1. Un problema vecchio, ma nuovo
Il problema messo a tema da questo saggio è un problema classico dell’estetica. Volendo ricostruire una storia delle riflessioni sul ruolo del fruitore nell’esperienza estetica si potrebbe risalire, forse, fino ad Aristotele e alle osservazioni della Poetica sullo spettatore della tragedia. Ma quando si ha a che fare con questioni filosofiche, accade spesso che, con il passare del tempo, i problemi vecchi divengano nuovi. In effetti, al di là dell’intrinseco interesse teoretico della questione, la domanda sul ruolo del fruitore nell’esperienza estetica acquista oggi un significato nuovo a causa di un fenomeno che sta assumendo un’importanza sempre crescente: l’interattività. Si tratta di un fenomeno che investe tanto il mondo reale quanto il mondo dell’arte. Da una parte il nostro rapporto con la realtà è ormai sempre più mediato da dispositivi interattivi, dall’altra il numero delle installazioni interattive presenti nei musei, nelle mostre e nelle grandi esposizioni internazionali aumenta esponenzialmente anno dopo anno. Forse non è ancora possibile cogliere fino in fondo il significato storico di questa “svolta interattiva”; è certo però che l’interattività è uno dei grandi problemi filosofici dell’attualità.
Nelle battute inziali del suo Rapporto confidenziale su un esperienza interattiva Paolo Rosa fa un’affermazione che può apparire sorprendente, ma che in realtà è fondamentale: «l’interattività – scrive Rosa – c’è sempre stata»[1]. In senso stretto i dispositivi interattivi sono il prodotto più recente della tecnica contemporanea. Ma in senso ampio una qualche forma di interattività esiste da sempre nel mondo dell’arte così come nella realtà quotidiana. In effetti, analizzando il rapporto tra fruitore e opera che caratterizza l’arte tradizionale, si possono individuare almeno tre livelli di interazione, strettamente legati tra loro. Al primo livello (costituzione dell’opera) troviamo tutte quelle competenze minimali che sono necessarie per intendere il senso più elementare di un’opera. Senza queste competenze l’opera non si costituisce nemmeno per il fruitore. Al secondo livello (interpretazione dell’opera) troviamo tutte quelle operazioni di interpretazione che l’opera presuppone e suggerisce. Anche queste operazioni sono necessarie per il costituirsi del senso dell’opera, ma ad un grado di complessità diverso, che può variare molto. Infine, all’ultimo livello (applicatio / rifigurazione), troviamo gli effetti di ritorno che l’opera produce nel fruitore in termini di ridefinizione del mondo dell’esperienza[2].
Per esemplificare questi tre livelli di interazione prendiamo il caso di un testo letterario, ipotizziamo che si tratti di una poesia. Il primo livello in cui il fruitore è chiamato in causa è quello della lettura, nel senso più immediato di questa parola. Normalmente siamo propensi a non dare molta importanza ad un’operazione che appare fin troppo basilare. In realtà è importante sottolineare che l’attualizzazione di un testo tramite la lettura non è affatto scontata. Ce ne accorgiamo quando ci troviamo di fronte ad un libro scritto in una lingua che non conosciamo: senza questa prima attività il testo non esiste nemmeno, non si costituisce per noi. Senza la possibilità della lettura un testo è completamente muto e, di conseguenza, è già a livello di questa competenza elementare che dobbiamo rintracciare un primo e fondamentale contributo del fruitore. Certo, se l’interazione tra il testo e il lettore si arrestasse qui, sarebbe ben poca cosa. L’esperienza di chi legge una poesia non sarebbe molto diversa dall’esperienza di chi legge uno scontrino della spesa. Ma è facile mostrare che, al di là delle competenze linguistiche elementari necessarie per comprendere parole e proposizioni, la lettura di un testo richiede una notevole attività interpretativa. Il lettore è costantemente sollecitato ad integrare ciò che il testo accenna soltanto, a sciogliere le ambiguità testuali, a cogliere il non detto. Il senso “compiuto” di un testo – non il suo significato letterale, ma il suo senso complesso – si costituisce solo se il fruitore porta a termine questo notevole lavoro di interpretazione. Infine, c’è il terzo livello. Chi legge una poesia non deve soltanto comprendere il significato e il senso del testo. L’esperienza della poesia esige dal lettore qualcosa di più. Un fruitore ottuso può conoscere l’italiano, leggere e intendere una poesia, comprendere il non detto del testo, ma restare di fronte a tutto ciò del tutto indifferente. In questo caso il testo si costituisce per lui, ma non accade nessuna esperienza dell’opera: l’opera rimane estranea, non parla veramente.
[1] Rosa, P. Rapporto confidenziale su un’esperienza interattiva, in Valentini, V. (a cura di) Le pratiche del video, Bulzoni, Roma 2003, p. 236. Se non fosse per la modestia di Paolo Rosa, che fin dal titolo sceglie un’espressione prudente, si potrebbe pensare a questo testo come a una sorta di manifesto dell’interattività.
[2] Mi riferisco qui al concetto di “applicatio” elaborato da Gadamer in particolare in Verità e metodo e al concetto di “rifigurazione” proposto da Ricoeur in Tempo e racconto. Cfr. Gadamer, H. G. Wahrheit und Methode, Tübingen, 1960, tr. it. Verità e metodo, Bompiani, Milano, 1983, pp. 358 ss. e Ricoeur, P. Temps et recit, vol. 1, Seuil, Paris 1983, tr. it. di Giuseppe Grampa, Tempo e racconto, vol. 1, Jaca Book, Milano 2001, pp.117 ss.
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