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Michele Ciliberto (a cura di), Biblioteca laica. Il pensiero libero dell’Italia moderna , Laterza, 2008
di Francesco Saverio Trincia

La pubblicazione del libro Biblioteca laica. Il pensiero libero dell’Italia moderna, Laterza, Roma-Bari 2008 curato da Michele Ciliberto, che antepone una corposa introduzione all’antologia di scrittori laici italiana raccolta con l’aiuto di un gruppo di collaboratori, merita di essere salutata come un vero evento culturale, ciò che non pare a chi scrive  sia successo. Questa non vuole essere in alcun modo  una premessa elogiativa che intervenga in certo senso dall’esterno di un libro che merita di essere letto, interpretato e valutato appunto da qualche studioso appunto del “pensiero italiano moderno”, il quale  si mostri capace in virtù della sua competenza specifica di entrare nella trama dei testi antologizzati, da quelli di Machiavelli, a quelli di Giordano Bruno, a quelli di Paolo Sarpi (vero e proprio autore principe della raccolta, in cui la critica materialistica ma non riduzionistica della religione superstiziosa, contrapposta a quella  cha adora Dio “senza cupidità né timore”, si fonde alla polemica antiecclesiatica) ma anche di Lorenzo Valla, di Pietro Pomponazzi, di Galileo Galilei fino ad autori più recenti, soprattutto Leopardi, ma anche Manzoni, oltre a Filangieri, a Cesare Beccaria, e poi a Cattaneo, e a Camillo Benso Conte di Cavour. Si vuole osservare piuttosto che ad un non specialista come chi scrive può spettare soltanto una riflessione sulla funzione di arricchimento della consapevolezza  culturale che un libro come questo può esercitare nel contesto del dibattito italiano sul tema della laicità. Il primo merito del libro è infatti quello di  mostrare che le varie declinazioni moderne della difesa della capacità del pensiero, ossia essenzialmente della sua libertà non programmaticamente antireligiosa né antitrascendente, ma rigorosa nella difesa della propria autonomia, alla quale attingono persino la definizione della fisionomia non banale, non odorosa di sacrestia di una fede non eteronoma e il significato non ossimorico di tale espressione, costituiscono a tutti gli effetti una storia italiana, in quanto rappresentano, della vicenda di edificazione dell’identità moderna del nostro paese, l’anima più profondamente significativa, il filo rosso di gran lunga prevalente.
Osservata dal punto di vista di un dibattito culturale, ma anche etico e politico, comunque assai affollato e non di rado ripetitivo, spesso accesamente polemico ed ideologico in senso tecnico , sia dalla parte dei difensori della laicità, sia da parte dei non pochi accusatori della laicità di “laicismo”, ossia di una sorta di evitabile pervertimento antireligioso di una laicità che si vorrebbe rimanesse amica delle istituzioni ecclesiastiche più che della vera fede, l’operazione compiuta  magistralmente da Michele Ciliberto in questo libro, svela molto del suo senso, mentre illumina alquanto crudamente i limiti della scena culturale italiana , della quale fa risaltare la povertà e l’incertezza  di quella che dovrebbe essere invece  la  profondità e la serietà della consapevolezza storica. E’ esattamente una cautela e un equilibrio entrambi definibili non altrimenti che ‘laici’, ciò che impone di riconoscere che  non sono responsabili del peccato di lesa storicità , e dunque dei limiti della comprensione del valore specificamente italiano , senza eguali in Europa, della controversia sulla laicità, solo gli accusatori della presunta perversione ‘laicista’ della laicità . Si tratta, come è ben noto, di  accusatori  essi stessi laici, ossia non ufficialmente schierati a difesa delle ragioni e degli interessi mondani della Chiesa cattolica, ma non per questo meno ostili alla piana nozione di laicità come assoluta libertà del pensare e del giudicare  in tutti gli ambiti , pubblici, privati, privatissimi, come nel caso della fede, in cui la coscienza viene chiamata a testimoniare la propria irriducibile convinzione di verità. Osservata dal vertice della vicenda storica del pensiero libero italiano nella modernità messa in scena in questa antologia, anche la giusta posizione  dei laici-laici si mostra improvvisamente come impoverita e al tempo stesso semplificata, resa astratta in quanto  ridotta a mezzo di una battaglia importante bensì, ma in fondo riducentesi alla difesa etica e giuridica  di un fondamentale valore, ossia della norma costituzionalizzata del vivere civile promanante dal centro sacro della libera coscienza di ogni singolo, persona prima ancora che cittadino, che in quella norma trova la sua difesa fondamentale.
Ora,  questa antologia mostra perfettamente  anche se in maniera del tutto indiretta, a patto che  la si utilizzi, piuttosto che con finalità meramente informative, nel contesto della lotta intorno alla laicità condotta nel nostro paese, e di recente in forma sempre più accesa,  quale sia  l’esito di quella di sorta di miopia culturale e filosofica consistente nel ritenere come ovvio che (o anche di non indagare se) sempre e comunque la laicità sia stata un valore consapevole, pienamente riconosciuto come tale nell’ambito di una trasparente teoria morale , ed elevato al rango giuridico di norma di legge, anzi di anima interna di quel sistema di leggi che chiamiamo Costituzione. La laicità non è stata sempre, né resta oggi per noi soltanto una pur nobilissima  essenza assiologica sovratemporale, un valore etico e giuridico. In quanto sia riconosciuta come un valore, essa avanza del tutto legittimamente la pretesa di sollevarsi al di sopra del divenire storico e di farsi perciò stesso metro di giudizio della storia passata e della politica attuale. Ma non può essere dimenticato che il suo venire riconosciuta come valore e come norma costituzionalizzata è esso stesso un evento storico,  che costituisce  un momento di svolta importante di una storia della laicità, prima della quale la laicità stessa è in quanto tale ancora assente, sebbene quella storia ne costituisca la preparazione e la maturazione in termini di consapevolezza concettuale e anche   di strumento di lotta ideale e politica.  La sua storia tracciata in questo libro dice a chi vuole intendere che cosa  dovrebbe essere recuperato di ciò che costituisce la Vorgeschichtedi tale nozione , pur se tale recupero del pregiuridico e del premorale, tale  ripresa della profondità storica della nozione , dovrebbero  sempre avvenire all’interno della ormai oggi  raggiunta garanzia costituzionale della laicità ed essere accompagnati dalla  piena convinzione che solo in quanto norma la laicità può essere efficacemente difesa dai suoi detrattori e virtuali distruttori. V’è persino da chiedersi se la trasformazione della laicità in valore e norma costituzionalizzati non siano l’effetto della comprensione culturale essa stessa essenzialmente laica, da parte dei costituenti italiani nel secondo dopoguerra, del fatto  che il filo rosso della storia italiana identificabile con  la contestazione della libertà di pensiero e di coscienza da parte della gerarchia ecclesiastica doveva giungere a quella formazione istituzionale di compromesso in virtù della  quale laici e cattolici insieme identificavano nella laicità stessa dello Stato nato dalla sconfitta del fascismo il comune terreno assiologico ove la competizione tra valori e visioni del mondo diverse  poteva trovare la propria esplicazione corretta , e realizzarsi a vantaggio dell’intera vita democratica del paese. I padri costituenti troverebbero nella antologia di Ciliberto le proprie fonti e al tempo stesso la propria garanzia teorica, ossai il motivo storico risalente secoli addietro nella storia italiana, delle loro decisioni istituzionali.
Proprio in quanto ne mostra la variegata declinazione  culturale anzitutto come un  atteggiamento dello spirito, quale modo di intendere gli uomini, la storia,  il loro operare, il loro credere e non credere, il loro subire la propria finitezza  e il loro attivo costruire società e Stati, entro un storia italiana antica di cinque, sei secoli, l’antologia di Ciliberto al tempo stesso relativizza (anzitutto rispetto alla condizione  dello spirito della storia  specificamente italiana, ma anche , come si è appena osservato, rispetto alla filosofia, alla teoria della laicità e alla laicità stessa intesa come opzione teorica e filosofica), ma anche complica e arricchisce  il quadro entro cui di laicità si deve continuare a parlare oggi per difenderla dai suoi tanti detrattori, essi stessi italiani. Una corrente culturale antilaica si impone  nell’ambito dell’Occidente  con tanta determinazione e potenza di diffusione pubblica  soprattutto in Italia, così come soprattutto in Italia  la lotta per laicità si impone come un compito civile urgente e mai obliabile, in cui sono in gioco aspetti fondamentali della vita democratica.
 L’Introduzione all’antologia è suddivisa in paragrafi corrispondenti ai temi generali secondo cui lo spirito laico italiano si è venuto esprimendo,  dall’Alberti a Cavour, come si è detto. Ad un prima e in certo senso fondamentale e fondativa sezione dedicata alla “condizione umana” (l’uomo diceva Alberti è “quasi l’ombra di un sogno”) seguono quella dedicata  a “nascita (e morte) delle religioni”, dove dominano le tesi politiche di Machiavelli sulle religioni che per compiere tutto il loro corso devono rinnovarsi ritirandosi ai principi, la spregiudicata analisi genealogica del fenomeno religioso di Paolo Sarpi e le tesi di Giambattista Vico, secondo cui , come è noto, “il timore fu quello, che finse gli dei nel mondo”. Seguono poi le sezioni, e i relativi commenti anticipati della Introduzione, su “miracoli, contrazioni’, indemoniati”, e quella , cruciale alla luce della contemporeanea richiesta da parte della Chiesa di un riconoscimento culturale e politico esplicito, persino nel senso dell’intervento sul potere legislativo,  dedicata alla “funzione civile della religione”, dove di nuovo i poli tra cui si apre la distanza tra atteggiamenti diversi, ma entrambi definibili in senso moderno molto lato ed allusivo “laici”, sono quello rappresentato dalla convinzione di Machiavelli che  la religione sia il fondamento del vivere civile, e di Paolo Sarpi, secondo cui la società può fare a meno della religione. Ai testi di Marsilio da Padova, di Lorenzo Valla, di Machiavelli e di Guicciardini, e ancora di Bruno, Sarpi, Giannone , Genovesi, Leopardi, Silvio Spaventa, è consegnata l’analisi  dello svolgimento storico della critica della Chiesa di Roma e del cristianesimo, mentre alla fondamentale rivendicazione della “libertas  philosophandi” rispondono, nella sezione dedicatale , le tesi di Bruno, Campanella e di Galilei (“..l’intenzione dello Spirito Santo” è “di insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo”). La penultima sezione è dedicata agli alfieri della “sapienza mondana” (dalla difesa machiavelliana del conflitto politico, alla difesa della dissimulazione di Torquato Accetto, alla condanna della pena di morte di Cesare Beccaria, alla Storia della colonna infame   di Alessandro Manzoni), mentre l’ultima,  che conduce ormai nei pressi della contemporaneità , ospita brani di Cattaneo e di Cavour e porta il titolo significativo “né guelfi né ghibellini: libera Chiesa in libero Stato”.
Invano si cercherebbe negli autori raccolti nelle rispettive sezioni dell’antologia una vera e propria  prefigurazione della odierna nozione di laicità , come si è detto. La nozione odierna infatti, deborda dai limiti della sua preistoria non letteralmente anticipante il suo risultato attuale , in virtù di quella formalizzazione e normativizzazione del concetto che , nel divenire in questo modo uno strumento teorico e pratico, ha tuttavia perso almeno una parte del  peso più strettamente filosofico, che ha per esempio in un personaggio come Sigmund Freud, del quale non stupisce di trovare rappresentate nella storia della italiana libertà della spirito da ogni forma di costrizione,  anticipazioni apertamente illuministiche e materialistiche, peraltro apertamente rivendicate, ma che non potrebbe definirsi  un pensatore laico nel senso per cui, secondo Stefano Rodotà (in Perché laico,Laterza 2009) la laicità è diventata un , se non il , valore consapevole per eccellenza della moderna vita democratica. Nella parte iniziale dell’antologia dedicata all’analisi del modo in cui , da Alberti, a Bruno, a Giannone, a Leopardi, e in altri ancora, la “condizione umana” viena dipinta nella sua fattezze tragiche e letteralmente antiumanistiche, che assegnano agli esseri umani un profilo al tempo stesso dolentemente debole , fragile , antieroico, ma anche e moralmente reattivo, ruotante intono alla volontà di edificare e difendere una vita civile che appartiene a tutti i partecipanti consapevoli alla sfera pubblica premoderna segnata dalla difesa gelosa della libertà dello spirito. Il quadro di tale condizione  è contrassegnato da quel rapporto tra necessità  e contingenza che Carlo Galli  (Contingenza e necessità nella ragione politica moderna, Laterza 2009) rivendica  come atteggiamento che corregge il moderno razionalismo liberale, illuminista e democratico, attraverso l’enfasi riservata appunto alla doppia presenza della necessità e della contingenza. E’ possibile ed utile una lettura di Machiavelli e di Hobbes, ma anche di Marcuse e Voegelin,  capace di mostrare che la necessità della politica come “liberazione nell’artificio”, destinata a non  soccombere alla necessità naturale della politica stessa, non ha espulso da sé i nemici dell’ordine razionale (il soggetto, lo Stato , il progresso), ma li ha  deformati e resi interni a sé, in modo che il logos politico ne risulta  come inquietato e reso contraddittorio.
Ecco: in questa preistoria della laicità nella cultura italiana manca la consapevolezza riflessa dei limiti che la volontà di ordine politico incontra nella contingenza ( e questo, proprio perché il logos politico non segue   negli italiani pre e postrinascimentali il percorso fondativo seguito ad esempio da Hobbes), ma certo la voce della contingenza si leva molto forte, come una sorta di ammonimento anticipato rivolto  al logos politico a non dimenticare quel che la politica stessa è destinata a non domare sempre e comunque . Tale anticipazione del limite antropologico del politico alla istituzione fondativa del politico stesso, ossia  il circoscriversi della riflessione politica, ben rappresentata dal pensiero di Machiavelli,  in un ambito che non diventa una  teoria della politica e dello Stato, nel momento stesso in cui accade che  la “condizione umana” che nella politica può trovare il suo possibile riscatto venga  colta nella sua specificità che oggi definiremmo esistenziale, rappresenta emblematicamente la condizione dello spirito italiano moderno in formazione. Quel che oggi chiameremmo “laicità”, ma solo a patto di sottrarla alla sua riduzione a valore etico e giuridico, appare dunque anzitutto  come una educazione al limite e alla contingenza dell’esistenza umana nel mondo , che avviene tuttavia  in assenza di un ordine , reale o pensato, da limitare o da condizionare: in assenza di uno Stato nazionale o una teoria dello Stato. E’ in corrispondenza alla mancanza di tale ordine politico in Italia, che la vita civile vuole essere salvaguardata contro la diversa ma altrettanto potente ingerenza delle istituzioni ecclesiastiche sulla libertà della spirito che accompagna una condizione umana disincantata, nobilmente, responsabilmente vissuta. E’ così che ciò che noi oggi irrigidiamo in un concetto prevalentemente polemico si forma  nella vita culturale del nostro paese assumendo quella fisionomia  di libertà dello spirito rivendicata da un’umanità che sente ma non teorizza la propria autonomia, ed è al tempo stesso però ben decisa a difenderla.
Si rifletta sulla circostanza  dell’assenza (su cui Cliberto insiste molto efficacemente alle pp.13-17 della sua Introduzione) in pensatori pur diversi come Machiavelli e Sarpi di modelli antropocentrici di tipo umanistico , e piuttosto sulla presenza  “di una concezione dell’uomo che insiste sulla ‘cortezza’ della sua vista, sul limite insuperabile della sua natura, sul suo essere una ‘pignata fragile’, sull’assenza nel mondo di Dio e di ogni criterio di giustizia”, e , per converso, sull’altrettanto importante aspetto di quella che Ciliberto chiamo la “sapienza” elaborata in Italia negli anni cruciali dei Rinascimento, grazie a cui  “in nessuno di questi autori  la presa d’atto della miseria della condizione umana…si risolve in una inerte accettazione del destino, in un abbandonarsi al vento della Fortuna, oppure in una scelta di tipo acetico, religioso”. Si soppesi nel suo giusto valore  etico, prima ancora che dottrinariamente morale, ossia nel suo senso di orientamento nel mondo affidato alla certezza della dignitas hominis, la convinzione leopardiana affidata al Dialogo della Natura e di un’Anima ( ivi, p. 19), circa il rapposto diretto tra eccellenza e infelicità umana. (“eccellenza  e infelicità straordinaria sono sostanzialmente una cosa stessa”), e questo perché “l’eccellenza delle anime importa maggiore intensione della loro vita; la qual cosa importa maggior sentimento della infelicità propria ; che è come se io dicessi  maggiore infelicità”.  Si comprenderà forse meglio in questo modo quel  che intendiamo con il ribadire che non solo il dibattito attuale, ma , ciò che conta di più, la nozione stessa di laicità si arricchisce, si approfondisce, si complica, in sostanza si stratifica e si ‘intensifica’, esattamente come si intensifica la qualità delle anime eccellenti, in quanto appunto entrambi, dibattito e nozione, vengano ancorati ad uno spessore storico che consente di cogliere sotto la superficie della categoria etica e giuridica di laicità quel suo sfondo precategoriale, come  di modo autonomo del comportamento del pensare e dell’essere, che costituisce il suo insostituibile fondamento.
 Si comprenderà forse meglio, nel momento in cui ci si accingerà a leggere l’antologia di Ciliberto accompagnati dalla competenza testuale dello specialista, che al cuore di quel che non è la laicità contemporanea e che rappresenta a stento il suo  primo affacciarsi sulla scena della consapevolezza culturale italiana moderna , che è il destino di “anime” eccellenti, di singoli che non rinunciano (nello loro vita individuale e nel contesto politico)  a farsi guidare dalla propria responsabile razionalità, quel che è in gioco quando si combatte  la lotta contro le auctoritates religiose operanti anche contro la fonte autentica della fede. Senza questa comprensione storica aggiuntiva, la battaglia per la difesa della laicità rischia di condurre nel vicolo cieco della pur importante  difesa di un valore astratto dalla sua storia, prima ancora che la libera spiritualità capace di sostenerne il peso sia stata storicamente riconosciuta. “E però sappi”, leggiamo in esergo dalle Prediche sull’Esodo di Girolamo Savonarola “che se alcuno comandassi cosa che fusse contra el ben vivere, tu non hai ad ubbidire.  – O frate, se el Papa el comandassi? Dico neanche al Papa. Io gliel direi in sulla faccia, se io fussi là. E’ si vuol resistere a chi comanda contro a Cristo e contro al ben vivere”.

PUBBLICATO IL : 08-07-2009
@ SCRIVI A Francesco Saverio Trincia