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Il fattore fiducia nella società americana
Intervista a Michael Albert
di Giorgio Fazio

Michael Albert è cofondatore della casa editrice South End Press e della rivista online Z Magazine. Tra i più attivi giornalisti radicali statunitensi, è autore di numerosi articoli e saggi su temi economici e sociali, sulla globalizzazione e sulla guerra. Dell’autore in italiano è stato pubblicato L’economia partecipativa (Datanews, 2002).


Dall’attacco alle Torri gemelle in poi sono emersi fenomeni che sembrano aver compromesso definitivamente il normale funzionamento della democrazia statunitense. Preoccupano in particolare la giustificazione di misure politiche eccezionali nel campo del diritto con il ricorso al concetto di stato d’eccezione, un potere di controllo crescente dei media sulle informazioni, una nuova centralità assunta dalla religione nella battaglia politica. L’effetto sembra essere quello di una limitazione degli spazi di una reale dialettica interna e di una democratica e plurale opinione pubblica. Nuovi problemi che si aggiungono a quelli del passato – primo fra tutti lo scarso livello di partecipazione politica - e che indicano una parabola di involuzione della società americana che trova analogie anche in altre società democratiche. Qual è allora l’attuale stato dell’opinione pubblica americana?

Lo shock iniziale provocato dall’11 settembre ha bloccato inizialmente ogni reale dibattito. Inizialmente la reazione della maggioranza della popolazione è stata semplicemente quella di unirsi alle scelte dell’Amministrazione Bush. Con ciò è rimasto completamente fuori dalla discussione pubblica una seria riflessione sulle radici del terrorismo e sulle responsabilità dell’America nell’averlo generato. In seguito qualcosa è mutato ma rimane forte il controllo sull’opinione pubblica.
Oggi io direi che continua ad esserci in parte nella popolazione una paura reale: non c’è dubbio che il terrorismo esista realmente e colpisca la popolazione civile. Ma è sempre più chiaro come la paura della gente sia in buona parte indotta, e come il problema del terrorismo sia in gran parte un problema di manipolazione dei media.
C’è però anche un problema più sottile: l’opinione pubblica in America continua ad essere per metà con le scelte politiche dell’Amministrazione Bush anche per passività e sfiducia. Il problema cioè è che c’è la convinzione generale che non sia realmente possibile cambiare le cose. E una volta escluso che sia possibile un altro tipo di Stati Uniti con una diversa politica estera, di pace e non di guerra, finalizzata all’eguaglianza invece che votata alla produzione di povertà, si restringono tutte le prospettive e non rimane che la sensazione di essere accerchiati da un mondo ostile. E a quel punto sembrano avere un qualche senso le ricette politiche dell’amministrazione Bush.

Negli Stati Uniti la religione, oltre a svolgere un ruolo determinante nella definizione di un ethos pubblico, ha sempre offerto simboli e riferimenti al linguaggio politico. Con l’amministrazione Bush però sembra esserci stato un salto di qualità: la religione tende a divenire direttamente collante ideologico della politica, rischiando di rendersi veicolo di nuove forme di integralismo. La religione più in generale sembra ritornare ad avere un ruolo centrale nella società, ed assumere il ruolo di fattore di identificazione collettiva. Quali sono le differenze anche rispetto al passato più recente?

Ci sono grandi differenze. Di solito i candidati presidenziali riflettono gli interessi di larghi settori dell’establishment, e l’ambito di discussione tra i due candidati, democratici e repubblicani, si restringe più o meno alle ricette su come far andare meglio il business, e in ultima istanza alla scelta dei mezzi per accrescere la ricchezza e il potere delle élite. Non ci sono differenze enormi tra i due candidati. E infatti il 50% del paese non va a votare, perché non vuole votare per persone che sono prevalentemente concentrate sugli interessi di quelli che rappresentano.
La differenza con Bush è che lui ha un altro tipo di radicamento elettorale. Molte delle persone che sono coinvolte nella sua amministrazione non sono espressione di settori tradizionali delle élite governative, ma piuttosto sono espressione di un nuovo tipo di fondamentalismo religioso che ha anche un radicamento popolare. Anche Bush ha chiaramente sostegno presso le fasce più ricche della popolazione, ma cominciano a crearsi spaccature all’interno delle stesse élite, perché alcuni settori di queste iniziano ad essere spaventati che la politica e l’agenda di Bush, improntate anche da questi elementi fondamentalistici, possa destabilizzare eccessivamente il mondo e gli Stati Uniti. A mio avviso quindi non è che c’è un legame più stretto tra religione e politica in generale, è che per la prima volta qualcosa che assomiglia ad un fondamentalismo religioso sta conquistando il potere statale e sta provando a mettere in atto definitivamente con il secondo mandato il suo programma.

Oltre al condizionamento di nuovi fondamentalismi di carattere religioso, la società americana sembra essere particolarmente esposta, oggi più che mai, al condizionamento dei mass-media, che, oltre a informare in maniera sempre più selettiva, svolgono un ruolo crescente nella diffusione di modelli e stili di vita. Tutto ciò sembra rendere ancora più difficile lo sviluppo di una sfera pubblica critica.

Non sarei così pessimista. Il maggiore ostacolo secondo il mio punto di vista non è rappresentato dai media, che sono tanto potenti quanto grotteschi, per questo però anche poco credibili. Il maggior problema ripeto è rappresentato dal fatto che presso l’opinione pubblica c’è la credenza che non ci sia alternativa, che non sia possibile ottenere giustizia reale per le persone.
Si sono spese negli ultimi anni tante parole per far comprendere quanto sia potente e nello stesso tempo devastante l’attuale sistema economico. L’effetto di questo però è stato che oggi sembra impossibile promuovere un movimento che si prefigga il suo superamento. Sarebbe come formare un movimento contro l’invecchiamento, o contro la forza di gravità, cioè contro qualcosa di inevitabile. Questo è ciò che si pensa riguardo alla povertà, alla guerra, al razzismo. Si pensa che tutto ciò faccia parte dello stato naturale del mondo, e sarebbe tempo sprecato lottare contro.
In realtà ci sono molte cose che possono essere fatte e non c’è ragione di ritenere che il futuro sia la ripetizione del passato

Quali sono i mezzi per promuovere allora una sfera pubblica attiva e invertire i processi di segmentazione sociale e passività politica che attraversano le società contemporanee?


Un ruolo decisivo lo deve giocare una nuova politica in grado di fornire progetti realmente alternativi e praticabili. E un ruolo decisivo lo possono giocare i nuovi movimenti comparsi negli ultimi anni sulla scena pubblica. Ciò che è essenziale è dare motivazioni alle persone per coinvolgersi, e questo può avvenire solo quando si forniscono reali ricette alternative.
Andiamo in dietro di quattro anni per esempio. Nader ottenne tre milioni di voti, e altri sette milioni di persone lo hanno sostenuto in maniera molto decisa, ma poi alla fine hanno votato per Gore come il male minore: in tutto dieci milioni di persone. Se queste persone fossero state coinvolte al di là della loro semplice opzione elettorale, e se Nader avesse creato un governo ombra che per quattro anni avesse preso posizione su ogni decisione governativa di rilievo, e avesse proposto programmi, budget alternativi, nuove proposte in politica estera, e con i soldi raccolti nel suo elettorato avesse rese pubbliche le proprie iniziative, allora al momento delle elezioni sarebbe stato possibile fare realmente una scelta, e apparirebbe chiaro alle persone quale sarebbe la differenza tra un’Amministrazione di Bush ed una di Nader.
E’ poi essenziale ricominciare a pensare modelli di economia alternativa, chiedersi come promuovere processi di allargamento della democrazia all’interno dell’economia, come riorientare il sistema di remunerazione, come innescare processi di autonomia personale nel processo lavorativo, e così via.

PUBBLICATO IL : 20-10-2005
@ SCRIVI A Giorgio Fazio
 

 
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