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Aristotele, Vita attivitą e carattere degli animali. Historia animalium Libri VIII-IX , Duepunti edizioni, 2008
di Maria Fusco

L'edizione dei libri VIII e IX dell'Historia animalium a cura di Carbone merita una particolare attenzione non solo per il valore in sé delle pagine aristoteliche trattate ma anche per il valore che questepagine ricoprono all'interno dell'attuale contesto scientifico e filosofico.
Negli ultimi anni le opere biologiche di Aristotele, l'Historia animalium, il De partibus animalium, il De generatione animalium e i trattati di vario argomento de i Parva Naturalia, sono stati oggetto di numerosi studi. Tra le edizioni più recenti, accanto alla prima a cura di Mario Vegetti e Diego Lanza (Aristotele. Opere Biologiche, Laterza 1971) c'è quella ad opera degli stessi curatori  (Aristotele. Opere vol.V Laterza: 2001-comprendente il De partibus animalium e il De generatione animalium- e vol. IV Laterza: 2007-comprendente i Parva naturalia) e quella, a cura di Carbone, del De partibus animalium (BUR: 2002) e dei Parva Naturalia (Bompiani: 2002). Oltre alle edizioni critiche, continua ad arricchirsi la letteratura secondaria dedicata a queste opere, la cui analisi, come si evince ad esempio dai recenti studi di Lo Piparo (Aristotele e il linguaggio.Cosa fa di una lingua una lingua. Laterza:2003) risulta essenziale per una migliore comprensione e interpretazione anche della parte più specificamente linguistica della produzione del filosofo.
Allo stato attuale, gli studi sull’Aristotele biologo vertono, da una lato, sulla  riscoperta di queste opere specifiche dedicate alla natura e al regno animale, e dall’altro, su un loro adeguato inserimento all’interno del pensiero di Aristotele tout court. Carbone, con il suo contributo, rappresenta un ottimo connubio di entrambe le prospettive di studio; non solo si occupa dell'edizione di due libri finora poco studiati dell'Historia animalium ma, in secondo luogo, sottolinea a più riprese la posizione di questi e dell'opera in generale all'interno del più ampio sistema filosofico aristotelico: «la HA è uno scritto di filosofia non meno che di scienza» (p. 157), dal momento che per come essa è strutturata e per la funzione che l'indagine occupa al suo interno, si attiene pienamente al «programma di costituzione del sapere filosofico, alla paideia» (ibid.) dello stagirita. L'opera ha d’altro canto una sua precisa specificità, in quanto rappresenta, non solo, il primo trattato di zoologia della produzione aristotelica, ma anche la prima opera in cui la zoologia ha assunto un assetto scientifico: «l'immaginario zoologico scientifico e letterario della cultura occidentale affonda le sue radici in queste pagine di Aristotele» (p.153). È questo immaginario zoologico che ha affascinato e continua ad affascinare gli studiosi e scrittori di diverse epoche; le pagine della Historia contengono osservazioni e riflessioni sull'intero regno animale, la cui eco è risuonata in opere monumentali, come quelle di Plinio ed Eliano, nei bestiari medievali rinascimentali e nella produzione di scienziati come Buffon, Geoffroy de Saint-Hilaire e Lamarck. Nonostante il metodo aristotelico sia “abborracciato e lacunoso” rispetto alle scienze moderne (p.ii), tracce dell'Historia animalium si ritrovano inoltre ancora oggi, soprattutto a livello lessicale, nei termini utilizzati dai moderni zoologi.
Come abbiamo accennato sopra, dei dieci libri di cui l'Historia animalium si compone, l'ottavo e il nono occupano una posizione singolare, dovuta anzitutto alla loro particolare tradizione. Per lungo tempo questi due libri furono considerati spuri, frutto di una compilazione post-aristotelica e, per questo, esclusi da gran parte delle edizioni critiche; Carbone, seguendo l'ipotesi sostenuta da David Balme nelle sue edizioni all'opera (1984; 2002), ne sostiene invece la genuinità e li considera parte integrante dell'opera. Il corpo centrale dell'edizione è occupato dalla traduzione dei due libri, seguita dalle note a commento; nel caso del libro VIII, la traduzione di Carbone si affianca a quella già esistente di Vegetti  (1971), mentre, il libro IX viene qui tradotto per la prima volta in italiano.
Le alterne vicende di questi libri non sono slegate, a nostro parere, dalle osservazioni oltremodo particolari in essi contenute. In queste pagine Aristotele si occupa, per riprendere il titolo del presente volume, della Vita, attività e carattere degli animali. Come viene enunciato nel quadro metodologico che apre il I libro dell'Historia, questi, a fianco della conformazione e della costituzione delle parti e del corpo intero, rientrano tra i criteri fondamentali di differenziazione e determinazione dei generi animali: nell'VIII libro egli riprende, come dichiara sin dall'incipit, la divisione secondo la vita -bios- e le attività -praxeis-, nel IX quella secondo il carattere -ēthos. Nell'insieme, questi due libri rappresentano il primo esempio di un trattato di etologia animale dell'antichità; numerosi sono gli aneddoti ed episodi della vita animale, dall'accoppiamento al nutrimento, dalla cura dei figli ai rimedi contro le malattie, caratterizzati, talvolta, da una veridicità scientifica di sorprendente modernità, talvolta, da forti imprecisioni e da una certa ingenuità.
All'interno di questa ampia galleria di osservazioni, estremamente interessanti sono quelle a carattere più specificatamente “zoopsicologico", riguardanti le capacità cognitive e psicologiche degli animali; in apertura del libro VIII, Aristotele istituisce un raffronto significativo tra queste capacità cognitive e quelle dell'uomo: «anche nella maggior parte degli animali si trova una traccia dei modi dell'anima (tōn peri tēn psuchēn tropōn), che però negli uomini presentano differenza più evidenti[…]. Certuni, infatti, differiscono rispetto all'uomo secondo più e meno, e così anche l'uomo rispetto a molti degli animali (certuni di tali modi, infatti, appartengono di più all'uomo, certuni agli altri animali); altri differiscono secondo l'analogo: come infatti all'uomo appartengono arte, saggezza e intendimento, così agli animali appartiene una certa potenza naturale come questa, ma diversa».
Si delinea in queste righe l'inizio di una questione che avrà estrema fortuna nei secoli successivi e che è ancora oggi al centro di numerosi dibattiti: se gli animali siano dotati di capacità cognitive e se esse siano paragonabili in qualche misura a quelle dell'essere umano. Le diverse risposte a tale questione possono essere inquadrate sostanzialmente all'interno di due paradigmi fondamentali: quello continuista e quello discontinuista. Secondo il primo, gli animali differiscono dall'uomo solo quantitativamente, per una diversa complessità delle strutture mentali; anche se all'uomo spetta il livello più alto di tale complessità, le differenze di razionalità, così come quelle di linguaggio, tra uomo e animale vengono rappresentati come momenti di un continuum. Secondo il paradigma discontinuista, invece, esiste una profonda distinzione, assolutamente "qualitativa" tra uomo e animale e ogni continuità all'interno della scala naturae viene in questo caso negata.
Come risulta dal passo qui riportato, Aristotele si prefigura come un continuista ante litteram, in quanto sostenitore di una differenza di grado, "del più e del meno", tra i "modi dell'anima" dell'uomo e dell'animale. Nel resto del libro VIII, ma soprattutto nel libro IX, numerosi sono gli esempi che il filosofo riporta per dimostrare la presenza di una certa intelligenza negli animali; il cervo mostra gradi di phronesis in una serie di attività, riguardanti soprattutto la cura della prole (IX,5) così come altri animali quadrupedi- cani, capre, pantere- si comportano in modo intelligente (phronimōs) per proteggersi (IX,6); la rondine costruisce il nido con “acutezza di intendimento”, dianoias akribeian (IX,81) e la pernice è in grado di ingannare il cacciatore, fingendo di essere stata presa, per proteggere i figli (IX,84). Sono questi i casi più noti del repertorio a favore dell'intelligenza animale e che si ritrovano con straordinaria somiglianza in una serie di testi della tradizione successiva,  un "archivio" animalista, per così dire, a cui far riferimento per ricostruire la storia di questo dibattito. 
In anni recenti la ricostruzione della questione sull'anima e la razionalità delle bestie ha avuto un ruolo centrale in sede di storiografia filosofica, e in Italia, soprattutto a partire dal lavoro della Marcialis (Filosofia e psicologia animale da Rorario a Leroy, STEF:1982), che si è occupata in particolare dello status della questione tra Cinquecento e Settecento, si è inaugurato un filone di studi che segue con crescente interesse il tema delle mente e del linguaggio negli animali in chiave storica (vd. Gensini S. "Bruti o comunicatori? Modelli della mente e del linguaggio animale fra Cinque e Settecento" in Per una storia del concetto di mente.Olschki, 2008: 193-221).
Non possiamo tuttavia tacere un ulteriore interesse, questa volta più specificamente empirico, che si affianca a quello ora accennato. A partire dagli anni '60 si assiste all'incremento di studi ed esperimenti sugli animali volti a esaminare le loro capacità linguistiche e cognitive; si tratta soprattutto di primati, nel caso ad esempio del lavori dei coniugi Gardner (1969), dei Premack (1974) e, attualmente, della Savage-Rumbaugh (1998). Diversi sono inoltre gli studiosi nostrani, psicologi e filosofi della mente, che si occupano della questione e da cui è possibile trarre ulteriori indicazioni sui diversi approcci sperimentali (Vallortigara G. Altre menti. Lo studio della cognizione animale. Il Mulino: 2000; Cimatti F. Mente e linguaggio negli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva. Carocci: 2002).
A Siena nel 2002, si è svolto un convegno dal titolo "Animali, angeli e macchine. Linguaggio e forme cognitive", i cui contribuiti, raccolti nel volume a cura di Manetti-Prato (Animali, angeli e macchine. Come comunicano e come pensano. Edizioni ETS: 2007) testimoniano il crescente interesse, sia nel campo della storia delle idee, sia in quello più strettamente empirico, per questo tema.
La presente edizione dei due libri dell'Historia animalium, più spiccatamente dedicati alla tematica etologica e cognitiva, assume dunque un ruolo significativo all'interno dello scenario di studi fin qui delineato; è soprattutto da queste pagine che risulta evidente il peso avuto da Aristotele sull'inizio di una questione al crocevia di così diversi ambiti di studio.
 Il lavoro di Carbone si presta inoltre a diversi livelli di lettura che possiamo individuare in via conclusiva.
Il lettore non specialista, che abbia un certo interesse per la tematica etologica, troverà in queste pagine un’ampia rassegna delle attività e comportamenti di numerose specie animali. A tal proposito, gli autori dell'Introduzione, Enrico Alleva e Nadia Francia, entrambi impegnati nell'ambito delle neuroscienze e della biologia, offrono un'utile sintesi dei diversi argomenti trattati, sottolineando in alcuni casi gli errori e le "sviste" aristoteliche, in altri una maggior precisione e attendibilità scientifica. A prescindere dal maggior o minore grado di veridicità scientifica, uno dei meriti di questi due libri, di cui soprattutto il lettore non specialista può tener conto, è il loro valore all'interno di una ricognizione storica dell'etologia animale e in generale del pensiero antico: «questo eto-bestiario aristotelico aggiunge elementi conoscitivi sulla storia delle idee scientifiche di un periodo così fecondo della cultura classica» (p.vi).
Lo studioso di Aristotele, a partire dalle più specifiche nozioni e informazioni di etologia, potrà ricavare invece ulteriori elementi sul pensiero filosofico di Aristotele nonché sul suo metodo di indagine, di cui la Postfazione a cura di Carbone offre un'utile sintesi. Si riflette, ad esempio, sulla divisione in genere e specie che il filosofo utilizza come criterio fondamentale di differenziazione dell'intero regno animale, e come base sulla quale la ricerca può ulteriormente trovare una sua prosecuzione. Un elemento sul quale Carbone insiste, a nostro parere in maniera  originale, è il ruolo giocato dall'osservazione all'interno di questo metodo di indagine, e dunque anche nella stessa divisione in genos e eidos;  sia essa diretta, e autoptica, o indiretta, e basata sui racconti e sulle osservazioni dei diversi esperti, i technitai, l'osservazione, il "vedere" assume una fondamentale funzione euristica da integrare nell'ambito più ampio del sapere. È forte il rapporto, anche etimologico, che nozioni come quelle di "aver visto", "testimoniare", "sapere", intrattengono con il termine stesso historia, da intendersi, dunque, non nel senso latino di "storia", quanto in quello greco di "ricerca", intesa da Aristotele come «ricerca delle caratteristiche accidentali e delle differenza di tutti gli animali» (p159). A ben vedere nelle pagine aristoteliche si assiste alla presenza di una vera e propria "grammatica" dello sguardo (p.161) che regola l'acquisizione del dato osservato nel più vasto corpo del sapere. Anche a livello lessicale, possiamo aggiungere rispetto a quanto detto nella Postfazione, è particolarmente evidente l'uso di verbi e termini (theōrein, idein, oraō,) legati alla sfera semantica del vedere, espressi attraverso perifrasi come "si può osservare", "è capitato di vedere", "è possibile osservare".
In conclusione, e riprendendo quanto detto sopra, si deve tener conto di un'ulteriore lettura possibile, più specifica e più sensibile ad una ricostruzione storica della tematica cognitivista nel mondo animale. Abbiamo visto come in questi libri possa essere rintracciato l'inizio di quella storia del rapporto tra uomo e animale destinata ad avere grande fortuna nei secoli successivi e ad essere ancora oggi al centro di diversi dibattiti scientifici.
Pur non essendosi soffermato esplicitamente su questo punto, con il suo lavoro Carbone ha dato un ulteriore stimolo alla ricostruzione storica di tale tema, a dimostrazione di quanto essa sia sempre più necessaria e urgente;  è la storia, a ben vedere, della considerazione dell'animale come altro, come pietra di paragone in cui poter ritrovare l'essenza stessa dell'essere umano. Le parole con cui si conclude quest'edizione (p.174) vanno intese, noi crediamo, proprio in questo senso: «Aristotele, che altrove ha indagato la dimensione morale del carattere degli uomini, ritrova qui negli animali, come in uno specchio [corsivo nostro] le tracce della qualità umana più essenziale» .

PUBBLICATO IL : 12-03-2009
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