György Ligeti (Dicsöszentmarton, 1923 – Vienna, 2006) compendia nella propria produzione musicale una molteplicità di interessi, tra i quali preponderante è quello per la scienza. Vissuto in un secolo in cui, sulla scorta della “crisi dei fondamenti” di fine Ottocento, gli scienziati tentano di tracciare una nuova «immagine del mondo»[1] e di stringere una «nuova alleanza»[2] con la natura mediante una serie di rivoluzioni epistemologiche di cui forse l’ultima è quella dovuta alla scoperta della geometria frattale, Ligeti contribuisce in modo decisivo a un analogo mutamento di “paradigma” in campo musicale. Le sue creazioni possono venire dunque assunte ad esempio di un superamento, realizzato in ambito artistico, di quel riduzionismo che, dopo aver caratterizzato la scienza moderna, intorno alla metà del Novecento domina anche le principali tendenze musicali.
Per poter percorrere la nuova via che Ligeti indica al fine di recuperare la complessità propria della natura del suono è opportuno innanzitutto presentare le caratteristiche di quell’orientamento estetico che, al contrario, la occulta. Alla successiva esposizione del confronto di Ligeti con esso, attraverso cui il compositore elabora il proprio stile musicale, seguirà il tentativo di mostrare come il linguaggio compositivo ligetiano risenta in modo determinante dell’influsso della scienza contemporanea e soprattutto delle scoperte dell’amico Benoît Mandelbrot, il cui pensiero lo influenza sia direttamente sia mediante le creazioni di altri artisti, che si sono a loro volta ispirati a esso. Non si potrà infine non “lasciare la parola” alla stessa musica di Ligeti, individuando nello studio per pianoforte L’escalier du diable il simbolo di quell’incontro tra arte e scienza che lascia oggi emergere dal fondo del reale una nuova bellezza, sollecitandone nel contempo la custodia.1. Determinismo e casualità nella “nuova musica”
L’esigenza di rinnovamento che anima il periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale si manifesta in campo musicale mediante l’impulso allo sperimentalismo e all’individualismo esasperati che caratterizza gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik, tenuti a Darmstadt dal 1946 al 1990, dove si esprimono le tendenze dominanti in Europa dagli anni ’50 agli anni ’70, riunite nella definizione di “nuova musica”[3]. Esse estremizzano l’ideologia che aveva già guidato l’avanguardia nella prima metà del secolo e che trova la sua espressione ideale nel Livre di Mallarmé, edito nel 1957 da Scherer[4]. In quest’opera postuma Mallarmé cerca di cristallizzare nella scrittura la totalità dell’oggettività, per porla così sotto il dominio della soggettività. Quest’obiettivo è secondo lui conseguibile soltanto se l’artista si abbandona al materiale, deponendo la sua soggettività per assumere il ruolo di un semplice operatore, che può elevarsi in molteplici modi alla visione delle simmetrie proprie della struttura immanente alla realtà. Tale struttura non è in nessun modo compatibile con la casualità, che dipende soltanto dall’inadeguatezza dello sguardo. L’opera che l’artista riesce così a creare, animata dalla dialettica tra apparenza e teleologia della struttura, riflette l’assoluto e non è soltanto priva di inizio e fine, ma anche in grado di liberare la percezione da ogni vincolo temporale, elevandola all’eternità.
[1] Cfr. W. Heisenberg, Natura e fisica moderna, trad. it. di E. Casari, Garzanti, Milano, 1985, pp. 54-55.
[2] Quest’espressione costituisce il titolo e l’obiettivo del testo I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza, trad. it. di P.D. Napolitani, Einaudi, Torino, 1993.
[3] Sulla “nuova musica” cfr. U. Dibelius, Moderne Musik 1945-1965, Piper, Monaco, 1966; R.S. Brindle, The new music, Oxford University Press, London, 1975; P. Griffiths, Modern Music: The avant garde since 1945, Dent, London, 1981.
[4] J. Scherer, Le “livre” de Mallarmé. Premières recherches sur des documents inédits, Gallimard, Paris, 1957. I contenuti del Livre erano comunque conosciuti anche prima della sua edizione.
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