L’impatto della tecnologia sulla struttura politica e sociale delle società
moderne è al centro della riflessione che Andrew Feenberg propone in
Question Technology. Feenberg, docente di Filosofia presso la San Diego State
University e professore inviato all’Università della Sorbona di
Parigi, da sempre attento osservatore del dibattito europeo sulla tecnica, offre
in questo scritto un’interessante panoramica della riflessione anglosassone
sulla filosofia della tecnica prendendo le mosse dall’heideggeriana posizione
della “Gelassenheit”, per giungere, passando per la Teoria
Critica della scuola di Francoforte, alla filosofia francese di Foucault e alle
indagini di stampo sociologico di Bruno Latour.
Allievo di Marcuse, sviluppa nella sua riconsiderazione critica della portata
delle tecnologie dell’informazione l’idea, già presente nel
filosofo tedesco, che lo statuto democratico delle società tardomoderne
sia intimamente legato e dipendente dalla nostra comprensione della tecnica.
La stessa tecnologia appare come qualcosa di intimamente democratico: parte
da zero, è a portata di tutti e spesso non richiede particolari conoscenze
per il suo utilizzo. Da un punto di vista sociale, queste caratteristiche sono
determinanti per il processo di massificazione generato dalla tecnicizzazione
dell’apparato produttivo.
E’ l’americano Lewis Mumford che, nell’analisi sociologica
della tecnologia condotta nel suo Tecnica e cultura, definisce la macchina come
“comunista”. La tecnica, rispetto al pensiero, permette quell’equiparazione
culturale, quella democratizzazione socio-culturale, altrimenti impossibile,
che si può ottenere grazie ad un contatto immediato e diretto, quasi
eccessivo per Mumford, proprio dei macchinari tecnologici.
La vita quotidiana è continuamente esposta a contatti con le nuove tecnologie
e strettamente condizionata dall’uso delle stesse, tanto che ogni cambiamento
tecnologico finisce immancabilmente per riflettersi a numerosi livelli del reale:
economico, politico, religioso e culturale.
La tesi di Feenberg si fonda sulla convinzione che, se si continua a considerare
società e tecnologia, politica e progresso tecnologico, come due campi
separati dell’azione umana, si finirà non solo per soffocare e
negare un’intera parte della nostra propria esistenza, ma anche per impedire
l’innesto dei processi tecnologici all’interno di una società
democratica. Il recupero delle prospettive proprie della Teoria Critica e del
costruttivismo sociologico, operato dal pensatore americano, va visto all’interno
di un progetto volto a delineare il quadro teorico-sociale e culturale che contribuisca
ad un processo di democratizzazione dell’uso e dell’impatto delle
tecnologie.
Feenberg, in linea con quanto sostenuto da Marcuse in L’uomo ad una
dimensione, si lancia in un’appassionata requisitoria contro la convinzione
che il progresso tecnologico segua percorsi lineari ed esclusivamente determinati
da criteri scientifici e razionali. Una posizione del genere, alimentata tra
gli altri, da autori come Max Weber, Martin Heidegger e Marx, conduce inevitabilmente
all’erronea idea che il progresso tecnologico proceda secondo leggi e
principi autonomi, e sia insomma indipendente da quella società che contribuirebbe
invece a determinare. Ma tecnica e società, tecnologie e politica, non
possono mai essere asetticamente separate con un netto colpo di bisturi in quel
laboratorio che è il pensiero: la tecnologia porta con se tante e tali
conseguenze secondarie e inintenzionali da mostrare come essa sia non solo prodotto
dell’uomo ma al tempo stesso contribuisca a produrlo inducendo serie modifiche
alla natura umana stessa.
Il problema non riguarderà quindi il suo uso, buono o cattivo che sia,
perché “quel che ci plasma e ci altera, che ci forma e deforma,
non sono soltanto gli oggetti mediati dai mezzi, ma i mezzi stessi, i congegni
stessi”. E prendendo in prestito le parole di Umberto Galimberti, prendiamo
atto di questo mutamento di prospettiva in quanto ciò che adesso ci preme
non è più capire “cosa possiamo fare noi della tecnica,
ma cosa può fare la tecnica di noi.”
La tecnica non ha quindi in sé tutto ciò che le si attribuisce
di positivo o di negativo, non promuove in maniera libera ed autonoma un senso,
non apre scenari di salvezza, ma è prodotto di un rapporto sociale di
potere.
Secondo Feenberg non è affatto possibile separarla dall’esperienza
concreta degli esseri umani: nei sistemi tecnologici non si incarnano solo pregiudizi,
credenze, valori e desideri di coloro che tali tecnologie hanno progettato,
ma anche e soprattutto quelli degli utenti comuni. Caso emblematico diventa
ai giorni nostri la storia del computer: nato come elaboratore e archivio di
dati è diventato il nostro principale mezzo di comunicazione. Questo
significa, nelle conclusioni del Nostro, che l’evoluzione della tecnica
non è mai determinata a priori ma, per sua intima essenza, aperta a sviluppi
alternativi e quindi essenzialmente ambigua.
[L'articolo è tratto da http://www.hermesnet.it] |