Si segnala con grande piacere (e riconoscenza) l’iniziativa della casa editrice Bardi che, nel centenario della nascita di Ettore Majorana (1906-2006), propone, con la collaborazione dell’Accademia Nazionale dei Lincei, la ristampa anastatica di questo volume, ormai esaurito da anni. L’iniziativa assume un grande interesse storico e culturale, sia per l’importanza e il fascino che la figura di Majorana esercita ancora oggi, a quasi settanta anni dalla sua tragica e misteriosa scomparsa, sia per la rilevanza del suo lavoro di fisico, che lo ha visto attore e testimone dei decenni che portarono alla prima formulazione comprensiva della meccanica quantistica, dunque a una vera e propria rivoluzione nel rapporto conoscitivo con il mondo, ancora oggi probabilmente da comprendere nelle sue implicazioni più profonde.
Il volume raccoglie tutti gli elementi conosciuti sulla vita di Majorana. La preziosa ricostruzione biografica redatta da Edoardo Amaldi nel 1965, che non propone alcuna ipotesi sulle cause della scomparsa e degli strani comportamenti di Ettore negli ultimi anni della sua vita, è un testo comunque molto toccante, perché i ricordi di Amaldi, la sua ricostruzione di piccoli e sorprendenti episodi dell’esistenza di Majorana (per sempre giovanissimo, come molti altri geni nella storia della scienza) e la limpidezza della sua prosa restituiscono un ritratto vivo e difficilmente dimenticabile di un ragazzo inquieto e solitario, forse sopraffatto dalla propria capacità di vedere ciò che ad altri era celato. Lo scritto è inoltre di grande aiuto per la lettura degli articoli scientifici di Majorana, perché ne propone una mirabile sintesi dei contenuti e una indispensabile contestualizzazione nell’ambito della riflessione sui risultati sperimentali e sulle difficoltà concettuali che caratterizzavano il modo di manifestarsi della nuova realtà microscopica. Il linguaggio degli articoli è infatti molto tecnico: non sono articoli di divulgazione, né di epistemologia o retrospettiva riflessione filosofica sui risultati raggiunti (i tempi per un’auto-riflessione della fisica quantistica non erano ancora maturi). Si tratta invece di scritti di fisica, della parte più avanzata della ricerca fisica dell’epoca, redatti nel linguaggio che la fisica ha scelto per la formulazione della propria comprensione della realtà, vale a dire la matematica.
Questo tuttavia non esclude una rilevanza filosofica dei testi presentati. Al contrario. Se al cuore della filosofia troviamo lo stupore legato al rapporto esperienziale e conoscitivo tra soggetto e mondo – la capacità di una parte del mondo di comprendere il mondo – allora i testi nei quali questa comprensione trova progressivamente una parziale formulazione veicolano un contenuto filosoficamente cogente che non può coincidere con l’esplicita elaborazione di tesi gnoseologiche. Non si tratta, in altre parole, di conoscere e discutere il pensiero epistemologico dello scienziato Ettore Majorana, magari per marginalizzarlo come dilettantesco (com’è avvenuto in alcuni celebri casi polemici), ma di cogliere la conoscenza scientifica – dunque la più vivida e pervasiva tra le figure di realtà del mondo – nel suo costituirsi effettivo per mezzo della matematica, la specializzazione conoscitiva del linguaggio. Leggere gli articoli scientifici di un fisico della levatura di Majorana, articoli di solito irreperibili al di fuori delle biblioteche e delle pubblicazioni specialistiche, significa sorprendere la conoscenza nel suo farsi – prima dunque di essere istituzionalizzata nei manuali – e assistere alla reciproca, correlativa costituzione del mondo (di una sua figura) e del soggetto (di una sua figura).
Il progressivo definirsi dei principi fondanti e della formulazione esplicita della meccanica quantistica è un momento esemplare di questa reciproca costituzione. E la migliore “spiegazione” del ruolo della matematica nella conoscenza. La matematica usata nelle formulazioni della meccanica quantistica è infatti una matematica profondamente diversa dalla geometria della fisica galileiana e newtoniana. L’illusione mimetico/descrittiva offerta dalla geometria elementare è completamente svanita: gli oggetti, i dati dell’osservazione si muovono, meglio: evolvono, in strutture che non sono più interpretabili come trasfigurazioni matematiche dello spazio-tempo della percezione sensibile. Si tratta piuttosto di spazi algebrici, molto sofisticati e complessi, del tutto differenti, anche da un punto di vista matematico, dallo spazio geometrico euclideo o non euclideo (come, ad esempio, quello della relatività generale). Da ciò emerge chiaramente il carattere non spazio-temporale (in senso percettivo) degli oggetti o dei dati osservativi. Essi sono, piuttosto, risultati di misure: fenomeni correlativi letti nei loro aspetti quantitativi e qualitativi. Tali interazioni esperienziali e sperimentali sono l’unica realtà che la conoscenza ha a disposizione. L’idea di traiettoria, fondamento del costituirsi della scienza “prima” della meccanica classica, la cinematica, perde così il suo principale punto di riferimento, vale a dire il sussistere di un’evoluzione spazio-temporale univoca e autonoma rispetto all’osservazione. La meccanica quantistica, il suo formalismo matematico, dichiara infatti impossibile e illegittimo ritenere che le particelle posseggano proprietà prima dell’effettiva osservazione, come se l’osservazione fosse l’occasione contingente in cui tali proprietà si manifestano. Se ci si chiede cosa accade realmente in un evento quantistico ci si invischia in una questione irresolubile. Il punto è che noi abbiamo imparato a parlare di realtà soltanto all’interno della pratica oggettivante della fisica classica che poi si è riversata nel senso comune. Questo linguaggio, il linguaggio che fa segno verso le cose e la realtà in sé, sembra dunque l’unico nel quale sia possibile formulare domande sensate sulla realtà. Gli aspetti paradossali (il celebre gatto vivo/morto) e irriducibilmente dualistici che caratterizzano l’interpretazione della meccanica quantistica, la sua “stranezza” rispetto alle esigenze dell’idea classica di conoscenza, sono dovuti al tentativo, non sempre consapevole, di applicare quel linguaggio a una pratica conoscitiva che gli è essenzialmente estranea. Estranea perché si definisce come una rottura epistemologica profonda che implica una diversa concezione dell’esperienza e della realtà. O meglio: un diverso livello di consapevolezza della relatività e della località dell’idea di esperienza e di realtà che costituisce la gnoseologia classica. Eliminando l’indebito accostamento di due ambiti solo parzialmente sovrapponibili – o comunque non confrontabili legittimamente da un punto di vista solidale con uno dei due (il linguaggio classico della spiegazione) – i paradossi non hanno più ragion d’essere. Non sono più la manifestazione di una bizzarria del reale, né dell’incompletezza contingente della nostra conoscenza, ma il segnale dello stato di tensione di un linguaggio locale costretto a muoversi troppo vicino ai propri limiti e alle proprie condizioni di senso.
Ciò che si individualizza e si oggettiva nella meccanica quantistica è il risultato della misura. Ma questo risultato di misura non può più essere interpretato come il modo di manifestarsi di una cosa nascosta, dal momento che la causalità e la traiettoria sono perdute. Piuttosto la misura è proprio la testimonianza della correlazione insuperabile e della reciproca costituzione di oggettività e soggettività. Non l’incontro di soggetto e oggetto dunque, ma la loro comune origine. Se si tiene fermo questo punto, diventa possibile cogliere il vero senso dell’intervento della matematica in una pratica conoscitiva e distinguere tale intervento dall’idea (spesso mal vista) di matematizzazione. La matematizzazione come sovrapposizione di un mondo di oggettività ideali a un mondo intuibile e “concreto” è concepibile soltanto nell’orizzonte aperto dalla scissione tra mondo e linguaggio, tra in-sé della natura e matematica come espressione della soggettività, tra le cose e la conoscenza che ne acquisiamo. Si tratta di un orizzonte legittimo in quanto funzionale al dispiegarsi di quella pratica conoscitiva a cui ci riferiamo con il nome di “fisica classica” (e, per molti aspetti, anche del (buon) senso comune), ma problematico e fonte di paradossi laddove in questione è la comprensione dei limiti e del senso di quella pratica conoscitiva. Se però si interpretano i dati della conoscenza come l’esito di una oggettivazione secondaria esercitata su eventi esperienziali (misure in un senso molto ampio) nel quale oggetto e soggetto trovano la loro comune origine costitutiva – il soggetto-Galileo nasce come polo correlativo dell’oggetto perfettamente iscrivibile in un’autonoma traiettoria spazio-temporale – allora il senso dell’uso conoscitivo della matematica subisce una modificazione importante. Non si tratta di dar conto matematicamente delle proprietà degli oggetti e delle loro connessioni, rinunciando ovviamente a tutte quelle proprietà e a quelle connessioni non riducibili a dati quantificabili e a formule, ma di organizzare ai fini della intelligibilità e della previsione induttiva una serie di esperienze altrimenti opache e indecifrabili. La matematica non nasce dunque nel vuoto dell’astrazione formalistica, come matematica pura, per trovare poi successivamente, e contingentemente, applicazione a una natura originariamente estranea. Questa concezione non è in grado di spiegarne la straordinaria efficacia conoscitiva (non a caso ritenuta misteriosa e divina, oppure inaccettabilmente impoverente). Il costituirsi della matematica come scienza in sé chiusa è un risultato secondario rispetto al suo profilarsi come strategia di interpretazione, e dunque di controllo pratico e intellettivo, e dunque di sopravvivenza, dell’esperienza. C’è, da questo punto di vista, una profonda continuità tra il linguaggio e la matematica, che del linguaggio rappresenta una specializzazione centrata su alcuni aspetti (la stabilità, l’individuazione di regolarità e invarianti, l’oggettivazione). La stessa continuità che lega l’esperienza e l’esperimento, che dell’esperienza porta all’estremo il carattere di originaria correlazione. Il carattere sensibile dell’esperienza e dell’esperimento della fisica classica poteva ancora far pensare a una presa immediata sul reale e dunque a una possibile riformulazione intuitiva, cioè “realistica”/oggettuale, dei suoi risultati: in altri termini, la possibilità (suggerita dalla storia della geometria) di liberare il soggetto dal legame correlativo in vista della costruzione di pure oggettualità.
Quando però l’esperienza, mediante la sua trasformazione irreversibile in esperimento mediato dalla matematica, si rivela effettivamente l’unica realtà fenomenica (come accade nella fisica quantistica e come era necessariamente anche nella fisica galileiana, circostanza in quel caso occultata dal completamento metafisico/realistico della pratica conoscitiva), allora la possibilità di concepire la formulazione matematica della teoria in termini descrittivi (difficilmente conciliabili con la pluralità dei formalismi validi per la meccanica quantistica) non appare più sostenibile: dare conto matematicamente dell’esperienza significa, piuttosto, organizzare coerentemente il molteplice fenomenico/correlativo in vista della sua intelligibilità. Una pratica finalizzata al senso, non un abito ideale. Si tratta di costruire un ambiente, non necessariamente somigliante allo spazio-tempo della percezione, nel quale la pluralità dei fenomeni disponibili si disponga e si organizzi secondo regole di connessione il più possibile comprensive. Questo è il ruolo conoscitivo delle sofisticate strutture della matematica novecentesca, che dunque non raccontano di una nuova, fantascientifica struttura del mondo, ma, con maggiore accortezza critica, di un enorme e complesso ampliamento dell’esperienza, ordinabile soltanto rinunciando ai limiti della geometria legata a una percezione metafisicamente informata. Comprendere l’esperienza, trasformarla in conoscenza e possibilità di predizione tecnica, significa ordinarla attorno a nuclei di stabilità concettuale inseriti in una struttura “narrativa” coerente che acquista successivamente, per la sua capacità esplicativa, un carattere normativo. Questa è la strategia di sopravvivenza che l’umanità, a livello ontogenetico e filogenetico, ha elaborato ai fini della propria sopravvivenza; e la matematica è il più raffinato ed efficace tra gli strumenti elaborati a servizio di questa strategia. L’elettrone e le particelle elementari rappresentano uno di questi nuclei di stabilità concettuale individuati mediante la rielaborazione matematica coerente di un insieme di realtà fenomeniche, cioè collocate in quel confine sul quale soggettività e oggettività perdono la loro autonomia come nozioni (o non hanno ancora autonomia su un piano ontologico/sostanziale): sono portatori sostanziali di un simbolo matematico che sorge nel momento in cui l’indagine sull’insieme dei dati fenomenici individua stabilità sufficienti alla “narrazione” coerente dell’esperienza, a un possibile ordinamento della realtà.
L’errore è pensare, classicamente, che a questo ordinamento matematicamente strutturato debba sostituirsi, per la sua comprensione, una formulazione fatta in un linguaggio differente, ad esempio quello della spiegazione ostensivo/realistica. La matematica, in quanto strumento linguistico di costituzione della teoria, è già in sé esplicativa. Comprendere la meccanica quantistica implica riconoscerne l’intraducibilità in un linguaggio differente da quello dei formalismi matematici, perché è in questo linguaggio che i dati fenomenici hanno trovato la loro intelligibilità. Ordinamenti o narrazioni differenti sono, appunto, differenti e rischiano, se pensate invece come elaborazioni potenzialmente equivalenti di un molteplice fenomenico che è comunque “lo stesso”, di fuorviare la comprensione: l’atomo come sistema solare, l’elettrone come corpuscolo che si muove lungo una traiettoria definita o che si propaga come un’onda, sono utili, momentanei punti d’appoggio per una resa intuitiva di un mondo che sfugge alla percezione ordinaria, ma non traduzioni della teoria in un linguaggio finalmente trasparente.
Indice del volume.
Nota biografica a cura di Edoardo Amaldi:
La giovinezza
Il passaggio agli studi di Fisica
L’attività scientifica nel campo della fisica atomica e molecolare
La evoluzione dei suoi interessi verso la fisica del nucleo
Il suo viaggio all’estero
La nomina a professore nel campo della fisica nucleare e delle particelle elementari
L’inizio della sua attività di professore e la sua scomparsa.
Note scientifiche di Ettore Majorana:
Sullo sdoppiamento dei termini Roentgen e ottici a causa dell’elettrone rotante e sulla intensità delle righe del Cesio, in collaborazione con G. Gentile junior, 1928
Sulla formazione dello ione molecolare di He ,“Nuovo Cimento”, 1931
I presunti termini anomali dell’Elio, “Nuovo Cimento”, 1931
Reazione pseudopolare fra atomi di idrogeno, 1931
Teoria dei tripletti P’ incompleti, “Nuovo Cimento”, 1931
Atomi orientati in campo magnetico variabile , “Nuovo Cimento”, 1932
Teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario , “Nuovo Cimento”, 1932
Über die Kerntheori, “Z. Physik“, 1933 Sulla teoria dei nuclei, “La Ricerca scientifica”, 1933
Teoria simmetrica dell’elettrone e del protone, “Nuovo Cimento”, 1937
Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali, “Scientia”, 1942 (pubblicazione postuma)
Catalogo dei manoscritti e documenti a casa di Rosario Lotta:
1 - La copia fotografica della tesi di laurea
2 - I fascicoli riordinati
3 - I volumi
4 - I quaderni |