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Francesco Maria Pagano, Saggi politici , Vivarium, 2004
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di Pina Totaro |
Francesco Maria Pagano è autore poco noto agli studiosi. La pregevole edizione dei suoi scritti, di cui qui si presentano i primi due volumi [ Saggi politici. De’ principii, progressi e decadenza delle società. Edizione seconda, corretta e accresciuta (1791-1792), a cura di Luigi Firpo e Laura Salvietti Firpo, Napoli, Vivarium, 1993; Saggi politici. Luoghi e varianti della prima edizione (1783-1785) rispetto alla seconda (1791-1792) e altri scritti etico-politici, a cura di Laura Salvietti Firpo, Napoli, Vivarium, 2004], costituisce un importante contributo alla diffusione e alla circolazione del pensiero di questo filosofo, giurista e uomo politico dell’Italia del Settecento.
Nato in Basilicata, a Brienza, nel 1748, Pagano fu condannato a morte nel 1799 per aver fatto parte del governo provvisorio della Repubblica Napoletana, per la quale aveva redatto un progetto di costituzione. I Saggi politici, la sua opera principale, furono pubblicati in due volumi nella prima edizione del 1783-1785 e in tre volumi in una seconda edizione del 1791-1792. Fedele all’insegnamento di Giambattista Vico le cui idee tentò di conciliare con la filosofia di Rousseau e del sensismo illuminista, Pagano rinviene quali tratti caratteristici dell’indole umana, un sostanziale impulso a recuperare la libertà propria dello stato di natura, e, al tempo stesso, una tendenza inesauribile nell’uomo al vivere in società, ad associarsi e a partecipare alla vita pubblica, nella quale vige quella stessa morale «che regola l’azioni de’ privati» e che non è «punto diversa dalla politica, che è la morale degli Stati». Queste opposte tensioni generano una condizione di continua instabilità che determina secondo Pagano, in sede di governo politico, un destino di decadenza e di corruzione, e si traduce, quanto alla natura intima dell’uomo, in un’aspirazione alla libertà e all’assenza di leggi, mai del tutto appagabile. Da qui la necessità di contrastare ogni forma di dispotismo e di tirrania, ma, anche, la volontà di mitigare quelli che gli sembrano gli eccessi del riformismo illuminato, che finiscono talora col forzare le libertà individuali, traducendosi nell’esercizio di metodi coercitivi.
Si deve a Luigi Firpo l’ideazione nei primi anni Ottanta del progetto di pubblicare l’intera raccolta degli scritti di Pagano, con il sostegno dell’Istituto Italiano per Studi Filosofici di Napoli. Il piano delle Opere complete prevedeva quattro volumi, comprendenti, il primo, i Saggi politici nell’edizione 1791-1792, il secondo, i Saggi politici (nell’edizione 1783-1785) e altri scritti etico-politici, il terzo, gli Scritti giuridici e, il quarto e ultimo volume, gli Scritti letterari e la Bibliografia. Al lavoro di Firpo si è poi affiancato quello di Laura Salvietti Firpo, curatrice del secondo tomo dopo l’edizione critica del primo volume dei Saggi pubblicata nel 1993, ma portata a termine già dal 1988 dallo stesso Firpo, cui si deve anche una Nota rimasta incompiuta.
Il volume del 1993 presenta anche il testo di una conferenza tenuta da Luigi Firpo il 22 maggio 1982 nel Real Teatro di Corte di Napoli, in occasione del Convegno su «Gli intellettuali napoletani dall’Illuminismo riformatore alla rivoluzione del 1799». Nel prezioso contributo si ricostruiscono la figura e la fortuna di Pagano, la cui opera conobbe un’ampia circolazione prima di cadere nel completo oblio a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Nei Saggi riecheggia tutta la tradizione letteraria appresa da Pagano negli anni trascorsi presso l’Università di Napoli ove, da studente, frequentò le lezioni di quel Gherardo Degli Angeli, cultore di retorica e di poesia, dal quale forse assunse una particolare concezione dell’arte – lo ha sottolineato Laura Salvietti Firpo – intesa come «funzione della vita nelle sue espressioni individualistiche e collettive, e quale mezzo di educazione ed elevazione dell’uomo e del cittadino». Nel Saggio del gusto e delle belle arti, in particolare, l’arte assume infatti un ruolo che non è soltanto catartico, ma che si segnala anche per la sua funzione sociale e civile. Discepolo di Antonio Genovesi, Pagano si rivolse ben presto allo studio della filosofia politica che Genovesi veniva coltivando dopo aver abbandonato gli studi di teologia e metafisica. Sulla scia di questo insegnamento e di quello di tutta la tradizione vichiana, Pagano fece propri la passione politica e l’impegno civile, mostrando che «ogni studio che non ha fondamento nella natura e non mira alla soda utilità degli uomini è un’occupazione vana e nocevole». Da qui la necessità di abbandonare la ricerca teorica e di rivolgersi al mondo, tutto terreno, delle passioni e dei bisogni degli uomini. Da qui, anche, quella fiducia quasi cieca, e che verrà smentita soltanto negli ultimi anni di attività e di vita di Pagano, nella possibilità di un dialogo tra filosofi e regnanti, tra chi detiene il potere e chi fa cultura e conosce e interpreta i desideri e le aspettative generali, promuovendo e appoggiando politiche di riforme.
Nel 1783, all’apparire del primo volume dei Saggi, la prosa è ancora troppo complessa e articolata, quasi stridente con la chiarezza dei principi che vi sono enunciati; Pagano provvederà a rivedere l’intero testo mettendo a punto una seconda stesura, molto diversa dalla precedente anche nell’impostazione dei singoli saggi e nell’architettura complessiva. Nonostante l’apparente autonomia dei vari scritti che compongono il libro, i saggi presentano un unico motivo ispiratore, un filo conduttore comune che implica una nuova impostazione della politica e dell’etica nello spirito dell’illuminismo: «La morale e la politica – scrive Pagano – deve avere per soggetto la conoscenza degli uomini; la sola storia dei suoi progressi è il lume che siffatta conoscenza dar ci può». Subito accusato di fatalismo, pantesimo, materialismo, il testo dei Saggi fu messo definitivamente all’indice nel 1795 nella seconda edizione. Significativo l’elenco degli argomenti trattati nei singoli discorsi: una introduzione generale alla storia cosmica dell’uomo e del mondo, una illustrazione dello stato ‘selvaggio’, una descrizione dello ‘stabilimento’ delle prime società, e, ancora, «del progresso delle barbare società», «dei princìpi e dei progressi delle società colte e polite», «del gusto e delle belle arti», sino all’ultimo dei soggetti affrontati, di marca chiaramente vichiana ispirato alla delineazione di cicli storici, «della decadenza delle nazioni». Ma già nell’Introduzione alla raccolta si delinea la concezione di una storia dell’umanità interpretata alla luce dei progressi della nuova scienza, «dopo che la notte della barbarie fu discacciata nell’Europa dalla novella luce delle rinate lettere», dopo, cioè, che la filosofia fu ‘richiamata’ «dal cielo alla Terra, da’ pianeti agli affetti umani, dagli astri a’ corpi civili». In questo rinnovato interesse per le scienze non disgiunte dagli studi umanistici, fisici e matematici dell’età moderna definiscono un concetto di natura svincolato da preoccupazioni teologiche e impedimenti dottrinali e «mentre maneggiano il compasso, drizzano il telescopio al cielo, scavano le viscere delle più alte montagne, considerano la scintilla elettrica: hanno il Contratto sociale nelle mani, si approfondano con Tacito nell’animo umano, si sublimano con Aristotele e Platone».
La seconda edizione dei Saggi politici, pubblicata qui come primo volume delle Opere, testimonia dell’adesione di Pagano alle dottrine scientifiche, fisiche, geologiche di conio più recente: la storia biblica viene riletta e interpretata con metodo critico e lo stesso diluvio di cui si parla nelle Scritture perde il suo valore di unicità e di evento determinante ai fini della storia dell’umanità per venire accostato ad analoghe catastrofi naturali risalenti a epoche ben più remote. La presunta antichità della nostra civiltà, anzi, viene quasi smentita se confrontata con quella degli Indi, dei Caldei, dei Persiani o degli Egizi, i quali godevano «della più brillante luce della coltura e civile grandezza» quando ancora «gl’imperi di questa parte occidentale ebbero cominciamento». Si rileva qui quasi la traccia di una velata critica alla Scienza nuova di Vico, il quale è definito certamente ‘ingegnosissimo’, ma i cui «grandi sforzi […] non potranno giammai annebbiare lo splendore di questi antichi popoli, ch’ei tentò d’involgere nella scura notte della barbarie».
Tra la prima e la seconda edizione dei Saggi emergono differenze rilevanti, rifacimenti, aggiunte e anzitutto un’articolazione più strettamente aderente ad un preciso programma storico-politico. Nel corso delle diverse sezioni dell’opera, la presenza di alcune fonti esplicitamente citate colpisce l’attenzione: il nome di Machiavelli compare sovente e ad esso l’autore si rivolge come all’‘acutissimo’ filosofo, un aggettivo usato anche da Spinoza, il quale nel suo Tractatus politicus, analizzando i danni prodotti dalla libido dominandi, afferma di aver trovato analoga condanna della tirannia negli scritti dell’«acutissimus Machiavellus». Tra le numerosissime fonti citate, antiche, medievali e coeve – tanto vasto è il panorama delle letture e degli ‘autori’ cui Pagano fa puntuale e costante riferimento –, è possibile reperire il Saggio sull’uomo (1767) di Helvetius, le Epoche della natura (1780) di Buffon, la Storia dell’astronomia (1775-1782) di Bailly, oltre, ovviamente, alle opere di Bacon, Hobbes, Grozio, Descartes, Locke e Rousseau.
La pubblicazione dei Saggi politici costituisce un prezioso strumento per la comprensione di un’intera epoca e, in particolare, del pensiero e dell’attività di un autore che ha contribuito con la sua opera alla realizzazione di un preciso programma politico, proiettando la cultura italiana nel panorama europeo della Repubblica delle Lettere. Alla creazione di una dimensione cosmopolita Pagano ha poi finalizzato alcuni interventi decisivi ai fini dell’istituzione stessa di un regime democratico: quale presidente del Comitato Legislativo, fu autore della legge che sanciva l’abolizione della tortura e di quella che cancellava le imposte sulla farina e sul pesce, favorendo i ceti più disagiati. Eliminò il divieto di matrimonio tra cittadini di ceti diversi e stabilì, con una riforma radicale improntata a principi di uguaglianza ed equità, che «nello Stato democratico non si riconoscono né disparità di natali, né quei particolari riguardi, per li quali si sostenevano sotto il governo tirannico l’impedimenti matrimoniali».
Una serie di utili tavole ed elenchi di varianti e lezioni differenti correda il secondo volume dei Saggi, consentendo il confronto tra le diverse edizioni. |
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