Allo scopo di fare il punto sullo stato di salute degli studi hegeliani,
abbiamo deciso di intervistare il Prof. Walter Jaeschke, direttore
dell’Hegel-Archiv della Ruhr-Universität di Bochum,
dove, peraltro, insegna. Dirige i lavori della nuova edizione
critica delle opere di Hegel (Gesammelte Werke) e, assieme
a Klaus Hammacher, della nuova edizione critica delle opere di
Jacobi (Jacobi-Werke-Ausgabe). È fra gli editori della
nuova edizione critica delle opere di Schleiermacher (Kritische
Gesamtausgabe). Nell’ambito degli studi hegeliani,
Jaeschke è anche noto non solo per aver provveduto alla
pubblicazione delle nuove e fondamentali edizioni critiche delle
lezioni di filosofia della religione e delle lezioni di storia
della filosofia, ma anche per aver pubblicato due libri sulla
filosofia della religione hegeliana (Die Religionsphilosophie
Hegels, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1983
e Die Vernunft in der Religion. Studien zur Grundlegung der
Religionsphilosophie Hegels, Stuttgart, Frommann-Holzboog
1986) che sono, a buon diritto, ritenuti dalla comunita`degli
specialisti in studi hegeliani come ormai imprescindibili. Nel
2003, presso la casa editrice J. B. Metzler, ha pubblicato Hegel-Handbuch,
completa ricostruzione della vita e degli scritti di Hegel, nonché
delle Vorlesungsnachschriften (le trascrizioni compiute
dagli studenti delle lezioni universitarie tenute da Hegel) finora
pubblicate. L’importanza del suo Hegel-Handbuch e` attestata
dal giudizio pronunciato su di esso da un altro decano degli studi
hegeliani, Hans Friedrich Fulda. Fulda ritiene che esso sia un
libro accostabile per fattura e mole alle grandi opere su Hegel
di fine anni ’20 e anni ´30 del secolo passato, quelle
di Haering e Glockner. Attualmente gli interessi di Jaeschke si
indirizzano all’indagine del periodo post-kantiano di formazione
dell’idealismo.
1) L’apparire, negli ultimi
decenni, della nuova edizione storico-critica delle opere di Hegel,
che, rammentiamolo, rimpiazza, in particolare, se ci riferiamo
solo al ‘900, le precedenti edizioni critiche curate da
Georg Lasson e Hermann Glockner, ha sicuramente determinato un
nuova configurazione degli studi hegeliani. In che direzioni essa
ha, a suo giudizio, stimolato la Hegel-Forschung?
Se si dà uno sguardo alla storia
della ricezione della filosofia di Hegel, si può dire che
noi, da quattro decenni a questa parte, ci troviamo nella terza
fase di ricezione - dopo la prima fase, che cade tra gli ultimi
scorci della vita di Hegel e i primi due decenni dopo la sua morte,
e la seconda, plasmata dal neohegelismo dell’inizio del
XX secolo. Questa terza fase è, di fatto, collegata con
l’apparizione della edizione storico-critica; ma, certamente,
è stata non solo e non principalmente prodotta attraverso
l’edizione. Piuttosto è l’edizione stessa un
primo risultato di questa nuova fase di ricezione, che è
stata determinata e favorita da una molteplicità di fattori;
per citare solo due voci: “ermeneutica” e “marxismo”.
Tuttavia, sebbene l’edizione stessa sia un risultato, anch’essa
ha configurato questa ultima fase di ricezione in importanti tratti:
mi riferisco soprattutto all’indagine dei così importanti,
per l’opera di Hegel, manoscritti del periodo di Jena (1801-1806),
che nelle due fasi precedenti di ricezione sono stati pressoché
trascurati: in parte le fonti non erano pubblicate, in parte erano
sbagliate le datazioni, cosicché dominava una notevole
confusione, che ha anche motivato interpretazioni prive di senso.
Tuttavia proprio i manoscritti jenesi permettono di determinare
i motivi fondamentali per mezzo dei quali la filosofia hegeliana
è cresciuta e di seguire la successiva formazione delle
sue concezioni di sistema, con guadagno complessivo di conoscenza
della sua filosofia.
La ricezione degli scritti del giovane Hegel (1793-1800) non ha
ottenuto finora, grazie alla nuova edizione, impulsi decisivi.
Ciò potrebbe cambiare, se apparirà in breve il volume
II con gli scritti degli anni francofortesi di Hegel. Poco, poi,
poteva influire l’edizione sulla ricezione delle principali
opere di Hegel, la Fenomenologia dello spirito e la Scienza della
logica, poiché essa si è limitata alla correzione
di errori, prescindendo, naturalmente, dal commento che è
stato scritto a loro margine. Grande significato per la ricezione
ha ottenuto, tuttavia, da tre decenni a questa parte, la pubblicazione
delle trascrizioni delle lezioni di Hegel (le Vorlesungsnachschriften)
- negli ambiti della filosofia del diritto, dell’estetica,
della filosofia della natura e della filosofia delle religione
- ed è facile pronosticare che questo processo avrà
un seguito negli anni a venire.
2) In Italia, la nuova edizione, da lei curata, dei quattro
diversi corsi universitari, tenuti da Hegel, di filosofia della
religione, non ha ancora riscosso adeguata attenzione. Continua
a prevalere, in qualche modo, l’uso della edizione curata
da Lasson, la quale, fondata anch’essa sulle trascrizioni
dei corsi universitari, si caratterizza, tuttavia, come lei ha
spesso messo in luce, per criteri molto discutibili di “armonizzazione”
degli stessi. Potrebbe, Professor Jaeschke, spiegare in che modo
la nuova edizione si rende capace di aprire a nuove e più
fondate prospettive critiche?
La nuova edizione della filosofia della
religione, il cui primo volume ora è presente anche in
traduzione italiana [n. d. t.: Jaeschke si riferisce a G.W.F.
Hegel, Lezioni di filosofia della religione, traduzione
di S. Achella, revisione di R. Garaventa, Guida, Napoli 2003)],
trasforma completamente le basi di confronto con la filosofia
della religione di Hegel, perché permette, innanzitutto,
di porre la questione circa la base sistematica e l’architettonica
di questa parte del sistema. Per la comprensione di tutte le discipline
della filosofia hegeliana è decisiva la comprensione della
loro forma sistematica. Questo vale anche per la filosofia della
religione: solo attraverso questa operazione si lascia riconoscere
quale funzione possiedano le sue singole parti - se esse abbiano
un valore sistematico oppure riferito al mondo rappresentativo
della religione. Ma queste domande non trovano risposta nella
edizione di Lasson, anzi non si lasciano nemmeno porre. Per chi
voglia occuparsi della filosofia della religione, e cioè
comprenderla filosoficamente e non limitarsi a estrarre da essa
citazioni per giudicare della mancanza di fede o meno di Hegel,
l’edizione di Lasson è tanto senza valore e perfino
fuorviante quanto la prima edizione attraverso il “circolo
degli amici del defunto”. Solo a partire dall’edizione
che è disponibile da due decenni si può differenziare
la costruzione dei quattro corsi universitari di Hegel; essa porta
alla luce i lineamenti sistematici di queste lezioni, e mostra
anche che Hegel li ha elaborati progressivamente. Per questo motivo
essa permette un confronto filosofico con la filosofia della religione
hegeliana.
3) In alcuni suoi interventi sulla Logica hegeliana, lei ha
insistito particolarmente nel considerare questa opera come una
sorta di filosofia trascendentale potenziata. Che cosa vuol dire?
Parlando con precisione non direi “filosofia trascendentale
potenziata”; mi piacerebbe solo rilevare, con grande energia,
che l’eredità della filosofia trascendentale opera
nella Scienza della logica hegeliana. Kant ha, attraverso la Critica
della ragion pura, completamente distrutto la metafisica speciale
- la affermatasi conoscenza razionale dell’anima, del mondo
e di Dio - e ha messo al posto della precedente ontologia - dunque
della presunta conoscenza razionale dell’essente - una “logica
trascendentale”, cioè al posto della conoscenza razionale
dell’essente, l’autoconoscenza della ragione. La logica
di Hegel segue Kant su questo terreno, sebbene con un metodo trasformato:
essa espone le determinazioni di pensiero, dunque la struttura
concettuale della ragione nel suo porre differenze e nel suo metterle
in connessione. Ma poiché Hegel, con Schelling e Fichte,
abbandona la differenziazione kantiana di “cosa in sé”
e “apparenza” - poiché la conoscenza non è
mai nient’altro che un atto della coscienza ed è
senza significato parlare di una realtà o di una vera realtà
che sia al di là della coscienza -, egli comprende queste
basi a priori della conoscenza, allo stesso tempo, come struttura
razionale del mondo in generale. Le determinazioni del pensiero
sono allo stesso tempo determinazioni della realtà, poiché
non c’è nient’altro al di fuori della realtà
pensata.
4) Nel suo recente Hegel-Handbuch lei ha avanzato,
a proposito degli hegeliani Lineamenti di filosofia del diritto,
una tesi, in un certo senso, “forte”. Lei sembra ritenere,
cioè, che l’articolazione di questa opera contraddica
al carattere di storicità del concetto di spirito. Se,
infatti, lei ricorda, lo spirito è tale solo se si configura
storicamente, allora, essendo la filosofia del diritto una parte
della filosofia dello spirito, essa avrebbe dovuto disporre i
suoi contenuti secondo un ordine storico e non logico, come è,
invece, accaduto. Di fatto, lei dice, la filosofia della religione,
anch’essa parte della filosofia dello spirito, è
organizzata secondo un ordine storico e non logico. A che cosa
addebita, allora, la scelta hegeliana di non organizzare secondo
un ordine storico la Filosofia del diritto?
La questione circa la struttura della filosofia del diritto ha
molto a che fare con la questione circa la struttura della filosofia
della religione, ma anche dell’estetica. La “filosofia
del diritto”, come in sintesi la denominiamo, è per
Hegel la “filosofia dello spirito oggettivo”, dunque
di quella realtà, attraverso la quale è prodotta
la nostra struttura spirituale e che senza di essa non ci sarebbe,
anche se noi non abbiamo l’abitudine di tematizzarla. Se
si pone la questione della “forma sistematica”, dunque
della struttura sistematica di questa disciplina della sua filosofia,
allora è evidente che la articolazione della filosofia
del diritto in “diritto astratto”, “moralità”
e “eticità” nomina delle sfere della realtà
sociale, che non sono conformi né al modello delle altre
“filosofie dello spirito” né alla logica né
a un altro princìpio. Si può, naturalmente, cercare
di trovare in seguito in essa della forme logiche e metterle a
base della sua struttura - ma non si può guadagnare questa
struttura a partire dalle forme della logica, e non c’è
nessuna regola di applicazione, per la quale la filosofia del
diritto debba porre a sua base proprio questa e non quella logica.
Io interpreto ciò come conseguenza dello svantaggio in
cui ci mette l’evoluzione filosofica hegeliana. Poiché
Hegel ha fissato nella prima edizione dell’Enciclopedia
delle scienze filosofiche (1817), senza averla precedentemente
messa alla prova attraverso le lezioni universitarie, la struttura
della filosofia del diritto e l’ha confermata subito dopo
nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto (1821),
ancora prima che egli abbia elaborato le altre discipline della
filosofia dello spirito. Queste discipline - l’estetica
e la filosofia della religione - non solo si sono formate più
tardi, ma hanno affinato la loro forma sistematica durante molti
corsi universitari. Ma Hegel ha tenuto le lezioni sulla filosofia
del diritto sempre sulla base del Compendio, dei Lineamenti,
cosicché, a causa di ciò, l’ulteriore sviluppo
della sua forma sistematica è stato bloccato o almeno non
assunto come questione da risolvere. Dispiace in particolare che
Hegel - altrimenti che nelle altre lezioni universitarie di filosofia
dello spirito - non abbia dedicato attenzione alla storia del
diritto e delle istituzioni etiche, dunque della famiglia, della
società civile e dello Stato, sebbene tutte le determinazioni
del diritto siano determinazioni dello spirito e perciò,
allo stesso tempo, storiche. Si pensi alla formazione del diritto
a muovere dal suo determinato sfondo religioso, alla separazione
dello ius dal fas o allo sviluppo storico dei
princìpi dell’imputazione e della obbligazione, alla
storia, senza dubbio esistente, delle nostre rappresentazioni
morali o allo sviluppo delle forma della polis, dell’imperium,
delle unità di potere medievali o dello Stato moderno e
al concetto così localizzato storicamente come quello di
società civile, per riconoscere quanto l’intera sfera
del diritto sia una sfera eminentemente plasmata in senso storico.
Qui si schiuderebbe per così dire un intero mondo di vedute
sulla genesi del mondo del diritto e allo stesso tempo del nostro
spirito, che in nessun modo è stato tematizzato dalla “Scuola
storica del diritto” - e che perciò attende ancora
di essere scoperto.
5) In che cosa risiede l’attualità della filosofia
hegeliana e che cosa, a suo giudizio, la filosofia contemporanea
dovrebbe poter assimilare da Hegel?
Pochi pensatori hanno con così forza
come Hegel rilevato il carattere storico della filosofia. Per
Hegel la filosofia è il “suo tempo appreso in pensieri”.
Ma pochi pensatori hanno anche così fortemente rilevato
come Hegel, che la filosofia non trascorre allo stesso modo delle
strutture sociali o anche delle religioni e delle tendenze di
stile. Perciò non è sicuramente possibile trapiantare
semplicemente nel nostro presente un sistema filosofico come quello
hegeliano - questo lo ha detto lo stesso Hegel, molto energicamente
e spesso ironicamente, proprio a proposito della “Renaissance”,
periodicamente tentata, di passate filosofie. Tuttavia mi appaiono
le questioni, che Hegel ha sollevato nella sua filosofia, tutte
potenzialmente in grado di essere riprese - dalla sua analisi
delle determinazioni di pensiero della logica attraverso le questioni
della filosofia della natura (a proposito del rapporto fra modelli
meccanici e teleologici, della formazione di strutture, autorganizzazione,
autopoiesi) fino alla filosofia dello spirito (a proposito della
fondazione del diritto o della struttura sociale e degli specifici
modi di essere della “storia” o a proposito dell’arte
e della religione e del rapporto della filosofia o anche dello
Stato verso di loro). La filosofia attuale tende, in parte, a
occuparsi della propria storia, in parte, nella cosiddetta “filosofia
analitica”, di un campo tematico estremamente limitato e
soprattutto con l’ausilio di una metodica angusta. Ma poiché
essa su molti campi della realtà non sa dire nulla, risveglia
l’impressione - del tutto non incomprensibile - che essa,
in generale, non abbia molto da dire. Ma la filosofia è
l’autocoscienza, sviluppata metodicamente, dell’uomo
e, perciò, il suo spettro tematico si estende tanto quanto
quello di questa autocoscienza. Questa universalità dei
compiti della filosofia sarebbe il lato più importante
che la filosofia attuale dovrebbe apprendere da Hegel.
(traduzione dal tedesco di Giorgio
Cesarale) |