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Caterina Genna, Guido De Ruggiero e "La Nuova Europa". Tra idealismo e storicismo , Franco Angeli, 2010
di Federica Pitillo

Chi cerchi di ricostruire la storia delle idee e di comprendere il ruolo assunto dal ceto intellettuale nel contesto delle vicende culturali e politiche italiane del secondo Novecento non può fare a meno di leggere le pagine delle numerosissime riviste, che, con il loro contributo al rinnovamento morale e culturale della società civile italiana, hanno contraddistinto i passaggi più rilevanti nel processo di cambiamento dell’Italia al termine del secondo conflitto mondiale. Nell’ambito di queste ricerche s’inserisce il volume di Caterina Genna Guido De Ruggiero e “La Nuova Europa”. Tra idealismo e storicismo (Franco Angeli nel 2010), che mostra proprio la rilevanza della rivista, nel dibattito nazionale e internazionale di quegli anni, attraverso la testimonianza di uno tra i suoi autori più prestigiosi. Il testo include una ricca introduzione della curatrice e raccoglie gli articoli e i corsivi, scritti da De Ruggiero su “La Nuova Europa” nel corso del breve arco di tempo (dal 10 dicembre 1944 al 17 marzo 1946), in cui fu pubblicata.
E’ interessante citare, al fine di ricostruire i momenti che portarono alla nascita de “La Nuova Europa”, le parole dello stesso De Ruggiero: «La Nuova Europa, come tante cose del tempo d’oggi, nacque, o meglio fu concepita, nel periodo clandestino. Ne ebbe la prima idea un amico, abruzzese di nascita, milanese d’elezione, che riunì insieme Pancrazi, Antoni, Morra e me, e ci mise in rapporto con una casa editrice di Milano [Rizzoli n.d.a.]» (pp. 172-173). Concepita quando era ancora in corso il secondo conflitto mondiale e l’Italia era spezzata in due dall’occupazione nazista, la rivista, che si presentò con il sottotitolo “Settimanale di Politica e Letteratura”, rappresenta una delle ultime manifestazioni dell’attività clandestina, svolta dagli antifascisti, sul piano culturale e politico. Il nucleo intorno al quale prese vita il progetto di Raffaele Mattioli, amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana (l’amico “abruzzese di nascita, milanese d’elezione”), si componeva, come scrive De Ruggiero, di eminenti rappresentanti della cultura e della politica italiane: Pietro Pancrazi, Carlo Antoni, Umberto Morra, senza dimenticare il direttore, lo storico Luigi Salvatorelli. Collaborarono, inoltre, al periodico, per citarne solo alcuni, Corrado Alvaro, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Ugo La Malfa, Alberto Moravia, Cesare Pavese e Mario Vinciguerra.
Il titolo “La Nuova Europa” era mutuato da uno dei più combattivi giornali democratici dell’Italia postunitaria, pubblicato a Firenze negli anni 1861-1863 col chiaro intento di promuovere un cambiamento radicale dell’Italia e dell’Europa, sulla scia di un disegno politico-culturale che riportava ai motivi fondamentali del Partito d’Azione di ispirazione mazziniana. Tra l’altro, è da rilevare che, negli anni che vanno dalla caduta del fascismo al referendum istituzionale si andò definendo, in un folto gruppo di intellettuali antifascisti, tra i quali proprio De Ruggiero e, prima di lui, Salvatorelli, un’ idea di Nazione e d’Europa federali che, indubbiamente, riprendeva gli ideali della Giovane Italia e della Giovane Europa. Non si può, in proposito, non ricordare il Manifesto di Ventotene, redatto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1940, orientato verso un’ideale di unificazione dell’Europa in senso federale e mosso dal proposito di creare una forza esterna ai partiti tradizionali, inevitabilmente legati alla lotta politica nazionale, e quindi incapaci di rispondere efficacemente alle sfide della crescente internazionalizzazione. In tale contesto, si colloca l’impegno di De Ruggiero per la costituzione del Partito d’Azione, fondato nel 1942, nel quale confluirono il movimento di Giustizia e Libertà, guidato dai fratelli Carlo e Nello Rosselli e il movimento liberalsocialista promosso da Aldo Capitini e Guido Calogero. Nonostante la breve vita (fu sciolto nel 1947) e il numero esiguo dei sostenitori, il Partito d’Azione, che può meritatamente essere annoverato tra i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, contribuì indiscutibilmente, sul piano della qualità delle idee, alla ricostruzione politica e morale dell’Italia.
Per quanto riguarda poi il sottotitolo della rivista, “Settimanale di Politica e Letteratura”, esso restituisce l’ispirazione fondamentale degli autori e riporta alla figura di De Ruggiero e ai motivi della sua adesione al periodico. L’intento era quello di coniugare politica e cultura, di dare cioè un connotato politico alla cultura, senza, d’altro canto, trascorrere nel «bolscevismo letterario», e di riconoscere alla politica una valenza culturale. Poiché, come suggerisce un corsivo del 18 novembre 1945, la politica, «in periodi difficili come quelli che viviamo», è portata a dividere più che ad unire, è necessario servirsi di altri mezzi, «e il più efficace di questi mezzi è la cultura, che si colloca per sua natura sopra un piano superiore alle divisioni di parte, e, se crea a sua volta altre differenze, non le fa coincidere con quelle della politica, ma le fa intervenire con esse, in modo da cancellarle e attenuarle» (p. 376). E’ nel contesto della dualità “politica e cultura” che si colloca “LaNuova Europa”: creare, in linea con il Partito d’Azione, una terza via, rispetto alle componenti egemoniche del mondo comunista e cattolico, capace di risvegliare un maggiore senso critico nella società civile, mantenendo ferma la memoria su ciò che era stato il fascismo in un paese che, appena uscito dalla guerra, rischiava di voler dimenticare troppo in fretta. Un ruolo, quello assunto dalla cultura, che ritorna costantemente nelle parole del filosofo napoletano, come in questo articolo del 24 giugno 1945, intitolato emblematicamente L’internazionale della cultura: «Non sembri un gioco di parole, se io dico che  da questa superiore apoliticità della cultura si possano trarre i migliori auspici di una provvida efficacia politica di essa. (…) una disinteressata politica, che promuova la cultura non come un mezzo subordinato, ma come un fine a se stesso, può indirettamente servire a creare la solida base, su cui un giorno più o meno lontano si potranno fondare nuovi rapporti tra i popoli» (p. 167).
          D’altro canto, è necessario tenere in giusta considerazione quella che fu la modalità specifica di intendere la politica da parte dell’autore della Storia del liberalismo europeo (1925) che ne mostra il peculiare antifascismo, un antifascismo netto e immediato, «in un certo senso istintivo», per dirla con le parole di R. De Felice (Introduzione agli Scritti politici 1912-1926). Come emerge dalla lettura degli articoli e dei corsivi, l’atteggiamento politico di De Ruggiero non può che ricondursi a quella che fu la sua idea centrale: la riforma morale della società civile italiana realizzata attraverso la fede nella funzione rinnovatrice dell’idea liberale. Ed è proprio su questo rinnovamento del liberalismo, che richiama evidentemente gli articoli pubblicati tra il 1912 e il 1926, raccolti nel volume Scritti politici e nei quali decisa emerge la polemica nei confronti della classe politica di quegli anni, che deve focalizzarsi l’attenzione: è possibile così definire la posizione politica di De Ruggiero, da un lato, nei confronti del socialismo, e, dall’altro, riguardo ai liberali di vecchio stampo. Nel significativo articolo del 6 Maggio 1945, intitolato Liberalismo sociale e liberal-socialismo, il filosofo-giornalista precisava infatti il proprio atteggiamento teorico nei termini di un liberalismo sociale, distinto sia dal liberalismo tradizionale di matrice ottocentesca, che si presenta nella forma di «individualismo atomistico» e che sfocia nel liberismo, sia dal socialismo liberale dei fratelli Rosselli, sia, infine, dal liberalsocialismo sostenuto da Guido Calogero (pensatore, quest’ultimo, con il quale De Ruggiero svilupperà un intenso dibattito). De Ruggiero sosteneva dunque le ragioni di un liberalismo sociale di tradizione anglosassone che aveva avuto modo di conoscere da vicino nel periodo in Inghilterra come corrispondente de “Il resto del carlino”, e studiò tra l’altro autori come Thomas Hill Green, Thomas Hobson e William Beveridge. Scriveva, sostenendo le ragioni di un principio di libertà inteso come autonomia, scevro sia dall’individualismo fine a se stesso che dall’eccessiva dose di socialità propria del marxismo: «Può sembrare a prima vista che questo liberalismo sociale coincida col liberal-socialismo. Invece vi è tra di essi una differenza fondamentale, come tra sostantivo e aggettivo, e, secondo che l’uno o l’altro termine è sostantivato o aggettivato, il rapporto assume un carattere ben diverso». E ancora: «solo in virtù di questa qualifica sociale il liberalismo ha ancora qualcosa di nuovo da dire, in confronto della democrazia e del socialismo» (p. 142).
            In realtà, come suggerisce E. Garin (Intellettuali italiani del XX secolo), in questa formulazione, «liberalismo sociale», colpisce «il gusto delle combinazioni verbali (piuttosto che concettuali), nell’ingenua fiducia (quando si trattava davvero, come nel caso di De Ruggiero, di ingenuità e di fede) che l’accoppiamento dei termini significasse una reale risoluzione delle contraddizioni reali», e proprio in questo, continua Garin, si svelerebbe il carattere «retorico» di questo idealismo. La considerazione di Garin ci spinge ad esaminare il lato più prettamente filosofico, o, meglio, politico-filosofico, degli scritti deruggeriani raccolti in questo volume, ben rappresentato dagli articoli raccolti dall’autore ne Il ritorno alla ragione (1946). Quest’opera era da lui considerata come «un riesame critico, a venti anni di distanza e a contatto di nuove, cruciali esperienze, dei giudizi politici contenuti nella mia Storia del liberalismo europeo» e che, come sintetizza R. De Felice, si raccoglie attorno a due temi principali: «quello concernente i limiti dello storicismo crociano e quello, solo apparentemente più legato all'attualità politica, concernente la natura non liberale del liberal-socialismo». L’introduzione di C. Genna ricompone in maniera puntuale il quadro intellettuale nel quale gli articoli si inseriscono. Ricalcando le parole di De Felice, scrive la curatrice: «In termini più specifici Il ritorno alla ragione rappresenta il proposito di porre a confronto cultura e politica al fine di elaborare una visione generale del mondo, con l’obiettivo di andare oltre l’orizzonte dell’idealismo e dello storicismo tradizionali». Una visione del mondo segnata, in realtà, da una «nostalgia di filosofie perenni e vertici metastorici» e rivelatrice della sconfitta di una folta schiera intellettuale che, detto con Garin, si era illusa di incarnare quel «risorgimento idealistico» che aveva caratterizzato la storia italiana per quasi cinquant’anni.
           Volendo semplificare la critica deruggieriana allo storicismo, in particolare a quello crociano, contenuta nel primo capitolo del volume, si può dire che, secondo De Ruggiero, la «mentalità storicistica» sarebbe eccessivamente «retrospettiva»: «essa conclude una fase della realtà storica, ma non ne apre una nuova; perciò essa sacrifica alla storia fatta la storia da fare» (p. 86), cioè la praxis, “la nuova storia”. Il filosofo rivendica, insomma, l’esigenza di un’azione pratica e morale dell’individuo, da aggiungere a quella teorica. Sebbene egli riconosca l’influenza svolta dallo storicismo, soprattutto nella sua «fase crociana» che si era costituito a difesa del razionalismo contro l’irrazionalismo e la barbarie della storia; sebbene si ponga alla ricerca dello «spirito schietto» dello storicismo di Croce al fine di recuperare una guida spirituale per la crisi sociale attraversata dall’Italia, De Ruggiero non rinuncia ad esprimere la propria insoddisfazione e il proprio disagio, palesando la necessità di andare «al di là dello storicismo», come titola emblematicamente un articolo del 28 gennaio 1945. Da una parte, compare l’insegnamento di Nietzsche della seconda considerazione inattuale, in cui il filosofo tedesco si scaglia contro lo sviluppo eccessivo del sapere storico e dal quale De Ruggiero assimila l’esigenza di porre l’educazione storica al servizio della vita come «fonte non storica»; d’altra parte, il richiamo alla trascendenza dell’eredità illuministica, che faceva propria «l’idea di una norma e una misura trascendente dei valori». In tal modo, nel contesto di un mondo che si stava sgretolando e che non corrispondeva più alle esigenze valoriali e ideali dell’uomo, De Ruggiero propone, recuperando i valori della ragione e della storia, l’ideale di un’umanità concepita come ente metastorico, dando vita così alla speranza di un idealismo rigenerato. Scrive nell’articolo sopraccitato: «L’esigenza di agire, di trasformare, d’innovare, nasce immediatamente dalla sproporzione e dallo squilibrio che abbiamo segnalato tra il reale e l’ideale, tra l’essere e il dover essere, tra lo spirito naturalizzato della storia e lo spirito che ritrova tutta la sua potenza rituffandosi nella viva fonte interiore» (p. 92). Questa «spezzatura», come suggerisce M. Mustè, «tra conoscenza e azione, ossia lo spazio del Sollen, del dover essere» rinvia «alla presenza trascendentale di un soggetto, che essendo origine e forma del contenuto storico», abbia «la perenne energeia di superarlo nel senso della praxis».
           Lo svolgimento del discorso deruggeriano ha dato luogo a numerose critiche e contestazioni, tutte riassumibili, per certi versi, in quella secondo la quale egli, volendosi mantenere autonomo sia dall’idealismo gentiliano, al fine di evitare la soluzione attualistica - avversata soprattutto per la sua ricaduta politica - sia dallo storicismo di Croce, «un pensatore» - come scrive G. Sasso in Filosofia e Idealismo- «al quale sempre, malgrado tutto, sentì di essere legato assai più di quanto le ragioni della filosofia gli consentissero», metta in atto uno sforzo, più abbozzato che realizzato, di superamento della stasi dell'idealismo stesso. Sempre con Sasso, si può riconoscere un «disagio teoretico» che caratterizzerebbe, al fondo, il pensiero del filosofo napoletano. Una «revisione idealistica», insomma, quella di De Ruggiero, che «non investì fino in fondo la radice teoretica dei problemi evocati». D’altro canto, con De Felice, non si può non riconoscere che il tentativo deruggeriano, da un lato, abbia «costituito l'unico tentativo in questo senso venuto dall'interno dell'idealismo italiano» e che, dall’altro, abbia «anticipato una serie di problemi che sono stati poi al centro del dibattito filosofico internazionale».
           Ritornando ora agli articoli raccolti ne Il ritorno alla ragione, degno di nota appare il secondo capitolo del volume, dedicato al rapporto intercorrente tra politica e cultura, capitolo che si apre con un importante brano che ricalca il primo articolo apparso su “La Nuova Europa” il 10 dicembre 1944, intitolato La crisi dell’irrazionalismo. Qui il sostenitore del ritorno alla ragione, definendo la guerra ancora in corso come una «guerra ideologica», un conflitto generato «da idee, da principi, da concezioni in largo senso filosofiche» (p. 59), si sofferma sulla impossibilità di considerarla una guerra dettata da ragioni economiche, come vorrebbe il materialismo storico. Uno scontro tra libertà e totalitarismo, tra ragione e irrazionalismo, ecco perché, al fine di evitare che la democrazia vincitrice possa far uso degli stessi strumenti del dispotismo, «bisogna che la ragione non sia una vana insegna atta a coprire ogni merce, ma che sia una reale forza di riflessione e di critica, capace di permeare l’irrazionale che è sempre in agguato dietro la soglia della coscienza» (p. 63). In questa direzione si colloca il già citato articolo L’internazionale della cultura e l’interessante paragrafo La cultura germanica e noi, nel quale De Ruggiero, dopo aver demolito le false voci che si alzavano «contro l’empia e nefasta cultura germanica e contro coloro che se ne sono fatti propugnatori o seguaci in Italia» (p. 71), auspicava un periodo della storia futura caratterizzato da una cultura di stampo internazionale, capace di superare i confini nazionali e di cooperare con la politica nella realizzazione di un processo di rinnovamento della società europea.
          Infine, nel terzo capitolo, Orientamenti politici, che costituisce la parte più cospicua della raccolta, sono affrontati principalmente gli argomenti impellenti della cronaca, con particolare attenzione alla critica svolta al liberal-socialismo. Il tema della libertà, assunto come valore fondamentale tra le varie ideologie e formazioni politiche che si andavano delineando nell’orizzonte politico italiano del secondo dopoguerra, è declinato in questi paragrafi in tutte le sue accezioni. E così, per citarne solo alcune, in Definizioni della libertà De Ruggiero opera una significativa distinzione tra libertà positiva e libertà negativa e, rivolgendosi, non senza una certa ironia, agli «amici della libertà», scrive: «si sforzino di intendere la libertà non come un angusto e statico possesso, ma come un’ansia e uno slancio di liberazione, e allora si accorgeranno che, nel nome di essa, c’è più da acquistare che da conservare» (p. 150). Mentre in La politica e le masse, avverte il crescente pericolo costituito dal concetto di massa, che proprio allora iniziava a farsi strada e che, se nella dittatura fascista aveva assunto un ruolo meramente decorativo, nella democrazia in costruzione poteva rappresentare l’insidia della demagogia e del qualunquismo. E ancora nel paragrafo Le due città, che richiama il De civitate Dei di S. Agostino, con il quale si chiude Il ritorno alla ragione, De Ruggiero, dopo aver ammesso l’esistenza di due città (quella materiale e quella ideale), sottolinea come il rapporto tra le due non debba essere pensato nei termini di una opposizione, alla maniera di un mero realismo, quanto piuttosto di un influsso dell’una sull’altra. Si può leggere, infatti, in riferimento alla città ideale: «Chi pensa che una tale città debba essere realizzata domani o in qualunque momento del tempo ignora la vera funzione dell’ideale nella storia, che non è quella di tradursi in realtà immediata, ma di essere l’anima, la forza interiore di tutte le realizzazioni empiriche» (p. 247). Tra l’altro, lo stesso articolo non rinuncia ad un riferimento al progetto politico più importante di quegli anni, fortemente sentito da chi, come De Ruggiero, si era impegnato direttamente per il rinnovamento politico dell’Italia (basti pensare alla sua attività di Ministro della Pubblica Istruzione nel I Governo Bonomi), cioè quello relativo alla nascita dell’Assemblea Costituente.
          E’ necessario, in conclusione, spendere qualche parola sull’ultima parte del volume di C. Genna, dedicata ai corsivi di De Ruggiero, nei quali, ancor più, emerge l’eccezionalità della brillante prosa giornalistica del filosofo. Il corsivo, come precisa la curatrice, si distingue dall’articolo per la brevità e il carattere polemico e incisivo, molto spesso ironico, con il quale si è soliti fare un commento immediato su un evento o un personaggio. I pezzi polemici deruggeriani, oltre ad accompagnare in alcuni casi gli stessi articoli per rafforzare l’argomento trattato, presentano i temi più vari, dalla letteratura alla politica, e mostrano la capacità dell’autore, nonostante il punto di partenza degli studi filosofici, di esprimersi con chiarezza e semplicità, senza mai trascorrere nella banalità. Ne è un esempio un corsivo, intitolato ironicamente Ortodossia, nel quale De Ruggiero, in occasione della relazione fatta da Pietro Nenni al Consiglio nazionale del Partito socialista nel 1945 e a proposito della dottrina del partito e dei «revisionismi finiti male», scrive: «Ciò non vuol dire che Marx debba essere rimesso in soffitta; lo si studi, lo si interpreti, lo si commenti quanto si vuole; ma, vivaddio, non se ne faccia un testo sacro e intangibile» (p. 348). Altro pezzo degno di nota è quello intitolato Il peccato e i peccatori del 4 febbraio 1945, nel quale, a proposito del rapporto con il fascismo e i fascisti,  De Ruggiero, rinunciando alla lotta ideologica, confessa il proprio credo spirituale risalente al Cristianesimo e afferma di voler «affrontare concetti piuttosto che individui» e di «combattere il peccato anziché i peccatori» (p. 283).
          Chi si occupi di filosofia italiana non può eludere questo volume dedicato a De Ruggiero, personalità di spicco della cultura italiana, che si è distinta non soltanto per il suo impegno politico e per le sue ricerche filosofiche, ma anche e soprattutto, come suggerisce E. Garin, per aver dato voce ad un «imperativo morale» che può tuttora «suonare valevole per tutti: il rispetto dell’uomo per l’uomo; il riscatto dell’uomo da ogni forma di oppressione, di tirannide, di sfruttamento; l’inalienabilità assoluta della libertà e dignità dell’uomo».

PUBBLICATO IL : 31-12-2010
@ SCRIVI A Federica Pitillo