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Perché ancora la filosofia? Intervista a Carlo Cellucci
di Federica Buongiorno

Sommario: L’intervista ripercorre l’itinerario di pensiero che Carlo Cellucci svolge nel suo ultimo libro, "Perché ancora la filosofia", Laterza, 2008, proponendo una sintesi della visione filosofica qui avanzata a partire dalla discussione del paradigma fondazionalista e della necessità della sua sostituzione con una concezione euristica della conoscenza che, abbandonando definitivamente le chimeriche nozioni su cui una certa tradizione filosofica si è storicamente fondata, permetta di superare gli ultimi residui di dualismo sostanzialistico e di pervenire ad una nuova comprensione dell’uomo e del rapporto tra filosofia e scienza, e tra queste e l’ambito della fede.
Prima pagina:

D.Un punto di partenza importante per la riflessione da Lei svolta in “Perché ancora la filosofia” (Laterza, Bari, 2008) è costituito dal “trauma” che la nascita della scienza moderna ha rappresentato per la filosofia. Sembra che determinante per la fisionomia successivamente assunta dal pensiero filosofico sia proprio la risposta data a questo trauma: una delle risposte è stata quella ancor oggi sostenuta dalla concezione fondazionalista della conoscenza e dalla filosofia analitica, secondo cui i metodi, gli obiettivi e i risultati della filosofia sono completamente diversi da quelli della scienza, per cui la filosofia non avrebbe bisogno degli input provenienti dall’esperienza ma si baserebbe puramente sul pensiero. In opposizione a questa concezione, Lei afferma che la filosofia è da porsi in continuità con le scienze, nel senso che essa condivide il metodo e gli obiettivi delle scienze e ne utilizza gli input. In che modo questa seconda risposta al “trauma della nascita della scienza moderna” permette alla filosofia di rendersi oggi ancora proficua a fronte della conoscenza scientifica?

R.Quando la filosofia analitica parla di una filosofia basata puramente sul pensiero, essa assume una concezione molto restrittiva del pensiero, che presuppone che gli esseri umani constino di due entità separate: la ragione, da un lato, e la corporeità, dall’altro. Perciò la filosofia analitica adotta una concezione del pensiero che esclude da esso, ad esempio, il pensiero visivo, essendo questo legato in modo essenziale alla corporeità. Eppure già Aristotele aveva basato la sua affermazione che “tutti gli uomini per natura tendono al sapere” – la manifestazione più alta della ragione – sul fatto che “essi amano le sensazioni”, e “più di tutte amano la sensazione della vista”, perché “la vista è quella che ci fa conoscere di più”. Nel libro io sostengo, invece, che ragione e corporeità sono inseparabili: la corporeità è una componente essenziale della razionalità, e il pensiero visivo è pensiero a tutti gli effetti. Questo dipende dal fatto che la ragione è la capacità di scegliere i mezzi adatti per raggiungere uno scopo, tra i mezzi sono compresi in primo luogo quelli forniti dalla corporeità, il che esclude qualsiasi separazione tra ragione e corporeità. Dietro tale separazione vi è una concezione residuale della filosofia. Questo si può vedere, ad esempio, da Dummett, il quale afferma che la filosofia è ciò che rimane quando le discipline che essa ha partorito, cioè le scienze – dalla fisica alla psicologia – “lasciano la casa materna”. Questo lo porta a dichiarare che “bisogna attendere fino al XIX secolo perché abbia senso andare alla ricerca di un problema genuinamente filosofico, in quanto distinto da problemi d’altro genere”. Dunque per Dummett gran parte dei problemi di cui si è occupata la filosofia dall’antichità al XIX secolo non sarebbero genuinamente filosofici. La filosofia, essendo una disciplina a carattere residuale, sopravvivrebbe nelle università solo perché vi è stata introdotta alcuni secoli fa, per cui, se le università fossero un’invenzione del ventesimo secolo, è assai dubbio che “sarebbe venuto in mente a qualcuno di includere la filosofia fra le materie da insegnare e da studiare”. In effetti una filosofia concepita come la concepiscono Dummett e la filosofia analitica non contribuisce in nulla alla conoscenza e perciò è una disciplina sostanzialmente inutile. In opposizione alla filosofia analitica io sostengo, con Cartesio, che la filosofia mira alla conoscenza di tutte le cose che l’uomo può sapere. Questo la accomuna alle scienze. Tra la filosofia e le scienze vi è solo una divisione del lavoro. Le scienze si occupano delle aree della conoscenza che sono ormai ben stabilite, la filosofia si occupa invece di quelle aree della conoscenza che sono ancora oscure, rispetto a cui le scienze esistenti non sanno dare una risposta. Quando, muovendosi in tali aree, la filosofia ha successo, da essa possono anche nascere nuove scienze, come è accaduto anche recentemente, ad esempio, con la scienza cognitiva, che è nata dall’incontro tra la speculazione filosofica tradizionale sulla mente e l’analisi di Turing del comportamento computistico dell’uomo. È questo che permette alla filosofia di rendersi ancor oggi proficua a fronte della conoscenza scientifica.

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PUBBLICATO IL : 12-02-2009
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