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Anna Maria Ioppolo, La testimonianza di Sesto Empirico sull’Accademia scettica , Bibliopolis, 2009
di Aurora Corti

Con la pubblicazione del volume La testimonianza di Sesto Empirico sull’Accademia scettica, l’Autrice ha brillantemente coronato il suo studio sullo scetticismo accademico durato quasi un quarto di secolo. Dal 1986, anno di pubblicazione di Opinione e scienza: il dibattito tra Stoici e Accademici nel III e II sec. a. C. (uscito sempre per i tipi di Bibliopolis), essa si è infatti ininterrottamente occupata di quella forma di scetticismo antico sorta in seno all’Accademia di Platone, che, nata nel III sec. a. C. con Arcesilao, si è poi protratta fino al I a. C., seppur sotto spoglie ovviamente mutate dal trascorrer del tempo e dal cambiamento del quadro culturale che esso sempre presuppone. Proprio all’evoluzione interna alla tradizione scettico-accademica e ai rapporti, spesso polemici, che essa intrattenne con le altre scuole filosofiche la Ioppolo dedicò il già citato Opinione e scienza, volume che segnò una svolta nella storia degli studi riguardanti tale tradizione, in quanto mise in discussione l’interpretazione fino ad allora dominante, la cosiddetta “interpretazione dialettica” iniziata con Couissin nel 1929, secondo la quale lo scetticismo accademico sarebbe stato unicamente una risposta dialettica fornita contra Stoicos e non una tesi sostenuta in propria persona. Questa svolta interpretativa suscitò un notevole interesse e un nutrito dibattito non solo all’interno dell’ambiente filosofico italiano, ma anche all’estero, e fu portata avanti nel corso degli anni dalla nostra A. in numerosi studi pubblicati su riviste italiane ed internazionali.
Uno degli obiettivi dichiarativi nell’introduzione al volume è dunque proprio quello di «approfondire e precisare alcuni aspetti scaturiti dal dibattito intorno allo studio Opinione e scienza nel corso degli anni» (p. 15). A tale obiettivo se ne accompagna un altro, ossia quello di «fornire un commentario continuo delle sezioni di PH I e M VII dedicate da Sesto Empirico all’Accademia scettica» (ibid.), sezioni a cui l’A. aveva già in passato rivolto la sua attenzione, ma la cui interpretazione è qui ricomposta in una lettura unitaria e coerente. La scelta di commentare in maniera approfondita e continuativa i paragrafi che Sesto Empirico dedica all’Accademia scettica è sicuramente una scelta ragionata e motivata dal fatto che, poiché i fondatori dello scetticismo accademico – ossia Arcesilao e Carneade – volutamente non lasciarono nulla di scritto, Sesto risulta essere per noi una fonte preziosissima. Pur tuttavia – ed è questa la tesi di fondo del volume - Sesto rimane comunque una fonte problematica e la sua attendibilità dovrà quindi essere analizzata volta per volta, se si vuole ricostruire, con un minimo di esattezza storica, la posizione accademica.
Il volume si suddivide in tre capitoli, il primo dei quali – dal titolo “La critica di Sesto Empirico all’Accademia scettica in PH i” – è dedicato allo studio della testimonianza sull’Accademia scettica presente nelle Pyrrhoniae Hypotyposes. Questo primo capitolo è, dunque, il commentario continuo dei paragrafi 220-234, nei quali Sesto elenca le differenze che sussistono tra lo scetticismo pirroniano e quello accademico, con l’intento dichiarato di separare nettamente queste due forme di scetticismo e di concedere solo al primo lo statuto di autentico scetticismo. Ciò che a mio avviso rende prezioso tale commentario non è tanto, o comunque non soprattutto, il fatto che esso enuclei le singole conclusioni alle quali Sesto perviene (lavoro questo già portato avanti più volte in passato e da diversi studiosi), quanto piuttosto la chiarezza con la quale esso mostra la strategia dialettica di fondo che muove Sesto e che giustifica le sue affermazioni. Secondo la studiosa, infatti, Sesto può portare avanti il suo scopo di screditare la posizione accademica, solamente intervenendo in maniera diretta su di essa e manipolando in maniera massiccia la tradizione platonica. Il risultato voluto di tale manipolazione è quello di operare una netta frattura all’interno dell’Accademia, separando Arcesilao dal resto della sua scuola. Questa astuta strategia – che, a mio avviso, mostra che Sesto non sia un mero copista, ma un autore che attinge alle sue fonti in modo critico e le plasma per renderle adatte alla sua visione filosofica –permette a Sesto di raggiungere contemporaneamente due obiettivi: egli, infatti, «respingendo l’interpretazione scettica di Platone e accreditando l’immagine di un Arcesilao vicino al pirronismo, non solo tenta di spezzare l’unità dell’Accademia, ma ne contesta al contempo la pretesa di “scetticismo”» (p. 33).
A parere della Ioppolo, questo diverso trattamento riservato ad Arcesilao si ritrova anche all’interno dell’altra opera nella quale Sesto si occupa dello scetticismo accademico, ossia il libro VII dell’Adversus Mathematicos, all’analisi del quale vengono dedicati il secondo e il terzo capitolo (intitolati rispettivamente “Il resoconto di Sesto Empirico su Arcesilao in M vii” e “Il resoconto di Sesto Empirico su Carneade in M vii”). In opposizione ad alcune interpretazioni secondo le quali Sesto presenterebbe un Arcesilao “pirroniano” in PH e un Arcesilao “dogmatico” in M vii, l’A. ritiene invece che il giudizio sestano sulla filosofia di Arcesilao sia uniforme e coerentemente ribadito in entrambe le opere. Ciò sarebbe confermato dall’utilizzo ancora una volta di una strategia dialettica, quella della diaphonia, che vuole porre l’attenzione sulla discontinuità, piuttosto che sull’affinità, tra la posizione dello stesso Arcesilao e quella di Carneade.
Se si ammette l’uniformità di giudizio sestano riguardo Arcesilao (uniformità che, a mio avviso, può essere pacificamente accettata, soprattutto se si tiene conto del fatto che alcuni di quelli che possono apparire come giudizi differenti devono essere invece riportati al diverso contesto in cui vengono espressi, perché non si deve mai dimenticare che mentre le Pyrrhoniae Hypotyposes i sono un’opera introduttiva e di carattere generale, nell’Adversus Mathematicos vii il discorso riguarda, molto più tecnicamente, il criterio di verità), ciò mostrerebbe ancor più nettamente le difficoltà che una posizione di scetticismo rigoroso e assoluto, come quella di Arcesilao, pone alla ricostruzione sestana. Arcesilao è per Sesto un pensatore problematico, perché difficilmente collocabile all’interno della griglia storiografica sestana, e problematico a tal punto che talvolta Sesto ne riprende alcune posizioni, tacendone la paternità. Ovviamente ciò deve metterci in guardia perché spesso «al di sotto di un resoconto, apparentemente onesto e informativo, operano strategie complesse in cui la verità storica non è certo il primo degli obiettivi» (p. 189).
Sempre nel secondo e nel terzo capitolo troviamo inoltre ribaditi quei punti qualificanti del suo studio, che l’A. porta avanti, come accennavo, da molti anni e che fin da subito hanno suscitato numerosi dibattiti. Innanzitutto la Ioppolo, sempre a partire da un lavoro accurato sul testo sestano e rimanendo sempre volontariamente vincolata ad esso, ribadisce la sua convinzione secondo la quale la filosofia di Arcesilao e Carneade non può essere correttamente interpretata solamente come una risposta contra Stoicos. Gli Accademici, al contrario, sostennero tesi in propria persona sia in campo epistemologico che in quello etico.
E ciò risulta chiaramente anche dalla testimonianza di M vii: nonostante il fatto che parte del resoconto sestano presenti i due scolarchi dell’Accademia impegnati in un’accesa polemica volta a dimostrare l’inesistenza del criterio stoico – e non solo – di verità, un esame attento di tale resoconto non può mancare di rilevare alcune spie linguistiche che testimoniano l’esistenza di un pensiero proprio sostenuto con convinzione da Arcesilao e Carneade. Come esempi di queste spie linguistiche se ne potrebbero citare, tra i molti altri, due: il primo è l’utilizzo di due verbi differenti per descrivere lo stesso atteggiamento di distacco epistemologico a seconda che esso sia ottenuto da uno stoico (ajsugkataqetei'n) o da un accademico (ejpevcein); mentre il secondo esempio si trova all’inizio del resoconto sul criterio d’azione di Arcesilao, quando Sesto scrive che Arcesilao «era costretto» a fornire un criterio d’azione che regoli le azioni di colui che sospende il giudizio, ossia l’Accademico, perché anche quest’ultimo deve poter essere felice.
 A questi tre capitoli si aggiungono, infine, due Appendici più brevi, entrambe finalizzate a una miglior comprensione dell’interpretazione che Sesto da di Arcesilao. La prima si sofferma sull’analisi del paragrafo 32 del Lucullus ciceroniano, un paragrafo sulla cui interpretazione gli studiosi si dividono da tempo, perché non tutti concordano nel vedere in Arcesilao il sostenitore della tesi secondo la quale “tutte le cose sono incerte” (tesi sostenuta invece dalla Ioppolo); mentre nella seconda vengono presentate le diverse letture che le filosofie ellenistiche diedero di Socrate, filosofo fondamentale per la tradizione scettico-accademica e al quale Arcesilao amava richiamarsi (quest’ultima Appendice è la ripubblicazione nella sua veste originaria dell’articolo Socrate nelle tradizioni scettico-accademica e pirroniana, pubblicato nel 1995 nel volume a cura di G. Giannantoni dal titolo La tradizione socratica).
Con queste due Appendici termina dunque il volume, il cui merito non è solamente quello di aver sostenuto e difeso alcune specifiche tesi storiografiche o conclusioni filosofiche, bensì innanzitutto quello di essere un esempio di come si dovrebbe strutturare un’opera di storia della filosofia antica. E’ forse qui che si percepisce in maniera più nitida l’eredità che la Ioppolo ha ricevuto  dalla scuola di G. Giannantoni, ossia nell’attenzione assoluta da dare al testo scritto, l’unico elemento vincolante per lo studioso. Ma questa fedeltà al testo, per risolversi in un lavoro filosofico e non unicamente filologico, deve anche presupporre un lavoro critico basato sui testi stessi, che, seppur non debbano mai essere traditi, devono comunque essere scrutati. In questo senso assume un ruolo fondamentale lo studio del linguaggio in cui l’autore studiato si esprime, del modo in cui esso lavora e della strategia dialettica in cui è impegnato, nonché lo studio delle fonti a cui può aver attinto e l’obiettivo finale a cui tende.
Questa metodologia è ciò che lega la Ioppolo alla precedente scuola romana di filosofia antica, iniziata con G. Calogero e proseguita con G. Giannantoni, che ha visto nel dialogo un elemento essenziale del fare filosofia. Il dialogo tra gli studiosi e tra le diverse interpretazioni che essi danno di un autore – come nel caso di questo volume su Sesto – deve però sempre essere ancorato alla fedeltà ai testi. Solo questa attenzione ai testi farà in modo che, seppur alcune conclusioni alle quali la Ioppolo perviene potranno essere criticate da altri studiosi, ci sarà comunque spazio per un dibattito fertile e il lavoro scientifico proseguirà su basi comuni.

PUBBLICATO IL : 03-12-2009
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