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Paolo De Lucia, L’istanza metempirica del filosofare. Metafisica e religione nel pensiero degli hegeliani d’Italia , Accademia Ligure di Scienze e Lettere, 2005
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di Pierluigi Valenza |
Questo lavoro di Paolo De Lucia trae meritoriamente fuori dal cono d’ombra molteplici momenti del dibattito nella filosofia italiana del secondo Ottocento sul senso della filosofia di Hegel, più in generale sul senso complessivo della filosofia classica tedesca della quale anche al di fuori dell’Italia, almeno fino al ritorno al kantismo, la filosofia di Hegel era stata vista come culmine e sintesi, e in rapporto a questa sul senso della filosofia italiana all’interno dello sviluppo del pensiero moderno. Nelle discussioni e nelle polemiche tra hegelisti ortodossi ed hegelisti critici la filosofia italiana dei primissimi anni del regno unitario fa il punto su se stessa e sul suo rapporto con il pensiero europeo, volta a volta in termini di opposizione o di continuità, assumendo in questo come riferimento fondamentale i maggiori pensatori della prima metà dell’Ottocento, Rosmini e Gioberti. Questo riferimento alle prospettive di pensiero di Rosmini e Gioberti guida, come chiave di lettura, l’analisi che De Lucia fa della filosofia italiana in un arco di tempo che va da Spaventa a Gentile, con un intento programmatico che l’Autore formula in questi termini: «Questo libro si propone appunto di accertare se ed in che misura tali prospettive, di ordine metafisico e religioso, hanno influito sulla costituzione dei sistemi di pensiero dei principali hegeliani d’Italia, nell’arco cronologico che va da Spaventa a Gentile; se, cioè, detti sistemi rappresentino unicamente altrettante varianti dell’idealismo trascendentale sorto in terra tedesca, o viceversa si facciano portatori anche di istanze ontologiche e trascendentistiche che riprendano in qualche modo le tradizioni metafisiche e religiose del pensiero italiano» (pp. 15-16). Che la verifica della tesi svolta lungo i sei capitoli che compongono il libro approdi al secondo corno dell’alternativa è preannunciato nello stesso sottotitolo (Metafisica e religione nel pensiero degli hegeliani d’Italia) e fissato in sede bilancio, con un’apertura alle propaggini di questa stagione nel pensiero novecentesco italiano: «nell’orizzonte teoretico degli hegeliani d’Italia, le prospettive filosofiche riconducibili alla tradizione metafisica e religiosa, hanno interagito con l’ispirazione idealistica del loro pensiero, animandolo di un’istanza trascendentistica, la quale – in epoca successiva – si renderà evidente in quegli esiti spiritualistici dell’attualismo, riconoscibili nel pensiero di filosofi come Armando Carlini, Augusto Guzzo, Michele Federico Sciacca, Luigi Stefanini, Felice Battaglia» (p. 187).
Detto quindi della tesi guida, dell’intento programmatico del lavoro e dei termini cronologici entro cui si muove, vediamo nello sviluppo dei diversi capitoli su quali specifici aspetti del dibattito filosofico italiano viene portata l’attenzione. Alcuni di questi capitoli, ricorda De Lucia nella sua introduzione, rielaborano e rifondono lavori precedenti e in talune minuzie d’analisi il lavoro risente di questa base precedente con qualche rischio di appesantimento e dispersione, compensata in ogni caso dal ripercorrere analiticamente contenuti di opere e di saggi per lo più negletti non soltanto dal lettore colto, ma anche dalla ricerca storiografica, come non mancano di puntualizzare l’Autore stesso e Luciano Malusa nella prefazione che apre il lavoro.
Il primo capitolo prospetta uno sguardo d’insieme sul confronto tra hegelismo ortodosso e hegelismo critico (L’istanza metempirica del pensiero. Metafisica e religione nell’hegelismo italiano dell’Ottocento), un confronto che si sviluppa nella secondà metà del XIX secolo facendo segnare un deciso salto di qualità rispetto all’età della Restaurazione. Già qui si delinea uno dei temi chiave della definizione di se stessa della filosofia italiana: il tema, cioè, della continuità o dell’opposizione della filosofia italiana alla filosofia europea moderna. Nelle lezioni del 1861-62 tenute a Napoli da Bertrando Spaventa e ripubblicate da Gentile con il titolo La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, viene sostenuta la tesi della novità della filosofia del Rinascimento italiano perduta poi in Italia con la Controriforma ma sviluppata nel pensiero europeo e che si riaffaccerebbe con le «istanze trascendentali» di Galluppi, Rosmini e Gioberti (cfr. pp. 19-20), tesi contrastata da Augusto Vera e da Raffaele Mariano, i quali invece non colgono alcun elemento di contatto tra la filosofia classica tedesca e il pensiero italiano della prima metà dell’Ottocento. Dalle relative polemiche e da un’analisi più dettagliata del pensiero di Sebastiano Maturi e Pasquale D’Ercole, De Lucia ricava persuasivamente la presenza, anche nell’hegelismo italiano, di importanti interessi metafisici e religiosi.
Il secondo capitolo (Criticismo, idealismo e filosofia italiana. Spaventa e Jaja versus Rosmini) si sofferma su uno dei momenti interpretativi che segnano il dibattito e l’intero sviluppo della filosofia italiana dell’epoca: la tesi di Spaventa di una sostanziale convergenza tra le filosofie della conoscenza di Kant e Rosmini, che porta al topos di Rosmini come «Kant italiano». Tesi che, argomenta De Lucia, pur non negando l’influenza del pensiero kantiano sul pensatore roveretano, non è sottoscrivibile: questo si può affermare non soltanto sulla base di un confronto con Kant, ma anche seguendo le linee della critica a Hegel nella Logica di Rosmini, pubblicata nel 1853, che mostra la non adesione del roveretano alla visione trascendentalistica e idealistica della filosofia tedesca. La replica spaventiana in Hegel confutato da Rosmini (1855) non arriva a far fronte al rilievo di fondo rivolto da Rosmini alla logica hegeliana, anche se non si può parlare, con riferimento a Rosmini, di una discussione che faccia veramente i conti con il dettato del pensiero hegeliano (cfr. pp. 59-60).
Su questo dibattito De Lucia innesta un’impegnativa e interessante trattazione dell’interpretazione che Donato Jaja dà del pensiero di Rosmini. A differenza di Spaventa, che non intese confrontarsi con la Teosofia di Rosmini, Jaja dà a quest’opera il giusto rilievo nell’affrontare le linee fondamentali della speculazione rosminiana. In un impianto che, fondamentalmente e nei suoi esiti, rimane spaventiano nell’identificazione del pensiero con l’essere e nel riportare questo a conoscenza, il confronto di Jaja con Rosmini viene tratteggiato come per nulla lineare, anzi segnato da oscillazioni nella valutazione di Kant e Rosmini, tanto che in particolare in Ricerca speculativa. Teoria del conoscere (1893) Jaja adombra nella reciproca implicazione di ontologia e gnoseologia una superiore capacità di risoluzione del problema del rapporto del pensiero con l’essere in Rosmini che in Kant (cfr. pp. 83-84). Questa esposizione restituisce nel suo spessore e nei suoi limiti l’apporto di Jaja alla discussione sul rapporto tra la filosofia italiana e la filosofia europea, che oltre che nel suo valore intrinseco va valutato anche in vista della recezione in Gentile, allievo di Jaja e che però non continua la linea del maestro tornando all’idea spaventiana di Rosmini come «Kant italiano» (cfr. p. 61).
Nel terzo capitolo (Soggetto ed essere. La dottrina dell’intuito nella critica di Spaventa a Gioberti) l’Autore tratta dell’interpretazione spaventiana di Gioberti: qui il confronto è soprattutto con il lavoro interpretativo di Alessandro Savorelli, del quale De Lucia condivide le conclusioni storiografiche nel retrodatare almeno allo scritto del 1854 La filosofia neo-cristiana e il razionalismo in Alemagna una valutazione più favorevole di Gioberti da parte di Spaventa, non limitandola alla lettura delle Postume. De Lucia diverge invece da Savorelli nel trovare fondata la rivalutazione di Gioberti nel quadro della teoria circolare del rapporto tra filosofia italiana e filosofia europea nell’opera di Spaventa, pur dando ampiamente conto della critica spaventiana alla teoria giobertiana della conoscenza (pp. 116, 118).
Il quarto capitolo attraverso l’esposizione dell’hegelismo di Augusto Vera (Identità e conseguenze dell’assoluto. La filosofia della religione di Augusto Vera) porta ulteriori elementi a sostegno della tesi dell’orientamento religioso della filosofia italiana: Vera aderisce pienamente alla filosofia dell’assoluto di Hegel, ma nella sua assunzione del Dio della tradizione ebraico-cristiana in chiave immanentistica si può vedere un’ispirazione che De Lucia definisce, lato sensu, teologica, e che determina una tensione rispetto al suo stesso hegelismo.
Ad un allievo di Vera, Raffaele Mariano, è in parte dedicato il quinto capitolo (Critica dottrinale e critica filosofica. Mariano, Gentile e la storia della Chiesa), nel quale il rapporto tormentato di quest’ultimo con la Chiesa cattolica, e la conseguente valutazione del rosminianesimo e del modernismo è messo a confronto con la visione di Gentile. Il percorso di Mariano appare tormentato, teso tra la visione di una sostanziale incompatibilità della Chiesa con l’epoca moderna, la critica al modernismo e istanze di riforma della Chiesa attente a cogliere alcuni segni di novità nel pontificato di Leone XIII. Ha buon gioco Gentile nel rilevare la contraddittorietà della posizione di Mariano (cfr. p. 165) e tuttavia, nella diversa valutazione da parte di Gentile delle potenzialità del modernismo, si può vedere una convergenza tra le due prospettive, di Mariano e Gentile, nella convinzione di quest’ultimo del destino di chiusura del cattolicesimo e quindi di estraniazione dalla cultura moderna (cfr. p. 166).
Non estranea a questo confronto è la disputa, seguita nel sesto e ultimo capitolo (Idealismo e spiritualismo. La disputa protonovecentesca sul “vero Rosmini”) sul «vero Rosmini» e il «Rosmini vero», vale a dire sul significato storico e su quello teoretico della filosofia di Rosmini. De Lucia segue analiticamente la serie delle discussioni avviata dalla pubblicazione, nel 1903 del libro di Carlo Caviglione Il rimorso. Saggio di psicologia e metafisica, continuata dalla recensione nel 1906 sul quarto numero de «La Critica» di Lombardo Radice e dalla risposta sullo stesso numero di Caviglione, dal titolo Qual è il vero Rosmini?, cui presero poi parte i maggiori filosofi italiani: Gentile, Carabellese, Martinetti, Croce, Varisco, oltre ai seguaci di Rosmini. L’analisi delle tesi in gioco illustra le ragioni di coloro che si opposero alla riduzione gentiliana del valore di Rosmini ad una rigorizzazione della gnoseologia moderna e però anche il chiaro prevalere della visione gentiliana sul piano storico: il volume di Gentile del 1898, Rosmini e Gioberti, «offrendo la formulazione più compiuta e stringente di quell’interpretazione di Rosmini come del “Kant italiano”, che Bertrando Spaventa aveva iniziato a prospettare, ha segnato la ripresa dell’interesse per il pensiero del filosofo trentino; dopo Gentile, tutti i tentativi di individuare il senso profondo della speculazione rosminiana, saranno messi in atto avendo presente – come punto di riferimento e come polo dialettico di confronto – la sua interpretazione, il problema del superamento della quale non è ancora del tutto alle nostre spalle» (p. 183).
Con il che si chiude il cerchio che il volume voleva descrivere: attestata la tesi di un’ispirazione religiosa e metafisica nella filosofia italiana della seconda metà dell’Ottocento, l’ipoteca gentiliana sulla lettura di questa nostra vicenda intellettuale appare nella sua attualità, come visione con la quale, storiograficamente e teoreticamente, fare ancora i conti nel venire in chiaro sulla natura del pensiero italiano nel suo rapporto con il criticismo e l’idealismo. |
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