Carlo Antoni. Lo storicismo come problema |
di Marcello Musté
| Sommario: Il dialogo tra lo storicismo tedesco -rappresentato dalla scuola storica di Ranke, Niebhur, Droysen e dalla filosofia di Dilthey, e dalle indagini di Weber, Troeltsch e Meinecke- e quello italiano di Croce, si complicò con le vicende politiche del tempo, e poi, con l’avvento del nazismo, si cominciò a sollevare la domanda riguardante la nuova barbarie e il passato della Germania, il cui «senso della storia» e il cui «realismo» si erano costituiti proprio attraverso la recisa negazione degli ideali dell’illuminismo e del giusnaturalismo. Quasi «cittadino» di ambedue quelle culture, Carlo Antoni fu il pensatore che, educatosi alla filosofia di Benedetto Croce, affrontò il problema dello storicismo in questa nuova dimensione: intorno al 1930 – quando apparvero le sue traduzioni di Dempf e di Troeltsch – cominciò a indagare, con una profondità e un’informazione inedite, il travaglio della storia e della cultura tedesche, e a riconnettere i possibili fili che, da una così vigorosa tradizione, stavano conducendo a una crisi barbarica, che rischiava di travolgere l’intero edificio della civiltà europea. | Prima pagina: L’altra famiglia dello storicismo contemporaneo, quella tedesca, che era sorta dapprima, nel secolo decimonono, con le opere dei grandi esponenti della scuola storica – di Ranke, di Niebhur, di Droysen – e si era poi sviluppata, al confine tra i due secoli, con la filosofia di Dilthey, con le indagini storiche e metodologiche di Max Weber e di Ernst Troeltsch, con i libri di Friedrich Meinecke sullo stato nazionale e sulla ragion di stato, – questa imponente tradizione di pensiero, di cui apparivano evidenti gli influssi e gli intrecci con la nuova cultura italiana, aveva ricevuto, da parte di Croce, una valutazione tutt’altro che positiva o simpatetica: in un celebre saggio, discutendo l’opera di Ranke, Croce l’aveva definita una storiografia «senza problema storico», e a questa critica aveva via via ricondotto le successive figure e gli altri momenti dello storicismo tedesco. Lo stesso Omodeo, che aveva rivolti i suoi studi alla Francia della restaurazione e che, di Bismarck e dell’unificazione tedesca, dava un giudizio negativo e a volte sferzante, non aveva mostrato una particolare simpatia per quella cultura storica, da lui criticata, per altro, nell’ambito degli studi religiosi. Il dialogo tra i due storicismi, quello tedesco e quello italiano, era poi complicato e ostacolato dalle vicende politiche del tempo, che dapprima, con la grande guerra, aveva opposto le due nazioni e, a volte, le due culture, e che poi, con il nazismo e il secondo conflitto mondiale, cominciò a sollevare la domanda relativa al rapporto tra la nuova barbarie e il passato della Germania, il cui «senso della storia» e il cui «realismo» si erano costituiti proprio attraverso la recisa negazione degli ideali dell’illuminismo e del giusnaturalismo.
Nato a Sensonecchia, nella Trieste ancora austriaca, nel 1896, e quasi «cittadino» di ambedue quelle culture, Carlo Antoni fu il pensatore che, precocemente educatosi alla filosofia di Benedetto Croce, pose e affrontò il problema dello storicismo in questa nuova dimensione: intorno al 1930 – quando apparvero le sue traduzioni di Dempf e di Troeltsch – cominciò a indagare, con una profondità e un’informazione inedite, il travaglio della storia e della cultura tedesche, e a riconnettere i possibili fili che, da una così vigorosa tradizione, stavano conducendo a una crisi barbarica, che rischiava di travolgere l’intero edificio della civiltà europea. I suoi articoli su Spengler, su Keyserling, su Gobineau e sulle teorie razziste risalgono al 1932-1933, e certamente fu tra i primi a rendersi conto della minaccia che, dalla terra tedesca, si proiettava sulla vecchia Europa. La drammatica domanda, che negli anni seguenti avrebbe impegnato l’intelligenza di ogni spirito libero, di come fosse possibile che la patria di Goethe e della più raffinata cultura avesse partorito il culto primitivo della terra e del sangue, e in esso si fosse come immersa e capovolta, risuonò con intensità fin nei primi scritti di Antoni: e, come vedremo, questa domanda chiamò presto in causa la natura e i fini dello storicismo, di quello storicismo che egli aveva appreso alla scuola di Croce, e al quale, in maniera assai peculiare, restò fedele fino all’ultimo dei suoi giorni (morì a Roma nel 1959)
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