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Luigi Pareyson interprete di Karl Barth: l’implicanza degli opposti e la genesi del “discorso temerario" sul male in Dio
di Andrea Bellocci

Sommario:

Scopo del presente contributo – in parte anticipato dalla relazione tenuta al Convegno Nazionale dei Dottorati di Ricerca in Filosofia (Istituto Banfi, Reggio Emilia 21-24 gennaio 2008) - è di mettere in discussione, o meglio, di integrare, ciò che in sede ermeneutica viene per lo più dato per scontato: ovvero, che a monte del noto “discorso temerario” svolto da Pareyson sul “male in Dio” ci siano, occupando un ruolo pressoché esclusivo - e, va da sé, escludente -, le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana di Schelling; che esse, dunque, siano il reale punto di partenza e fonte unica d’ispirazione del discorso pareysoniano. Schelling è divenuto così l’indiscusso “nume tutelare” di un pensiero che, in tal modo, non solo viene inevitabilmente a perdere il suo vero tratto di originalità e novità, ma di cui, non secondariamente, viene sottaciuto un altro potentissimo - se pur certamente meno manifesto - influsso, quello di Karl Barth, in particolare le ricerche condotte da questi nel Römerbrief e nella sezione della Dogmatica dal titolo Dio e il Niente.
Questo stato di cose è in parte addebitabile allo stesso Pareyson, il quale ha più volte additato proprio Schelling come fonte costante d’ispirazione del proprio pensiero, riservando a Barth certamente ben poche parole. Eppure, se, per quanto riguarda Barth, le parole sono per l'appunto poche, esse sono non solo preziose, ma decisive; né, riguardo Schelling, Pareyson ha omesso in alcun modo di rilevare i punti in cui il suo discorso si faceva, verso di questi, sempre più critico e lontano. Non s’intende qui, dunque, in alcun modo minimizzare l’influsso, del resto palese, esercitato da Schelling, bensì ridimensionarne l’ “unicità”: ebbene, è possibile far ciò proprio approfondendo quei luoghi della ricerca pareysoniana in cui il dialogo di questi con Barth, nella sua forma più esplicita come in quella più implicita - a volte, spesso in verità, addirittura sottaciuta -, si rivela determinante. L’approfondimento di questi luoghi sarà accampagnato naturalmente da un tentativo di approfondimento, e di critica, delle aporie nelle quali, a parer nostro, sia Pareyson che Barth si imbattono proprio là dove il loro discorso si scontra con quello che è il principio fondamentale, ed al tempo stesso lo scoglio, fatale e inevitabile, su cui naufraga l’impresa di poter istituire una “connessione ontologica” tra male e Dio volendo, simultaneamente, salvaguardare l’identità e incommensurabilità divina. La discussione verterà sull’intima contraddittorietà della dialettica dell’incommensurabilità, a lungo tempo “cavallo di battaglia” del personalismo pareysoniano con e oltre Barth, mettendo in luce come questa conduca puntualmente ai medesimi esiti oppositivi e annichilenti della dialettica dell’implicanza barthiana: proprio questa, l“implicanza tra positivo e negativo” struttura di fatto il concetto di Dio in entrambi, con le logiche e inesorabili conseguenze che dovremo trarne.

Indice:

1. Karl Barth e il concetto di implicanza, p. 3.  2. Karl Barth: Dio e l’origine del negativo, p. 10. 3. Tempo ed eternità: tra fondamento barthiano e fondato spiritualistico, p. 15. 4. Persona e società: Dio come Valore e Persona, p. 18. 5. Dostoevskij e la polarità divina, p. 19. 6. Schelling e la dialettica del male in Dio, p. 21. 7. La sofferenza inutile: Il male in Dio, p. 24. 8. Fichte, Plotino e il principio dell’implicanza barthiano, p. 28.  9. Ego sum qui sum: l’arbitrarismo divino, p. 32. 10. Il “male in Dio”: la reificazione del nulla iniziale, p. 34. 11. Il Niente come male in Barth e in Pareyson, p. 39. 12. La sofferenza e il capovolgimento implicativo dal negativo al positivo, p. 45. 13. Dmitrij simul justus et peccator, 49.

Prima pagina:

1. Karl Barth e il concetto di implicanza.

Sarà bene iniziare ad esaminare la prima interpretazione pareysoniana di Barth focalizzando da subito l’attenzione sulle due proposizioni base da cui, secondo lo stesso Barth, è impossibile prescindere per poter poi eventualmente proseguire.
Ebbene, la prima proposizione - Dio è Dio – sta ad indicare l’assoluta trascendenza e alterità divina, la quale è a sé, fuori da ogni rapporto o legame analogico col mondo dell’umano; essa, dal canto suo, appunto, irrelata ed eterogenea, instaura tuttavia un rapporto oppositivo col mondo dell’esserci: lo nega, ma proprio negandolo, lo pone.
La seconda proposizione - l’uomo non è Dio - definisce invece l’esserci come preceduto da un “non” che, a ben vedere, racchiude in sé due valenze semantiche: la prima rinvia allo stato di caduta pretemporale, all’ “invisibile” peccato originale come disposizione trascendentale dell’esserci, la cui posizione è e si risolve, appunto, in una pura negatività; si tratta, commenta Pareyson, dell’interpretazione riformistica del concetto di peccato originale, il quale, in Barth, non solo non è una teoria accanto alle altre, ma  è la teoria dell’esserci come identificantesi senza residui con l’uomo vecchio; la seconda valenza rivela come questa negazione, lungi dall’esaurirsi in sé stessa, «rinvia sopra di sé a un termine da cui egli trae significato», per cui è la negazione della negazione, la dialettica del “–x – = +” a porre l’esserci.

Sennonché il dualismo radicale tra i due mondi, sottolinea Pareyson - ed il valore di questa sottolineatura è evidente - non è «l’equilibrio statico di due forze equivalenti, non è un contrasto di spirito e natura o anima e corpo, non è una dualità metafisica originariamente rigida e immobile, o una marcionitica scissione dell’unico Dio in un Dio creatore e un Dio redentore, ma è la dinamicità di una creazione continua (…) Si tratta di un dualismo radicale che dialetticamente sempre si risolve in un monismo assoluto». Questo è uno snodo fondamentale: Pareyson dichiara che qui si tratta, ben al di là di una rigida dualità metafisica, di «un arditissimo processo dialettico», per cui il Dio che perde e che salva è già sempre risolto in «un infinito superamento, una infinita vittoria della grazia sul giudizio, dell’amore sull’odio, della vita sulla morte».
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PUBBLICATO IL : 24-05-2010
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