Arturo Graf (1848-1913), poeta e saggista, docente di letterature romanze e di letteratura italiana a Torino, amico di Antonio Labriola e in relazione con molti dei protagonisti della cultura italiana tardo-ottocentesca, è una figura di rilievo anche nella storia del pensiero filosofico per il complesso rapporto con il positivismo e per il suo pessimismo derivato dalla non banale meditazione leopardiana. Girolamo de Liguori, che a Graf ha dedicato diversi studi e una monografia (I baratri della ragione. Arturo Graf e la cultura italiana nell’età del positivismo, Lacaita, Manduria 1986), cura ora la riedizione (il testo era stato pubblicato per la prima volta nel 1909) della breve autobiografia degli anni giovanili di Graf, anni che videro il giovane autodidatta peregrinare per l’Europa: dalla nativa Atene a Trieste, dalla rumena Braila a Napoli, ancora a Braila e infine a Roma, che lasciò «con grandissimo rincrescimento» nel 1876 per Torino: «Incominciava il professorato: era finita la giovinezza» (p. 64); con queste parole si chiude lo scritto grafiano. All’autobiografia il curatore ha aggiunto undici lettere inedite ad Angelo Messedaglia, uno dei primi studiosi di scienze statistiche in Italia, che Graf frequentò nei suoi anni romani, ma al quale rimase anche in seguito lungamente legato. La prefazione di de Liguori, ampia e assai documentata, mette bene in luce l’importanza di questa autobiografia per una più nitida ricostruzione dei contorni di una figura anomala nel panorama culturale italiano. |