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Piero Martinetti, La religione di Spinoza. Quattro saggi, a cura di A. Vigorelli , Ghibli, 2002
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di Claudia Melica |
Il recente panorama filosofico italiano sembra essere segnato da un deciso ritorno di interesse per Piero Martinetti (1872-1843). Sul finire del secolo scorso si è assistito, infatti, ad una rinascente attenzione per le sue opere. La ristampa nel 1987 della sua prima e fondamentale opera, l’Introduzione alla metafisica (1904) ha dato l’avvio ad una lunga serie di pubblicazioni martinettiane, in alcuni casi postume (si veda per esempio, solo per citarne alcune: Il Vangelo e L’amore), grazie alle quali si può oggi avere un quadro più completo e dettagliato del suo pensiero e valutare più favorevolmente il suo idealismo.
Tra queste recenti pubblicazioni va menzionata quella che reca il titolo P. Martinetti, La religione di Spinoza. Quattro saggi, per la cura di Amedeo Vigorelli, apparsa nella collana “Spinoziana” delle Edizioni Ghibli (Milano 2002). Il curatore del volume vanta una solida preparazione su Martinetti, essendo egli l’autore sia di una delle monografie italiane più documentate ed aggiornate sul filosofo canavesano, sia l’autore di numerosi saggi sul tema.
La passione e la competenza con cui Vigorelli si dedica da anni a Martinetti è testimoniata dall’ampia e dettagliata Introduzione (pp. 9-54) che egli premette al volume da lui curato. Il testo martinettiano, che viene proposto da Vigorelli, è in realtà una raccolta di saggi composti tra il 1916 e il 1939 e pubblicati negli stessi anni per lo più nella «Rivista di Filosofia» da lui diretta all’epoca. Si tratta, perciò, dell’interpretazione di Spinoza che Martinetti fornì in varie occasioni nel corso di tutta la sua speculazione filosofica, dal periodo giovanile a quello maturo. Insieme a Kant, Schopenhauer e Plotino, Spinoza rappresentava per Martinetti uno dei suoi autori prediletti e al filosofo olandese egli aveva dedicato anche un commento all’Ethica (1928), e un’ampia monografia pubblicata postuma solo recentemente (1987). Due di questi saggi (La dottrina della conoscenza; Modi primitivi e derivati) qui raccolti furono, in verità, rielaborati e riutilizzati da Martinetti in occasione proprio della stesura della monografia dedicata a Spinoza, rimasta inedita, come si è detto, alla morte del filosofo piemontese. Essi costituiscono i capitoli I e III del volume su Spinoza. Il terzo (Problemi religiosi), redatto in vista del capitolo X della monografia spinoziana, fu invece riscritto e acquisì una forma definitiva per la pubblicazione come saggio a sé. Infine, il quarto di questi saggi (La dottrina della libertà) andò a formare una parte di una delle sue opere più importanti: La libertà (1928). Tutti questi lavori martinettiani erano già stati raccolti e stampati nel volume, oggi introvabile, dal titolo Saggi filosofici e religiosi, per la cura di Luigi Pareyson (Torino 1972). Tuttavia, il riproporre questi testi in siffatta pregevole e più recente raccolta, introdotta ampiamente e curata da Vigorelli, costituisce certamente un merito, che va finalmente a colmare una lacuna nella bibliografia degli scritti italiani su Spinoza.
Il filosofo olandese è importante per Martinetti per definire «l’indirizzo metafisico del suo pensiero», data «la continuità tra le successive riletture spinoziane di Martinetti e lo stretto legame» con tale indirizzo. Spinoza, come mette bene in luce Vigorelli, è per Martinetti un «autentico mistico della ragione» ed è proprio alla sua «fisionomia religiosa» che il filosofo piemontese sembra essere particolarmente attento (p. 19). Quella di Martinetti come quella di Spinoza è proprio una «religiosità di un razionalista» o una religione filosofica (p. 20).
Tra i temi spinoziani trattati da Martinetti in questi quattro saggi spiccano alcuni di altissimo interesse. Il filosofo italiano indaga nel primo lavoro la teoria della conoscenza e soprattutto il metodo che la sostiene. Come chiarisce Vigorelli nella sua Introduzione, la metodologia spinoziana è, per Martinetti, non una «pura deduzione razionale», ma semmai «una ‘costruzione’ ipotetica» che si avvale all’inizio del processo conoscitivo dei dati dell’esperienza (p. 41). Martinetti, infatti, «non discute l’importanza del metodo geometrico applicato da Spinoza all’esposizione della sua metafisica: lo giudica anzi solidissimo. Ma il valore della deduzione dipende dalla validità delle definizioni e delle leggi assiomatiche, via via ottenute dai principi più generali (assiomi), che fungono da punto di partenza della dimostrazione, e queste non possono prescindere dall’esperienza» (p. 42). Egli ricostruisce, allora, le fasi dell’applicazione del metodo matematico in filosofia nell’arco di tempo che va dagli inizi del Cinquecento fino a metà del Settecento (pp. 90-95). Il caso esemplare di Descartes è abbondantemente illustrato, ma sono citati anche al proposito autori e opere meno note, come per esempio: l’Institutio theologica di Proclo nella traduzione di Patricio (1583) o l’opera Methodus inveniendi argumenta (1663) di Geulinx (pp. 90-91). L’interpretazione di martinettinettiana di Spinoza mostra la sua originalità quando deve spiegare attraverso quali delle due vie (metodo induttivo o deduttivo) del pensiero è possibile acquisire una conoscenza certa. Non si tratta, come si è solitamente interpretata la filosofia di Spinoza, di un sapere al quale si giunge semplicemente attraverso aride e formali deduzioni, ma invece di un sapere che «comincia senza alcun dubbio dal particolare e riesce per una serie di sintesi induttive alle verità più generali» (p. 95). Solo una volta acquisito questo primo «complesso sistematico di conoscenze», allora «è possibile riesporre la verità nell’ordine inverso per una serie di deduzioni analitiche» (ibidem). Quindi, la conoscenza si muove dal particolare per giungere all’universale, perché è solo riflettendo sull’esperienza che «la ragione risveglia in noi quella realtà più profonda che sono i principi razionali delle cose» (p. 96). È naturale perciò che la filosofia sia «esplicazione logica del dato empirico» e, in quanto tale, presupponga che «la realtà si possa risolvere in un sistema logico» (p. 98). Giustamente Vigorelli rileva però che «il richiamo all’esperienza non ha qui un significato ‘empiristico’: la sua funzione è solo di ‘risvegliare’ la vis nativa dell’intelletto alla formulazione dell’idea vera» (pp. 42-43).
Una seconda questione di particolare importanza è toccata da Martinetti nel saggio dedicato a La dottrina della libertà in Spinoza. In quelle pagine, il filosofo italiano spiega diffusamente come la concezione della libertà spinoziana non debba essere confusa con il libero arbitrio o la libertà d’indifferenza e come, per contro, il determinismo spinoziano non conduca al fatalismo. Sebbene l’agire umano sia regolato necessariamente, è presente in Spinoza un’argomentazione a favore della libertà dell’uomo. Si tratta solo di intendere il singolare concetto di libertà. Il pensiero di Spinoza al proposito si fonda, secondo il filosofo italiano, sulla negazione del concetto di una facoltà della volontà. «Non vi è una volontà diversa da questa o quella volizione: la volontà è solo un’idea astratta che si è costituita dagli atti singoli di volontà» (p. 103). Invece, le stesse volizioni umane che crediamo operino per un atto della nostra volontà agiscono piuttosto mosse da una libera necessità interna. Di quale tipo sia questa necessità e come essa si possa chiamare libertà è spiegato diffusamente da Martinetti. Egli dimostra come nel filosofo olandese l’uomo può dirsi essere libero e razionale (p. 110), poiché libertà significa «partecipazione alla necessità divina» (p. 106) e, nel contempo, partecipazione alla ragione che è fondamento di tutte le cose. Il male consiste, quindi, «nell’essere schiavo dell’ignoranza» (p. 113) e non esiste, di conseguenza, nell’interpretazione martinettiana di Spinoza indifferenza al male o al bene. «Nell’ordine assoluto delle cose» il male e l’imperfezione scompaiono poiché queste sono solo frutto dell’illusione dei sensi. Contrariamente «il compito nostro è di agire sulla nostra conoscenza e di dissipare quell’ignoranza che è causa anche dell’imperfezione apparente delle cose» (ibidem). Pertanto «l’affermazione della necessità assoluta delle cose non è l’affermazione di una fatalità cieca ed ingiusta» (ibidem), poiché quando l’uomo è in grado di penetrare la realtà di tutte le cose, egli «vede l’essere suo in unità con la sostanza divina». Ciò accade anche perché egli «vede tutte le altre cose nel loro aspetto eterno, in quanto procedono secondo una necessità razionale da Dio» (p. 108). Solo in quel momento, la sua necessità è la stessa dell’azione divina ed «è una necessità provvidenziale con cui si confonde la sua volontà e che perciò è da lui sentita come libertà» (ibidem).
Tali argomentazioni di grande spessore filosofico-teoretico dimostrano non solo quale conoscenza Martinetti avesse di Spinoza, ma la singolarità della sua rilettura «che pone al centro la metafisica religiosa anziché il panteismo naturalistico» (p. 36). |
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