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Paolo Favilli, Marxismo e storia. Saggio sull’innovazione storiografica in Italia (1945-1970) , Franco Angeli, 2006
di Carlo Scognamiglio

Il giudizio su quest’ ultimo lavoro di Paolo Favilli non può che essere positivo. Analisi storiografica, problematizzazione filosofica e riferimenti ben documentati costituiscono gli ingredienti principali di questo importante studio sul marxismo italiano.
Il libro di Favilli infatti non si risolve in una ricostruzione dell’ influenza del pensiero di Marx sulla storiografia nostrana, ma apre un ragionamento tutt’altro che inattuale sul marxismo italiano, e per altri versi sulla questione del rapporto tra marxismo e storia, dimostrando competenza filosofica e capacità di “controllo” rispetto alle principali questioni del dibattito storiografico contemporaneo. Alcune delle tematiche ricorrenti nel ragionamento impostato dall’autore consistono nella questione della centralità del dato economico nell’indagine stroriografica, del rapporto tra storia politica e storia sociale, nonché della distinzione tra storia e politica.
La storia della storiografia italiana ha forti radici nella storia della filosofia. Labriola, Croce e Gramsci sono indicati come riferimenti permanenti e ineludibili dello sviluppo delle scuole storiche prima, durante e dopo il ventennio fascista. Il contributo di Labriola viene evocato non solo per l’importante funzione “pedagogica” del filosofo cassinate nella formazione degli intellettuali marxisti in Italia, ma anche per la sua straordinaria capacità di mettere a fuoco l’elemento di innovazione che il marxismo introduce nel lavoro dello storico: l’economia politica.
E’ proprio a partire dalla forza dell’elemento economico nella formazione degli intellettuali marxisti che Favilli apre il suo lungo ragionamento su Labriola. Lo sforzo del Cassinate di potenziare le proprie conoscenze nell’ambito di questo settore degli studi si mescola con una forte consapevolezza della decisività della conoscenza storica. La stessa economia per Labriola altro non è che un’astrazione della storia. L’economia pura non può avere, dal suo punto di vista, una forza rivoluzionaria. Altra cosa invece l’economia studiata mediante e per la storia, non solo per decifrarne in astratto il modello capitalistico, ma anche per conoscere la storia del capitalismo. Secondo Favilli «egli intendeva sottoporre ad analisi critica uno dei temi che per tutto il decennio fu al centro del suo interesse: il rapporto tra teoria e storia» (p. 77). Diffidente, come anche emerge dalle lettere al Croce, nei confronti di ogni astrazione radicalizzata, e dunque di ogni scienza distante dal concreto e capace dunque di dar luogo soltanto a giudizi analitici, Labriola appare un “cercatore” di concretezza, assertore della necessità di una scienza che risponda alle domande del reale. La scienza per concetti puri, compresa l’economia pura, rientra dunque in un ambito di sapere “regressivo”, superabile soltanto da una scienza critica (non a caso quella di Marx nel capitale è una “critica” dell’economia politica). Stessa diffidenza per la ricerca di purezza e analiticità è rivolta da Labriola alla filosofia, della quale si difende solo la filosofia della storia, intesa in modo teoreticamente “ridotto”, cioè come una «storia esposta in maniera che si capisca».
Nel rapporto tra storia ed economia, all’interno della tradizione italiana, Favilli chiama in causa la curiosa figura di Ettore Ciccotti, un pioniere del materialismo storico a cavallo tra otto e novecento, convertitosi al fascismo nel famoso ventennio. Come storico dell’antichità, Ciccotti va ricordato tuttavia come uno dei più importanti sperimentatori e precursori dell’applicazione della concezione materialistica della storia nella storiografia italiana. Sul piano metodologico, è proprio l’interesse per il fattore economico nel mondo antico, a costituire la novità. Libri come Il tramonto della schiavitù del Mondo Antico e La Guerra e la Pace nel mondo antico, come racconta Momigliano, portano in sé un’ idea tradottasi in  «a pioneer work».
Il filone di studi che porta le ricerche economiche a divenire struttura portante della storia sociale e della storiografia nel suo complesso trova importanti sviluppi tra gli storici del  dopoguerra, come Luigi Dal Pane, Emilio Sereni e Rodolfo Morandi. Un capitolo a parte merita poi Delio Cantimori, marxista sui generis, fortemente critico della tradizione crociana così come si manifesta in Carlo Antoni, nonché energico teorico delle “distinzioni”, che nella sostanza devono discriminare i “fenomeni culturali contemporanei” (la narrazione storica a fini ideologico-propagandistici) dagli “studi seri”. Cantimori non è interessato alla “dottrina” di Marx, in quanto come tale gli appare un insieme di assunti di fronte ai quali si può essere solo eretici o ortodossi, ma sceglie di concepire Marx come pensatore, e di accoglierne dunque criticamente la lezione. Di straordinaria importanza è la complessa venatura dell’accettazione/distanziamento di Cantimori nei confronti della storia delle Annales. Per un verso accolta in virtù della sua capacità di innovazione e di individuazione dei fattori di lunga durata, la lezione degli storici francesi viene per altri versi criticata nel suo radicalismo, o nel limite stesso della sua posizione concettuale: l’esclusione della storia evenemenziale rende di fatto impossibile il concepimento di una storia totale, riducendosi inevitabilmente a un destino di parzialità. Il maggior difetto delle Annales, avrebbe poi precisato Gastone Manacorda attestandosi al medesimo orizzonte concettuale cantimoriano,  è dunque quello di ignorare o sottovalutare la storia politica come «storia dell’azione consapevole, non solo di governi e uomini di Stato, ma di partiti, di gruppi organizzati, di singole personalità» (p. 149). E’ una storiografia dunque priva di  coscienza, di soggettività.
Nella riflessione generale sul marxismo italiano, nei suoi contatti con la storiografia, non può mancare infine un riferimento ad Antonio Gramsci, cui Favilli dedica forse qualche pagina in meno del necessario nella complessiva economia del proprio ragionamento. In effetti, l’elemento proposto da Gramsci sul piano della storia del Rinascimento, con l’attenzione rivolta alla dimensione sovrastrutturale, non può non fungere da modello parallelo ma non alternativo alla storiografia economica. La storia degli intellettuali di impostazione gramsciana è storia economica a tutti gli effetti, in quanto storia dei rapporti sociali di produzione e delle relazioni tra le classi. Forse, a questo contributo, non irrilevante per la storia della cultura italiana, poteva essere dedicata qualche pagina in più.
Gli ultimi  capitoli del libro aprono un varco nella contemporaneità, non fermandosi alla sola scuola storiografica italiana. Favilli mostra in generale grande apertura e conoscenza del dibattito storiografico contemporaneo, nel quale fa efficacemente intervenire il marxismo, strumento ancora valido per produrre innovazione e solidi fondamenti teoretici.

PUBBLICATO IL : 25-03-2007
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