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G. de Liguori, Scherzi della memoria. Mappa di un itinerario non turistico tra politica e cultura in una Provincia del Sud (1963-1990) , Salvatore Sciascia Editore, 2008
di Massimiliano Biscuso

Girolamo de Liguori è uno studioso noto soprattutto per i suoi lavori sulla cultura filosofica italiana tra Otto e Novecento, sia del versante positivistico (Materialismo inquieto. Vicende dello scientismo in Italia nell’età del positivismo 1868-1911, Laterza, Roma-Bari 1988; Materialismo e scienze dell’uomo. Il dibattito su scienze e filosofia nell’Italia del secondo Ottocento, Lacaita, Manduria 1990) sia del versante scetticheggiante e anti-idealistico (I baratri della ragione. Arturo Graf e la cultura italiana nell’età del positivismo, Lacaita, Manduria 1986; Il sentiero dei perplessi. Scetticismo, nichilismo e critica della religione in Italia da Nietzsche a Pirandello, La Città del Sole, Napoli 1995, libro dedicato in gran parte a Giuseppe Rensi), e, più recentemente, per i suoi studi, apparsi per lo più su riviste, dedicati al materialismo di Leopardi e, risalendo indietro alle fonti di questo, alla letteratura apologetica antiateistica e anticartesiana, soprattutto nella Napoli di Vico e di Alfonso Maria de’ Liguori.
Meno noto è il fatto che questo importante studioso non ha mai avuto accesso ai ruoli universitari ed ha speso gran parte delle sue energie intellettuali come docente di filosofia e storia nei Licei di Ostuni, in provincia di Brindisi. Caso non unico, certo, non solo della cronica difficoltà del sistema universitario italiano di riconoscere chi ha autentiche capacità didattiche e di ricerca, ma anche di quali risorse di passione per la cultura e amore per gli studi filosofici siano presenti, nonostante le condizioni di lavoro mortificanti, nei nostri Licei. Scherzi della memoria è appunto un libro, verrebbe da dire autobiografico, sull’attività di insegnante e di uomo di cultura legato al proprio territorio – due dimensioni di cui de Liguori polemicamente rivendica la stretta relazione –.
Verrebbe da dire autobiografico; ma non si tratta di un’autobiografia, «che non interesserebbe nessuno», si premura di dichiarare fin dalla prima pagina l’autore. Si tratta, piuttosto, della «raccolta di tutta una serie di esperienze intellettuali fatte in una provincia meridionale» (pp. 17-18). Della memoria il libro ha l’andatura incerta, oscillante tra prima e dopo, a volte tra passato e presente. Si legga, ad es., la presentazione degli inquieti anni della sua formazione universitaria a Roma: «cercavo, cercavo, cercavo», leggevo esistenzialisti, personalisti, filosofi della speranza, e poi Kierkegaard, Schopenhauer. «Ero alla FUCI e leggevo Agostino: pensavo davvero che entro di me c’era la veritas. Il guaio fu quando cominciai a vedere cosa fosse e se fosse o non fosse del tutto. Divenni scettico in gnoseologia e così riuscii a nascondere la mia ignoranza e la mia difficoltà a istruirmi, leggendo Giuseppe Rensi, non ancora di moda, attraverso il quale intrapresi a intendere a modo mio tutti i filosofi antichi e moderni. Altri seguivano intanto le mode, arrivando prima di me ad essere marxisti, ma non sia mai engelsiani, e quindi strutturalisti, psicoanalisti, con riserve francofortesi e, infine, heideggeriani, costruttivisti e decostruttivisti e via discorrendo. In definitiva, scetticismo, materialismo e ateismo mi sembrarono, alla fin fine, le uniche armi o strumenti adatti all’umile storico. […] Dalla teoretica mi guardai bene, visto non avevo teodicee da invocare, e penetrai furtivo nelle selve della storia delle scienze, seguendo in prevalenza vecchie mappe positivistiche. Ora, pervenuto a nient’altro che alla pensione, mi ritrovo ancora scettico, materialista e ateo, avviato verso la storicità del reale. […] Rispetto i classici e chissà se farò in tempo ad approfondirne qualcuno! Per il momento ne continuo a seguire le fortune tra preti, concezioni diffuse, immagini, nella storia insomma ed entro pensatori minori e finisco per ritrovarmi, senza idee sicure, storico delle idee… Ma questo non c’entra: mi sono spinto troppo avanti» (pp. 30-31).
La successione cronologica è rispettata solo nell’insieme, nel dettaglio invece la narrazione si addensa intorno ad alcune iniziative culturali, le cui vicende sono seguite secondo una logica loro propria. La prima di esse è la costituzione del gruppo “Sic et non”, formato da giovani intellettuali ostunesi. Il nome, suggerito da una celebre opera di Abelardo, voleva far intendere il rifiuto della ragione astratta e di ogni verità preformata, insieme all’esigenza di tutto verificare con lo sforzo del pensiero e con l’aperto dibattito. Il gruppo ebbe un suo mensile, “Presenza”, di cui uscirono sette numeri, da gennaio a luglio 1967, e organizzò, tra il 1965 e il 1967 alcuni convegni, di cui furono relatori importanti protagonisti della cultura italiana: Ambrogio Donini e Danilo Zolo parteciparono ai due incontri dedicati a Marxisti e cattolici: possibilità di un dialogo (marzo e maggio 1965); Mario Alighiero Manacorda e Vittore Fiore a quello dedicato a Cultura, Scuola e Mezzogiorno (febbraio 1966). Questi convegni, per l’importanza dei temi dibattutti e dei relatori sembrarono aprire a Ostuni «una nuova stagione civile» (p. 46). Organizzando questi convegni, de Liguori entrò in contatto con altri illustri personalità della cultura italiana, come il matematico e pedagogista Lucio Lombardo Radice e il meridionalista Tommaso Fiore: di entrambi Scherzi della memoria riporta le lettere inviate al giovane e intraprendente professore di filosofia (rispettivamente alle pp. 50-66 e 108-121). Il volume di de Liguori si rivela così anche un’opera di documentazione della sua attività culturale e della vita culturale ostunese, che, andando ben al di là della memorialistica, si offre come strumento di studio di una precisa stagione culturale italiana, gli anni Sessanta, con tutto quello che essi comportarono in termini di innovazione e rottura rispetto alla egemonia culturale moderata. Gli interventi dei relatori ai convegni di “Sic et non” sono ricostruiti con ampie citazioni (pp. 67-85), ma si dà testimonianza con salaci commenti anche dell’atteggiamento e delle reazioni del pubblico («i consiglieri comunali al completo e il sindaco, tutti in prima fila, erano lì in attesa che finisse l’incontro per chiedermi il redde rationem! […] i cattolici locali ascoltarono in silenzio, non so se religioso o politico…», p. 73), certo non tutto schierato dalla parte dei giovani organizzatori. Altra testimonianza di questo precoce tentativo di confronto tra marxisti e cattolici è il dibattito sulla Populorum Progressio di Paolo VI organizzato a Brindisi, con relazioni ancora di Ambrogio Donini e di Matteo Patrono, ricostruito per mezzo di un articolo dello stesso de Liguori, pubblicato nel 1968 in un volume collettaneo a cura di Tommaso Fiore (pp. 85-90).
Il significato delle iniziative di “Sic et non” mi sembra comunque che vada ben al di là della rievocazione dello slancio entusiastico di portare la cultura nazionale in una provincia del Mezzogiorno. In questa vicenda – e chissà quante altre se ne potrebbero aggiungere di analogo tenore in altre zone d’Italia – vengono alla luce quei fermenti della società italiana investita dai processi della modernizzazione degli anni Sessanta, tra industrializzazione e Vaticano II, urbanizzazione e speranze riformatrici (ma anche timori reazionari) suscitate dal nuovo quadro politico di centro-sinistra, nuove letture ed echi di lontane rivoluzioni e lotte di liberazione, che precipiteranno nel Sessantotto. Evento improvviso ma generatosi attraverso una lunga e complessa serie di trasformazioni “molecolari” della società, della cultura e della politica italiane, e incomprensibile prescindendo da queste.
Oltre che organizzatore di iniziative culturali, de Liguori è stato soprattutto un uomo di scuola. Una parte importante del libro è dedicato alle più interessanti iniziative didattiche, che spesso superarono le mura dei Licei in cui furono realizzate. La prima, e più distante nel tempo, risalente alla fine degli anni Sessanta, è la lettura in classe di Un popolo di formiche (1968) di Tommaso Fiore. Un contributo, anche questo, tra i tantissimi che modificarono di fatto l’elitaria scuola superiore gentiliana, per aprirla alla vivezza dell’esperienza e dei problemi che assillavano la società italiana. Invece di proporre una semplificazione del testo, che è solo «una scusa, alimentata dalla cattiva prassi di far scuola a minorati e che nasconde una storica lunga battaglia contro l’apertura della scuola alla vita» (p. 104), de Liguori propone di affrontare lo studio del testo su tre distinti livelli: storico, politico-ideologico e letterario. Solo in questo modo il testo potrà parlare con voce viva agli studenti.
Le successive iniziative didattiche di cui Scherzi della memoria dà testimonianza appartengono agli anni Ottanta e Novanta, ad un’epoca assai distante da quella che tante speranze di rinnovamento aveva suscitato nell’“estremista” e “cinese” de Liguori – e in tanti altri. Adesso l’ormai non più giovane professore di filosofia e storia, accanto al sempre più intenso impegno nella ricerca storico-filosofica, si dedica a sperimentazioni didattiche nel tentativo di «immettere il Liceo nella società ostunese: fare della scuola un motore di cultura e di apertura alle idee, in un momento di stagnazione sia della vita politica e culturale in genere che della iniziativa giovanile» (p. 128). Di qui la realizzazione in Super-8 di un documentario sulla nascita della scienza nell’anno scolastico 1979-80, di cui diede notizia anche Lucio Lombardo Radice in “Riforma della scuola”. Ai primi anni Novanta appartengono invece alcune iniziative che cercano di collegare la scuola allo studio della storia del territorio, come la mostra dedicata a ricostruire la storia del fascismo a Ostuni attraverso la stampa locale (1990), che ricevette anche i consigli e l’incoraggiamento di Norberto Bobbio, e che suscitò interesse tra studenti, cultori della storia di Ostuni e semplici cittadini. Il vecchio Liceo apriva le porte alla cittadinanza e gli argini che separavano da sempre la storia locale e la “grande storia” che si studia a scuola sembravano crollati. Ma ben presto tali aperture si mostrarono effimere: altre iniziative, come gli incontri dedicati a “Il pensiero europeo dal mito alla scienza” o il volume collettaneo per i sessant’anni del Liceo classico “Calamo” furono più l’epilogo che il rilancio di un nuovo modo di fare scuola. «Moriva ormai tutto un modo di fare scuola, cultura, filosofia, riflessione e studio a cui io ero ancora irrimediabilmente legato. E uscii di scena. Andai in pensione nel settembre 1994. Cinque anni dopo avrei lasciato per sempre il paese» (p. 149).
Da allora in poi de Liguori avrebbe investito la sua passione civile e pedagogica nella ricerca storico-filosofica; la scelta dei temi – Leopardi, le vicende del cartesianesimo, il materialismo – ne è la chiara testimonianza.

PUBBLICATO IL : 11-11-2008
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