tracciando precarie linee in quel territorio sfuggente che è l’esperienza di ciò che siamo. Accettando di intraprendere questa autopresentazione scelgo perciò di correre questi rischi, con la consapevolezza che molto probabilmente non riuscirò affatto a evitarli. Proverò allora a mantenerli come segnali di ammonimento per cercare di non mancare lo scopo sostanziale che mi propongo: non tanto autopresentarmi, quanto presentare - attraverso una ricostruzione abbastanza selettiva del cammino dei miei studi e riflessioni in campo filosofico - quale sia il senso della filosofia che condivido, insomma l’idea di filosofia che mi sforzo di praticare. E dato che - in accordo con la visione della filosofia che cerco di svolgere - intendo l’idea come la posizione di un compito della riflessione, che è atto pratico-teorico, l’idea di filosofia che vorrei illustrare avrà un carattere allo stesso tempo determinato e indeterminato, non sarà un sistema (anche se non condivido affatto l’affetto antisistematico, considerato come una ovvietà sulla quale nemmeno merita soffermarsi, che segna molta mentalità filosofica contemporanea), ma sarà un profilo, un abbozzo, un tentativo, un esperimento, che non può nascondere le molte domande aperte, le numerose lacune, anche i perduranti dubbi.
2. Per iniziare a descrivere il mio accesso alla filosofia muovo da una espressione del figlio di Fichte, il filosofo e anche l’editore e biografo del padre Immanuel Hermann, che ho letto diversi anni dopo i miei inizi filosofici, ma che mi ha subito colpito, perché vi ritrovavo bene espresso l’impulso che aveva portato anche me a intraprendere gli studi filosofici e a seguire in essi un determinato percorso di ricerca. Immanuel Hermann Fichte ricorda che il padre, considerando una volta in maniera retrospettiva il proprio cammino, gli aveva confessato che “tutte le sue indagini filosofiche avevano preso originariamente le mosse dall’esigenza di costituirsi una dogmatica sostenibile”. Orbene, anche nel mio caso la scelta di iscrivermi alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Genova e di orientarmi verso le indagini di filosofia della religione nasceva dal bisogno di affrontare sul terreno della filosofia e con le mediazioni messe a disposizione da questa forma del sapere la questione della religione, in particolare la domanda sulla sostenibilità della fede cristiana di fronte alla ragione, avendomi gli studi liceali trasmesso una percezione (per me inquietante) che fra il cristianesimo e la filosofia esistesse, da molti secoli oramai, una incompatibilità sostanziale. Era la fine degli anni Sessanta, segnati da un profondo rivolgimento sociale e culturale, rivolgimento che nei giovani di fede cristiana interagiva con l’impatto del Concilio Vaticano II: avvertivamo che, non il nucleo vivo della fede, ma la coscienza in cui esso trovava posto, era qualcosa di antiquato, che doveva essere cambiato e doveva far posto a una nuova coscienza. Su come potesse configurarsi questa nuova coscienza le posizioni – come per altro anche in molte altre epoche della storia cristiana – si diversificavano e si opponevano, e certamente impulsi vitali e sostanziali si mescolavano con posizioni superficiali, scarsamente meditate e frettolosamente elaborate. La scelta della filosofia andava perciò per me nella direzione di portare un contributo di chiarificazione critica e autonoma nella ricerca di questa nuova coscienza e insieme aveva il senso di accertare se l’’incompatibilità sostanziale’ che avevo percepito al liceo fosse davvero insuperabile, oppure se la storia del pensiero e la libera riflessione insegnassero e consentissero anche altri modelli di relazione. Anche se nel corso dei miei studi e delle mie ricerche filosofiche il mio interesse si sarebbe via via rivolto alla questione (e alle questioni) della filosofia come tale - ciò anche in nome della autonomia della ricerca filosofica, che giudico premessa (certo solo premessa, ma intralasciabile) per una filosofia che tragga dalla verità la sua forza, sia in grado di misurarsi con la vita e perciò produca qualcosa di operante e di consistente -, tuttavia la ricerca sul religioso e la comprensione del cristianesimo restano non solo impulsi ispiratori ma anche temi essenziali del mio lavoro, che ripenso e approfondisco con approcci per vari aspetti diversi da quelli iniziali. |